Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con sentenza in data 24.9.2010 il GIP presso il Tribunale di Roma, all’esito dell’udienza preliminare emetteva sentenza ex art. 425 c.p.p., comma 3 nei confronti di I.F., C.G., A.R. e L.G. in ordine al reato di truffa aggravata in danno dei funzionari dell’ATER, perchè gli elementi acquisiti non erano idonei a sostenere l’accusa.
Osservava il giudice che la condotta criminosa ipotizzata dal P.M. consisterebbe nell’avere gli imputati adottato artifici e raggiri consistenti nell’aver contabilizzato e liquidato circa 238.000 Euro in più rispetto a quanto dovuto per lavorazioni mai eseguite o eseguite parzialmente, applicando prezzi non conformi alle lavorazioni svolte, contabilizzando oneri non dovuti, liquidando SAL per lavorazioni non ancora eseguite. Condotta che avrebbe indotto in errore i competenti funzionari dell’ATER con ingiusto profitto da parte degli imputati. Riteneva che gli atti di indagini espletati non erano idonei a sostenere l’accusa. In particolare sottolineava come emergesse il dubbio che la contabilizzazione, così come indicata nel capo di imputazione, fosse frutto di un atteggiamento doloso tipico dei raggiri. Sottolineava inoltre la mancata prova in ordine a rapporti amicali fra gli imputati.
Ricorre per Cassazione il P.M. sottolineando l’illogicità della motivazione che in maniera apodittica a fronte di dati processuali non univoci ritiene superfluo il dibattimento.
Prima di affrontare le ragioni poste a fondamento dell’impugnazione proposta è necessario svolgere alcune considerazioni sulla natura e sull’inquadramento sistematico della sentenza di non luogo a procedere pronunziata all’esito dell’udienza preliminare.
Pur di fronte ad un profondo mutamento della struttura e della disciplina dell’udienza preliminare (soprattutto con l’ampliamento dei poteri istruttori del giudice a seguito della L. 16 dicembre 1999, n. 479, art. 23, comma 1, che modifica l’art. 425 c.p.p.), deve però affermarsi che non muta sostanzialmente la regola di giudizio finale dell’udienza preliminare. La sentenza di non luogo a procedere deve ancora essere pronunziata in presenza dei medesimi presupposti previsti dopo l’entrata in vigore della L. n. 105 del 1993.
In altre parole anche all’esito delle modificazioni portate dalla Legge Carotti l’udienza preliminare non ha subito una modifica della sua originaria natura che era e resta di natura processuale e non di merito. Se è vero infatti che le modifiche portate dalla legge citata hanno conferito all’udienza preliminare aspetti più significativi relativi al merito dell’azione penale – in particolare per l’ampliamento dei poteri officiosi relativi alla prova (il vecchio testo della rubrica dell’art. 422 c.p.p. parlava di sommarie informazioni, adesso si parla di integrazione probatoria), è altrettanto vero che identico è rimasto lo scopo cui l’udienza preliminare è preordinata: evitare i dibattimenti inutili, non accertare se l’imputato è colpevole o innocente.
Non è sicuramente irrilevante se, all’udienza preliminare, emergono elementi di prova che, in dibattimento, potrebbero ragionevolmente condurre all’assoluzione dell’imputato ma il proscioglimento deve essere, dal giudice dell’udienza preliminare, pronunziato solo se ed in quanto questa situazione di innocenza sia ritenuta non superabile in dibattimento dall’acquisizione di nuove prove o da una diversa e possibile rivalutazione degli elementi di prova già acquisiti.
In sintesi il quadro probatorio e valutativo delineatosi all’udienza preliminare deve essere, con un giudizio di ragionevolezza, ritenuto immutabile.
Si può affermare che il giudice dell’udienza preliminare ha il potere di pronunziare la sentenza di non luogo a procedere solo in quei casi nei quali non esista una prevedibile possibilità che il dibattimento possa pervenire ad una diversa soluzione, in altre parole ancora quando il dibattimento appare superfluo.
