Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
La società contribuente propose ricorso avverso comunicazione- ingiunzione notificata il 29.3.2007, con la quale l’Agenzia delle Entrate aveva provveduto al recupero delle imposte non versate, per l’anno d’imposta 1996, in forza del regime agevolativo, previsto, dalla L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 70, e L. n. 427 del 1993, art. 66, comma 14, a favore delle società per azioni a capitale pubblico maggioritario istituite ai sensi della L. n. 142 del 1990, art. 22; regime dichiarato incompatibile con il diritto comunitario, in quanto configurante illegittimo "aiuto di Stato", con decisione 2003/193/Ce del 5 giugno 2002 della Commissione europea.
In principalità, la ricorrente deduceva l’illegittimità degli atti impugnati e ne chiedeva l’annullamento. In particolare, negava che la somme conseguite potessero qualificarsi "aiuti di Stato", sostenendo di non aver mai svolto attività imprenditoriale sicchè il beneficio goduto non avrebbero, conseguentemente, mai potuto falsare la concorrenza e gli scambi tra Stati membri della Comunità. Lamentava, comunque, l’omessa applicazione della regola "de minimis". In via subordinata, chiedeva la rideterminazione dell’entità della somma complessivamente dovuta, contestandone l’importo imputato ad interessi.
Sull’opposizione dell’Agenzia, l’adita commissione tributaria accolse i ricorsi. Ritenne che le agevolazioni fiscali in oggetto non integravano "aiuti di Stato" incompatibili con le disposizioni del Trattato, poichè non comportavano "alterazione della concorrenza intracomunitaria".
In esito all’appello dell’Agenzia, le decisioni furono riformate dalla commissione regionale.
I giudici di appello riscontrarono, nella fattispecie, le condizioni d’incompatibilità sancita dalla decisione 2003/193/Ce della Commissione europea. Ciò, in particolare: perchè nell’anno d’imposta oggetto della controversia il patrimonio netto della società apparteneva a persone giuridiche private per il 25%, mentre la giurisprudenza comunitaria ha escluso l’operatività dell’in house providing (e la conseguente sottrazione al regime concorrenziale) per soggetti partecipati da privati, anche in via assolutamente minoritaria, e, perchè l’atto costitutivo prevedeva la possibilità di accettare commissioni anche da altri soggetti pubblici e privati;
perchè la fattispecie non rientrava nella disciplina del "de minimis", in quanto ne superavano il limite; c) che, anche alla luce di C. cost. 36/2009, non può parlarsi di illegittimità degli interessi applicati in quanto retroattivamente sanciti, perchè nella vicenda, riguardo a questi, non si verifica illegittima imposizione retroattiva ma recupero di esenzione fiscale indebitamente conseguita.
Avverso tale sentenza, la società contribuente ha proposto ricorso per cassazione in sette motivi, illustrati anche con memoria.
L’Agenzia ha resistito con controricorso.
La società contribuente propose ricorso anche avverso la cartella esattoriale emessa per la riscossione dell’importo oggetto del recupero di cui alla comunicazione-ingiunzione sopra indicata.
Il ricorso fu accolto dall’adita commissione tributaria, con decisione che, in esito all’appello dell’Agenzia, fu riformata dalla commissione regionale, che ribadì la legittimità degli atti impugnati.
I giudici di appello si richiamarono alla decisione, assunta in esito alla medesima udienza, sulla corrispondente comunicazione- ingiunzione.
Avverso tale sentenza, la società contribuente ha proposto ricorso per cassazione in quattro motivi, illustrati anche con memoria.
L’Agenzia ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
1) – Stanti le evidenti ragioni di connessione oggettiva e soggettiva, i ricorsi vanno riuniti ai sensi dall’art. 274 c.p.c. (applicabile anche in sede di legittimità: Cass. 18050/10, 18125/05).
2) – Tanto premesso, va osservato che, con i primi tre motivi del ricorso avverso la comunicazione-ingiunzione, la società contribuente propone altrettante censure di violazione di legge.
