Corte Suprema di Cassazione – Civile Sezioni Unite Sentenza n. 2417 del 2006 deposito del 05 marzo 2006 SICUREZZA PUBBLICA Stranieri

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Fatto

L’ENEL, condannato dal Tribunale di Cassino con sentenza del 22 gennaio 1992, notificata il 4 marzo 1992, a corrispondere un indennizzo di lire 8.043.786 a M? P? in conseguenza della nazionalizzazione di impresa elettrica, propose appello innanzi alla Corte di Roma, avvalendosi della notificazione a mezzo posta da eseguirsi presso l’avv. A? C?. L’agente postale, non avendo trovato alcuna persona presso tale domiciliatario, depositò l’atto presso il proprio ufficio, dandone avviso al destinatario il 2 aprile 1992. Il 10 aprile l’atto venne ritirato.

Il P?, costituendosi in giudizio, eccepì la tardività dell’appello e propose appello incidentale, lamentando che il primo giudice, nel liquidare l’indennizzo, avesse operato un’indebita compensazione.

La Corte di Roma, con sentenza del 24 febbraio 1993, dichiarò gli appelli, principale ed incidentale, inammissibili, rilevando che il principio, secondo il quale la vacatio di dieci giorni dalla data del deposito nell’ufficio postale non incide sulla tempestività dell’atto, vale per il caso di ricorso ma non per quello di citazione. In questa seconda ipotesi, ricorrente nella specie, la notificazione si intende avvenuta con il ritiro dell’atto dall’ufficio postale ovvero con il compimento del termine di giacenza. Il ritiro da parte dell’avv. C? era avvenuto il 10 aprile 1992 e pertanto la notificazione dell’appello, perfezionatasi in tale data, era tardiva. Tardivo era anche l’appello incidentale, il cui termine annuale presupponeva la ammissibilità dell’appello principale.

Contro tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’ENEL sulla base di quattro motivi. Il P? ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria. Del ricorso, già assegnato alla prima Sezione civile, sono state, su segnalazione di questa, investite le Sezioni unite, sussistendo un contrasto di giurisprudenza.

Diritto

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione per avere la sentenza impugnata erroneamente ritenuto che il precedente invocato dall’ENEL (sentenza 12542 del 1991) riguardasse un’ipotesi di giudizio introdotto con ricorso e non la notificazione di un atto di citazione. Del pari deduce vizio di motivazione con il secondo mezzo, rilevando come la Corte di appello avesse omesso di rispondere ad assunti difensivi e in particolare a quello secondo cui, adottandosi l’interpretazione della inscindibilità degli effetti della notificazione per il notificante e per il notificato, si sarebbe potuta avere, ad arbitrio del destinatario dell’impugnazione, una sensibile decurtazione del termine (perentorio) per impugnare. Con il terzo motivo deduce violazione dell’art. 8 della legge 890-1982, anche in riferimento alla disciplina codicistica della notificazione e al complessivo quadro delle previsioni di termini perentori brevi, lamentando che la Corte di appello non abbia tenuto conto della soluzione ormai pacificamente adottata per le similari ipotesi di cui agli artt. 142 e 143 c.p.c., nè considerato l’esistenza di termini brevissimi del tutto incompatibili con la prescelta interpretazione della inscindibilità degli effetti della notificazione. Con il quarto motivo deduce infine la illegittimità costituzionale della norma, in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., se intesa nel senso fatto proprio dalla Corte di appello di Roma.

2. Le proposte doglianze vanno congiuntamente esaminate in quanto costituenti, in sostanza, un’unica articolata censura. Può tuttavia subito sgombrarsi il campo da un’inesatta affermazione della Corte del merito: quella secondo cui la sentenza 12542-91, invocata dall’ENEL, si riferirebbe ad un’ipotesi di instaurazione del giudizio mediante deposito del ricorso. In realtà si trattava, in quel caso, di ricorso per cassazione, per il quale, come è noto, la notificazione è anteriore al deposito e segna la tempestività dell’impugnazione, sicché il precedente era pertinentemente richiamato.

3. Ciò premesso, va detto che il problema del perfezionamento della notificazione per il notificante e per il destinatario, nel caso di notifica a mezzo posta e di deposito del piego ai sensi dell’art. 8, comma 2, legge 890-8982, ha dato luogo, nella giurisprudenza di questa Corte, a soluzioni contrastanti.

Il richiamato comma 2 prevede il deposito del piego nell’ufficio postale se le persone abilitate a riceverlo in luogo del destinatario lo rifiutano ovvero in caso di temporanea assenza del destinatario o di mancanza, inidoneità o assenza delle persone predette. A sua volta, il comma 4 stabilisce che "la notificazione si ha per eseguita decorsi dieci giorni dalla data del deposito". Lo stesso effetto, ovviamente, si produce con il ritiro del piego depositato, quando ciò avvenga (comma 6).

