Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
V.G., proprietaria di un immobile locato, a uso ristorante, a (OMISSIS) di Cantiani Vinicio e Flavio s.n.c., intimò alla società conduttrice sfratto per morosità in ragione del mancato pagamento, entro il giorno 15 del mese, dei canoni relativi ai mesi di maggio e giugno 2007. Si costituirono in giudizio sia la società convenuta che, in proprio, i soci della medesima, contestando le avverse pretese e chiedendo, in via riconvenzionale, la condanna della controparte al pagamento delle spese e dei danni per responsabilità aggravata.
Con sentenza del 29 gennaio 2009 il Tribunale di Ancona, sezione dist. di lesi, per quanto qui interessa, dichiarò cessata la materia del contendere, in conseguenza della avvenuta riconsegna dell’immobile, in data 23 gennaio 2009; condannò la conduttrice al pagamento dei canoni dovuti fino al rilascio dell’immobile, oltre interessi; respinse la domanda di danni e quella volta ad ottenere la restituzione del deposito cauzionale, spiegate dai convenuti.
Proposto gravame da Vimas di Cantiani Vinicio & C. s.a.s. e da V. e C.F., la Corte d’appello, in data 19 ottobre 2009, lo ha respinto.
Per la cassazione di detta pronuncia ricorrono a questa Corte i soccombenti, formulando cinque motivi. Resiste con controricorso V.G..
Motivi della decisione
1.1 Con il primo motivo gli impugnanti denunciano violazione degli artt. 156 e segg. 299 e 300 cod. proc. civ., nullità dei procedimenti e delle sentenze di primo e di secondo grado.
Le critiche si appuntano contro l’affermazione del giudice di merito secondo cui doveva escludersi che la mancata interruzione del processo, a seguito della nomina di un amministratore di sostegno a C.V., avesse determinato la nullità del procedimento e della sentenza di prime cure, considerato che, benchè il decreto emesso il 17 settembre 2009 stabilisse che l’amministratore di sostegno doveva provvedere in luogo del beneficiario al compimento di tutti gli atti, sia di ordinaria che straordinaria amministrazione, tuttavia la nomina dello stesso era stata prevista come temporanea dal giudice tutelare ed era stata poi di fatto revocata il 31 luglio 2008. Sostengono per contro i ricorrenti che l’adozione della misura – avvenuta con un decreto che evidenziava l’ampia limitazione della capacità di C.V., presente in giudizio sia in proprio, che quale amministratore della società conduttrice – una volta dichiarata in udienza dal procuratore della parte, doveva determinare l’interruzione del processo di primo grado, a norma degli artt. 299 e 300 cod. proc. civ., di talchè la mancata adozione di tale provvedimento integrava una nullità dello stesso e della sentenza che lo aveva concluso. La Corte d’appello, affermando, in contrasto con i consolidati orientamenti della giurisprudenza di legittimità, che la revoca del provvedimento di nomina dell’amministratore aveva determinato la sanatoria, con effetto retroattivo, della nullità della sentenza di primo grado, era incorsa in errore.
1.2 Con il secondo mezzo i ricorrenti denunciano vizi motivazionali con riferimento al rilievo dato dal giudice di merito, ai fini della sanatoria della nullità, sia alla revoca del provvedimento di nomina dell’amministratore, pur dopo il riconoscimento della limitazione della capacità del C. in relazione a tutti gli atti di amministrazione, sia alla natura presumibilmente temporanea dell’invalidità dello stesso, benchè la nomina dell’amministratore di sostegno fosse stata pacificamente disposta a tempo indeterminato.
2.1 Le critiche, che si prestano a essere esaminate congiuntamente per la loro intrinseca connessione, non colgono nel segno, anche se la motivazione del provvedimento impugnato va, sul punto, integrata e corretta, ex art. 384 c.p.c., u.c.. Premesso che la misura di protezione in discorso è, per sua natura, presidio mobile nel tempo e nella struttura, ablativo della capacità nei soli limiti specificamente e di volta in volta indicati dal giudice tutelare, anche a voler ritenere che, nella fattispecie, per l’oggettiva estensione dei poteri rappresentativi attribuiti all’amministratore (e della speculare riduzione dell’autonomia di gestione del beneficiario), l’adozione e la revoca dell’istituto imponessero al giudice di prime cure di interrompere il processo, nel momento in cui furono comunicate in udienza o notificate alle altre parti, la declaratoria di nullità della sentenza del Tribunale, da parte della Corte d’appello, non avrebbe guadagnato all’impugnante la rimessione della causa al primo giudice, stante la tassatività dei casi in cui questa può aver luogo e il connesso principio della conversione dei vizi della sentenza di primo grado in motivi di impugnazione: di talchè, in definitiva, il giudice del gravame, dichiarata la nullità, avrebbe pur sempre dovuto trattenere la causa e deciderla nel merito (confr. Cass. civ. 11 aprile 2011, n. 8159; Cass. civ. 23 giugno 2006, n. 14650). Il che è esattamente quel che ha fatto la Curia anconetana.