In particolare, con il primo motivo di ricorso, la società contribuente – deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 87 del Trattato C.e. e, comunque, della L. n. 62 del 2005, art. 27 – censura la decisione impugnata per non aver considerato che l’"aiuto di Stato" corrispondente alle imposte non versate in conseguenza di regime di esenzione fiscale, di cui è imposto il recupero ai sensi della decisione della Commissione 5.6.02 n. 2003/193/C.e., presuppone il carattere d’impresa del soggetto beneficiario dell’esenzione o, comunque, lo svolgimento da parte sua di un’attività di scambio di beni o di servizi economicamente rilevanti sul mercato; mentre essa ricorrente ha per oggetto statutario lo svolgimento di attività di studio, ricerca e sperimentazione e partecipa, peraltro, alla realizzazione di importante progetto di interesse europeo.
Con il secondo motivo di ricorso, la società contribuente – deducendo violazione e falsa applicazione della L. n. 62 del 2005, art. 27 e D.L. n. 10 del 2007, art. 1 – censura la decisione impugnata per non averla esclusa dal recupero in quanto rientrante nel regime "de minimis".
Con il terzo motivo di ricorso, la società contribuente – deducendo violazione e falsa applicazione del D.L. n. 10 del 2007, art. 1, comma 3, (conv. in L. n. 46 del 2007) nonchè del reg. U.e. n. 794/2004 e dell’art. 10 Cost. – censura la decisione impugnata in merito al calcolo degli interessi sull’aiuto recuperato.
Le riportate doglianze vanno disattese.
Posto che si verte in tema di ricorso per cassazione avverso sentenza di appello pubblicata dopo l’1.3.2006 e prima del 4.7.2009 (cfr.
Cass. 22578/09), occorre, prioritariamente rispetto ogni altra valutazione, rilevare l’inammissibilità delle censure proposte, per violazione delle prescrizioni di cui all’art. 366 bis c.p.c. in tema di "quesito di diritto".
Ai sensi della disposizione indicata, invero, il quesito inerente ad una censura in diritto – dovendo assolvere la funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale – non può essere meramente generico e teorico ma deve essere calato nella fattispecie concreta, per mettere la Corte in grado di comprendere dalla sua sola lettura, l’errore asseritamente compiuto dal giudice a quo e la regola applicabile; e, dovendosi risolvere in sintesi logico- giuridica della questione non avulsa dai rilevanti elementi fattuali della fattispecie concreta, non può, dunque, consistere in una semplice richiesta di accoglimento del motivo ovvero (come nel caso di specie) nel mero interpello della Corte in ordine alla fondatezza della propugnata petizione di principio o della censura così come illustrata nello svolgimento del motivo (v. Cass. s.u. 19444/09 e 3519/08, nonchè 7433/09, 15535/08, 19769/08).
A prescindere dall’indicato assorbente rilievo, la prima delle doglianze sopra riportate risulta da disattendere anche in diversa prospettiva.
Ed, invero, la natura imprenditoriale dell’attività espletata dalla società contribuente e la conseguente idoneità dell’esenzione conseguita ad alterare il regime di libera concorrenza risultano, invero, oggetto di accertamento del giudice a quo, fondato in particolare sull’interpretazione dell’atto costitutivo della società, che è accertamento in fatto non censurabile in sede di legittimità sul piano della violazione di legge (v. Cass. 12067/08, 26683/06).
Infatti – dopo aver evidenziato la condizioni che rendono indenni dal recupero d’imposta in rassegna – i giudici di appello ne escludono la ricorrenza in concreto, rilevando alle pagg. 4 e 5 della sentenza:
"Caratteristiche che, nel caso in esame, non risultano essere esistenti. E’ stato evidenziato dall’Ufficio, infatti, e non contrastato dalla società, che l’art. 2 dell’atto di trasformazione in società consortile per azioni, prevede operatività anche su commissione, con stipula di apposite convenzioni con università italiane e straniere, nonchè con soggetti pubblici o privati.
Nell’anno d’imposta oggetto di controversia, inoltre, il Patrimonio Netto della società appartiene per il 25% a persone giuridiche private e la Corte di Giustizia Europea, nel procedimento C-26/03, ha escluso l’operatività dell’in house per soggetti affidatari partecipati da un privato, anche in via assolutamente minoritaria ..".