A fronte di tali dati testuali un primo gruppo di sentenze ha ritenuto che non possa darsi scissione degli effetti della notificazione nei riguardi del notificante e del destinatario, per entrambi la notificazione dovendosi intendere perfezionata, in caso di deposito del piego, con il ritiro del medesimo durante la giacenza o con il compimento del tempo previsto per quest’ultima (v. Le sentenze 16 febbraio 1991 n. 1662 e 24 dicembre 1993 n. 12782, entrambe della prima Sezione civile). Altre pronunzie hanno invece riconosciuto tale scissione, precisando che la notifica si perfeziona, per il notificante, nel momento del deposito del piego, perché la giacenza di dieci giorni prevista dalla legge è diretta soltanto ad escludere che il destinatario possa ricevere pregiudizio processuale prima della scadenza di tale termine e non a differire, per l’altra parte, gli effetti di diritto sostanziale e processuale della notifica (v. Le sentenze 22 novembre 1991 n. 12542 e 2 aprile 1992 n. 4008, entrambe della terza Sezione civile, cui si è recentemente aggiunta la sentenza 27 aprile 1994 n. 4015 della prima Sezione).

Le sentenze del secondo orientamento sottolineano la identità di formulazione ("la notificazione si ha per eseguita") e di ratio fra la norma del quarto comma del citato art. 8 e quella dell’art. 143, ultimo comma, c.p.c. in tema di notificazione a persona di residenza, dimora o domicilio sconosciuti ovvero a persona non residente nè dimorante nè domiciliata nella Repubblica (art. 142 c.p.c.), precisando esser consolidato principio, risalente alla sentenza delle Sezioni unite 3554-1954, quello secondo cui il termine di venti giorni, previsto dall’ultimo comma dell’art. 143, non ha incidenza alcuna sulla tempestività degli atti del notificante, "bensì è disposto all’unico scopo di concedere al notificato che versi nelle particolari o deteriori situazioni previste dagli artt. 142 e 143 un maggior tratto di tempo per gli adempimenti processuali cui deve provvedere".

Le sentenze dell’opposto versante, a loro volta, rilevano che la situazione disciplinata dall’art. 8 della legge 890-1982 non è equiparabile, ai fini in esame, a quella degli artt. 142 e 143 c.p.c.: infatti, mentre per queste ultime norme le formalità di notificazione sono completate nel momento in cui si ipotizza perfezionata la notificazione per il notificante, restando soltanto da compiersi il decorso di un periodo di tempo, nel caso in esame, invece, dopo dieci giorni dal deposito, vanno compiute ulteriori formalità consistenti nell’apposizione sul piego, da parte dell’agente postale, della data, della firma e dell’annotazione "non ritirato", nonché nella spedizione del piego stesso al mittente con l’avviso di ricevimento.

Le stesse sentenze, a conferma della loro opzione interpretativa, ricordano che l’ultimo comma dell’art. 8, nell’ipotesi di mancanza o incertezza dei dati annotati sull’avviso di ricevimento dall’impiegato postale in caso di ritiro del piego durante la giacenza, prevede che la notificazione si consideri avvenuta "alla data risultante dal bollo di spedizione (al mittente) dell’avviso stesso". Si osserva che tale data "non può essere stata prevista per il destinatario, sia perché non avrebbe senso prevedere per il predetto la decorrenza dell’efficacia della notifica da un momento successivo a quello della effettiva conoscenza dell’atto conseguente al ritiro, sia perché trattasi di data apposta su un documento che non è nella disponibilità del notificando, ma del mittente".

L’ultimo comma dell’art. 8 sarebbe dunque dettato proprio a tutela del notificante, allo scopo di garantirgli una data di notificazione certa anche se non vantaggiosa. E pertanto, "se è stabilita in favore dell’istante l’unica ipotesi parzialmente sfavorevole allo stesso, devono ritenersi rivolte al medesimo tutte le altre norme che disciplinano la normalità dei casi, con l’ovvia conclusione che la notifica in tali casi è perfetta per l’attore solo con il compimento di tutte le formalità prescritte".

4. Ritengono le Sezioni unite di condividere e far proprio l’orientamento che distingue il perfezionarsi della notificazione nei riguardi del notificante e del destinatario, identificandolo, quanto al primo, nel momento in cui il piego, non potuto consegnare, è depositato nell’ufficio postale, e, quanto al secondo, nel momento in cui il piego è da lui ritirato durante la giacenza ovvero nel momento in cui si compie il decimo giorno di questa.