Non contrasta con questa interpretazione il tenore dell’art. 425 c.p.p., comma 3, che prevede la pronunzia della sentenza di non luogo a procedere, "anche quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contradditori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio".
Nella norma – che riecheggia la regola di giudizio prevista dall’art. 530 c.p.p. – si trova infatti conferma di quanto indicato. Il parametro ancora una volta non è l’innocenza dell’imputato, ma l’impossibilità di sostenere l’accusa in giudizio.
L’insufficienza e la contraddittorietà degli elementi devono quindi avere caratteristiche tali da non poter essere ragionevolmente considerate superabili nel giudizio.
La situazione non deve poter essere considerata suscettibile di chiarimenti o sviluppi nel giudizio. Questo giudizio prognostico vale sia per l’ipotesi dell’insufficienza che per quella della contraddittorietà. Entrambe queste caratteristiche legittimano la pronunzia di una sentenza di non luogo a procedere solo se non appariranno superabili nel giudizio.
In conclusione, a meno che ci si trovi in presenza di elementi palesemente insufficienti per sostenere l’accusa in giudizio, per l’esistenza di prove positive di innocenza o per la manifesta inconsistenza di quelle di colpevolezza, la sentenza di non luogo a procedere non è consentita quando l’insufficienza o contraddittorietà degli elementi acquisiti siano superabili in dibattimento Si può affermare in aderenza anche a quanto affermato in dottrina che "sfuggono all’epilogo risolutivo i casi nei quali, pur rilevando incertezze, la parziale consistenza del panorama d’accusa è suscettibile di essere migliorata al dibattimento".
Quello indicato è del resto l’orientamento della giurisprudenza di questa Corte che, dopo la riforma del 1999, ha ribadito i principi indicati (si vedano in questo senso Cass., Sez. 6, 16.11.2001 n. 42275, Acampora, rv. 221303; 06.04.2000 n. 1662, Pacifico, rv.
220751; Cass. 19.4.2007; Cass. N. 13163/2008) del resto, in precedenza, fatti propri anche dalla Corte costituzionale (v. sentenza 15.03.1996 n. 71 che così si esprime su questo punto:
"l’apprezzamento del merito che il giudice è chiamato a compiere all’esito della udienza preliminare non si sviluppa, infatti, secondo un canone, sia pur prognostico, di colpevolezza o di innocenza, ma si incentra sulla ben diversa prospettiva di delibare se, nel caso di specie, risulti o meno necessario dare ingresso alla successiva fase del dibattimento: la sentenza di non luogo a procedere, dunque, era e resta, anche dopo le modifiche subite dall’art. 425 c.p.p., una sentenza di tipo "processuale", destinata null’altro che a paralizzare la domanda di giudizio formulata dal Pubblico Ministero").
L’esame della sentenza impugnata dimostra che il giudice di merito non si è attenuto ai principi indicati.
La sentenza, dopo aver richiamato le differenti conclusioni cui erano pervenuti gli esperti (Arch. M., Ing. D.L. e Arch.
B.), sottolinea come gli elementi dagli stessi indicati inducono a dubitare che le contabilizzazioni come indicate nel capo di imputazione siano frutto di un atteggiamento doloso tipico dei raggiri/artifici e quindi di un’intenzionale falsa rappresentazione della realtà e conclude affermando che dagli atti non emergono elementi idonei a fondare la responsabilità penale degli imputati, salva la responsabilità contabile e salve le conclusioni del giudizio civile pendente tra le parti, perchè appare difficoltosa la prova del requisito psicologico del reato.
E’ evidente che la regola di giudizio utilizzata è quella del dibattimento e non quella dell’udienza preliminare. E non si tratta solo di una questione formale ma di un errore di impostazione logico- giuridica reso evidente dalla circostanza che, nella sentenza, alcuna valutazione prognostica viene fatta sulla possibilità di superare, nel dibattimento, l’insufficienza e la contraddittorietà del quadro probatorio. Consegue alle considerazioni svolte l’annullamento della sentenza impugnata.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Roma per nuovo esame.
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