Diversamente da quanto sostiene la società contribuente, nella fattispecie non può, d’altro canto, ravvisarsi la ricorrenza della condizione di compatibilita dell’"aiuto" di cui all’art. 87, (già 92), comma 3, lett. b, del Trattato. L’evocata partecipazione ad importante progetto di interesse europeo da parte di soggetto a tutt’altro titolo ammesso a regime di agevolazione fiscale è, infatti, di per sè inidonea a realizzare la condizione suddetta, che è normativamente prevista solo in relazione agli "aiuti destinati a promuovere la realizzazione di un importante progetto di comune interesse europeo".
Non diversamente da disattendere anche per ulteriori rilievi si rivelano il secondo ed il terzo motivo di ricorso.
Il secondo, perchè si basa su presupposto contrario all’accertamento in fatto della decisione impugnata, che assume che la fattispecie non rientra "nella disciplina del de minimis, in quanto il massimale risulta superato dalla somma delle esenzioni fruite dalla società".
Il terzo, perchè l’introdotta questione del calcolo degli interessi sull’aiuto recuperato, non risultando riproposta in appello, deve ritenersi preclusa D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 56 e art. 345 c.p.c.. Contrariamente a quanto prospetta la società contribuente nella memoria ex art. 378 c.p.c., infatti, la sentenza di appello da conto della proposizione, sul tema degli interessi, della sola questione della loro pretesa illegittimità in quanto retroattivamente applicati (questione che esamina e risolve in senso sfavorevole all’appellante), ma non fa cenno alcuno all’avvenuta proposizione in sede di gravame di questione sul relativo concreto computo (questione, del resto, nemmeno indicata come riproposta in appello nel ricorso della società ricorrente, con inevitabili negative ricadute sul piano dell’autosufficienza del ricorso).
3) – Con il quarto, il quinto, il sesto ed il settimo motivo di ricorso, la società contribuente deduce vizi di motivazione in merito, rispettivamente: alla natura di impresa del Centro Ricerche Marine; all’insussistenza dei presupposti per beneficiare del regime comunitario "de minimis"; alla determinazione degli interessi sull’aiuto di cui si pretende il recupero; al deconto dall’importo dell’esenzione recuperata delle ritenute subite.
In proposito occorre, prioritariamente, rilevare l’inammissibilità delle censure, per violazione delle prescrizioni di cui all’art. 366 bis c.p.c., in tema di "momento di sintesi".
Invero, in ipotesi di deduzione di vizio motivazionale, la disposizione indicata, è violata quando il fatto controverso coinvolto dal motivo, in relazione al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione, e le ragioni, per cui la motivazione medesima sia reputata inidonea a sorreggere la decisione, s’identifichino (come nel ricorso in rassegna) solo in esito alla completa lettura del motivo e non in base alla specifica sintesi offertane dal ricorrente, al fine dell’osservanza del requisito sancito dall’art. 366 bis, (v. Cass. 4311/08, 4309/08, 20603/07, 16002/07).
In disparte tale assorbente rilievo, deve rilevarsi che il quarto motivo tende, altresì, a risolversi in inammissibile sindacato in fatto.
Invero – a fronte dell’articolata motivazione, con la quale il giudice a quo, ha dato conto, sulla scorta degli elementi acquisiti, dell’accertato riscontro della natura imprenditoriale dell’attività svolta dalla società contribuente e della conseguente idoneità dell’"aiuto" riscontrato ad alterare la concorrenza – con l’indicata doglianza, la società contribuente, pur apparentemente prospettando carenze motivazionali, tende, in realtà, a rimettere in discussione, contrapponendovene uno difforme, l’apprezzamento in fatto del giudice di merito, che, in quanto basato sull’analitica disamina degli elementi di valutazione disponibili ed espresso con motivazione immune da lacune o vizi logici, si sottrae al giudizio di legittimità. Nell’ambito di tale giudizio, non è, infatti, conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, restando a questo riservate l’individuazione delle fonti del proprio convincimento e, all’uopo, la valutazione delle prove, il controllo della relativa attendibilità e concludenza nonchè la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr. Cass. 22901/05, 15693/04, 11936/03).