Allorquando, infatti, la notificazione viene in rilievo come compimento di attività da parte del notificante, alla quale si collega il rispetto di un termine posto dalla legge a suo carico, quale è, ad esempio, il termine per proporre impugnazione, appare razionale che la tempestività dell’atto si consideri verificata con il compimento, appunto, di quella attività, restando indifferente, a tal fine, l’ulteriore vacatio temporale prevista dalla legge (art. 8, comma 4, legge 890-1982 e art. 143 ult. comma c.p.c.). Tale ulteriore vacatio è invece rilevante ai fini del perfezionamento della notificazione allorché questa viene in considerazione non come attività del notificante ma come effetto di conoscenza per il notificato, essendo evidente che quel decorso temporale è appunto preordinato a favorire tale possibilità di presa di conoscenza dell’atto da parte del destinatario o comunque a tenere indenne quest’ultimo, per la durata del decorso stesso, dagli effetti sfavorevoli (decorrenza di termini e simili) dell’attività del notificante. Più sinteticamente, nel primo caso il notum facere rileva come attività e con il compimento di questa è realizzato, mentre nel secondo rileva come risultato, che in tanto può considerarsi raggiunto in quanto la conoscenza effettivamente si produca con il ritiro dell’atto (art. 8, comma 6) ovvero tutti gli elementi previsti per consentirla o per propiziarla, ivi compreso il decorso del tempo, si siano verificati (art. 8, comma 4).

Tale orientamento interpretativo, oltreché intrinsecamente ragionevole, risponde all’esigenza di evitare una contraddizione nel sistema. Esistono, infatti, atti da notificare in termini uguali o più brevi della vacatio contemplata dall’art. 143 c.p.c. o dall’art. 8 della legge 890-1982: si pensi all’opposizione agli atti esecutivi, che va proposta, prima dell’inizio dell’esecuzione, con citazione da notificarsi entro cinque giorni dalla notificazione del titolo esecutivo o del precetto (art. 617, comma 1, c.p.c.), e, fino alla recente novella, al termine di dieci giorni per la revocazione e l’opposizione di terzo revocatoria contro le sentenze dei conciliatori (art. 325 c.p.c., originariamente relativo anche all’appello contro tali sentenze). In tali ipotesi si produrrebbe (o si sarebbe prodotta) una vera e propria "rottura del sistema", se le norme in questione dovessero essere interpretate nel senso che la durata della vacatio vada posta a carico del notificante ai fini della tempestività dell’atto da notificare. D’altra parte, anche astraendo dagli accennati casi-limite e considerando termini perentori di maggior durata (come quello, di cui si trattava nella specie, di trenta giorni per appellare una sentenza del tribunale), non può negarsi che la respinta opzione interpretativa comporterebbe comunque una sensibile erosione del termine stesso, cagionando una irragionevole compressione del diritto di difesa.

Nella prospettiva fin qui seguita il problema della notificazione ai sensi dell’art. 143 e quello della giacenza del piego nel caso di notificazione a mezzo posta presentano una sostanziale identità, per cui non sarebbe possibile non applicare alla seconda ipotesi la soluzione giurisprudenziale che per la prima è risalente (S.U. 3554-1954) e ormai del tutto pacifica, oltreché implicitamente confortata da pronunzie della Corte costituzionale (v. le sentenze 10-1978 e 69-1994). Per certo non può dirsi che le due situazioni divergono perché l’art. 143 si limita a considerare il mero decorso del tempo mentre l’art. 8 della legge 890-1982 prevede, dopo la vacatio, la spedizione al mittente con l’annotazione "non ritirato", corredata di data e firma. Queste formalità non sono, infatti, comportamenti suscettibili di assumere rilevanza ai fini dell’integrazione della fattispecie notificatoria, ma costituiscono semplici adempimenti materiali e mera presa d’atto del vano decorso del tempo, che peraltro (come questa Corte ha già avuto occasione di precisare: sentenza 4428 del 1994) può essere anche altrimenti provato.

Neppure è convincente la deduzione che si pretende trarre dall’ultimo comma dell’art. 8. A parte la evidente faticosità dell’argomentazione sopra riportata e a parte il fatto che in dottrina, proprio da tale ultimo comma, è ricavata una sequenza argomentativa di segno opposto, va rilevato che la disposizione neppure si adatta (almeno letteralmente) all’ipotesi, ricorrente nella specie, di deposito del piego non seguita da ritiro.

5. Le considerazioni svolte dimostrano la fondatezza dell’articolata censura dell’ENEL, restando superata la questione di costituzionalità prospettata in subordine. Il ricorso va pertanto accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio della causa ad altra Sezione della Corte di appello di Roma.

6. L’esistenza del contrasto giurisprudenziale giustifica la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, a Sezioni unite, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra Sezione della Corte di appello di Roma. Compensa le spese del giudizio di legittimità.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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