Ulteriormente inammissibili si rivelano, altresì, gli ultimi tre motivi di ricorso.
Il quinto, per genericità e difetto di autosufficienza, non emergendo indicazione alcuna in merito all’effettiva entità degli "aiuti" dedotti in controversia ed alla loro inquadrabiltà, negata dal giudice a quo, nell’ambito del criterio "de minimis". Il sesto, perchè andava, semmai, prospettato in termini di omessa pronunzia.
Il settimo, perchè introduce una questione "nuova", almeno in prospettiva di autosufficienza, introducendo un tema di decisione (quello della detrazione, dalla somme oggetto di recupero, delle imposte versate) che, nè dalla sentenza impugnata nè dal ricorso per cassazione, risulta proposto e trattato davanti al giudice del merito (v. Cass. 14.590/05, 13.979/05, 6656/04 5561/04).
4) – Con il primo motivo del ricorso avverso la decisione di appello intervenuta nel giudizio concernente la cartella esattoriale, la società contribuente deduce nullità della sentenza impugnata per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 111 Cost., per essere la stessa stata motivata a mezzo di acritico rinvio per relationem alla decisione emessa dagli stessi giudici.
Con il secondo ed il terzo motivo, la società contribuente lamenta il vizio di motivazione, rispettivamente, in merito al motivo d’appello dell’Agenzia teso all’affermazione dell’inammissibilità del ricorso introduttivo per inesistenza di vizi propri della cartella di pagamento nonchè alla ritenuta assenza di vizi propri dell’iscrizione a ruolo e dalla cartella.
Con il quarto motivo la società contribuente lamenta l’illegittimità della sentenza impugnata per omessa motivazione e per violazione di legge, riproponendo tutte le doglianze già proposte con il ricorso relativo al giudizio, concernente la comunicazione-ingiunzione, avente ad oggetto il merito della pretesa erariale.
Le doglianze vanno disattese.
La prima è infondata.
Invero, dallo stesso ricorso della società contribuente emerge che l’oggetto della controversia sulla cartella di pagamento, qui esaminata, è stato, sin dall’introduzione della lite, esclusivamente incentrato sul merito della pretesa erariale, nel contempo contrastato nella (appropriata) sede del giudizio instaurato con il ricorso avverso la comunicazione-ingiunzione. Tale circostanza e una lettura della decisione qui impugnata, che ne valuti complessivamente, ponendole in relazione, narrativa e motivazione in senso stretto, rivelano chiaramente che detta decisione ha richiamato la contestuale sentenza sulla comunicazione-ingiunzione, non in via di acritica relationem alla relativa motivazione, ma come dato storico comportante l’infondatezza dell’impugnativa contro la cartella; sicchè, consentendo compiuta ricostruzione e controllo della propria ratio decidendi, deve ritenersi sufficientemente motivata.
Il secondo motivo è inammissibile per carenza d’interesse, avendo per oggetto il mancato esame di un motivo dell’appello della controparte restato assorbito nella decisione.
Il terzo motivo è, a tacer d’altro, carente sul piano dell’autosufficienza, non risultando indicati, nè dalla sentenza impugnata nè dal ricorso per cassazione, i vizi propri della cartella di pagamento che sarebbero stati dedotti nel ricorso introduttivo.
Le doglianze prospettate con il quarto motivo (oltre che inammissibili, in quanto proposte nella controversia avverso la cartella di pagamento, ove possono aver ingresso solo i vizi propri della cartella medesima) sono infondate per i motivi già esposti in merito al ricorso concernente il giudizio sulla comunicazione- ingiunzione.
5) – Alla stregua delle considerazioni che precedono, s’impone i rigetto dei ricorsi.
Per la soccombenza, la società contribuente va condannata alla refusione delle spese del giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
la Corte: riunisce i ricorsi e li rigetta; condanna la società contribuente alla refusione delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 4.500,00 oltre spese prenotate a debito.
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