2.2 A ciò aggiungasi che i ricorrenti neppure prospettano quali lesioni siano, in concreto, derivate ai loro diritti e alle loro facoltà processuali dalla mancata interruzione del processo, in dipendenza sia dell’entrata che dell’uscita dell’amministratore di sostegno dalla storia giuridica di C.V.. Se è vero, infatti, che la violazione delle norme sull’interruzione determina la nullità di tutti gli atti compiuti successivamente al verificarsi dell’evento interruttivo o alla dichiarazione o notificazione di esso, non solo trattasi di nullità relativa, in quanto tale eccepibile, ex art. 157 cod. proc. civ., soltanto dalla parte nel cui interesse sono poste le norme medesime, e, cioè, dalla parte colpita dall’evento (Cass. civ. 28 novembre 2007, n. 24762; Cass. civ. 6 settembre 2002, n. 12980), ma, come si diceva innanzi, la nullità, comunicandosi alla sentenza, si converte in motivo di impugnazione (Cass. 18.3.2005, n. 5896; Cass. 15.1.2003, n. 6300). Ne consegue che il suo rilievo soggiace al principio dell’interesse al gravame, e cioè alla verifica dell’utilità concreta derivabile alla parte dall’eventuale accoglimento del mezzo azionato (confr. Cass. civ. 23 maggio 2008, n. 13373), il che, coordinato con il parallelo criterio per cui l’interesse a denunciare la violazione di una norma processuale in tanto sussiste in quanto l’inosservanza abbia leso la sfera giuridica del deducente o comunque scardinato il regolare svolgimento del contraddittorio (confr. Cass. civ. 13 luglio 2007, n. 15678), comporta che l’impugnante deve indicare specificamente quale sia stato il pregiudizio arrecato alle proprie attività difensive dalla invocata nullità processuale (confr. Cass. civ. 4 giugno 2007, n. 12952).
In definitiva, il silenzio serbato sul punto dai ricorrenti, disvelando il carattere meramente formale e sostanzialmente specioso del vizio denunciato, rafforza i profili di inammissibilità delle proposte censure per difetto di interesse.
3 Con il terzo motivo si deduce violazione dell’art. 96 cod. proc. civ., artt. 1175 e 1375 cod. civ.. Le critiche si appuntano contro il giudizio di gravita dell’inadempimento addotto dalla locatrice a sostegno della sua domanda di risoluzione, senza considerare che la proprietaria aveva violato i principi di correttezza e buona fede che devono presiedere allo svolgimento dei rapporti contrattuali, avendo omesso di segnalare alla conduttrice il mancato pagamento dei canoni, del quale era stata incaricata una banca. Nè era vero che il denaro esistente sul conto intestato alla società fosse comunque insufficiente al pagamento, posto che il direttore dell’Istituto di credito responsabile del mancato versamento dei canoni aveva attestato esattamente il contrario.
4 Anche tali censure sono destituite di fondamento. Secondo il decidente le ragioni addotte dalla società a giustificazione del grave ritardo con il quale erano stati pagati i canoni di giugno e luglio erano irrilevanti, considerato che il conduttore assume i rischi del mezzo di pagamento prescelto e che, in ogni caso, era suo onere assicurarsi del puntuale adempimento dell’obbligazione, da parte della banca. Ha aggiunto, all’esito di una approfondita disamina dei movimenti registrati sul conto corrente intestato alla società, che l’affermata costituzione di una provvista sufficiente per far fronte al pagamento era priva di riscontro; che, considerato l’importo del corrispettivo, il mancato adempimento allegato dalla locatrice era idoneo a incidere sull’economia complessiva del rapporto, e ciò tanto più che analoga morosità si era contestualmente verificata nell’esecuzione del separato contratto di affitto dell’azienda; che nel novembre del 2006 era stato introdotto altro giudizio di sfratto per morosità, indice della scarsa disponibilità della locatrice a tollerare ritardi nei pagamenti.
5 Trattasi, a giudizio del collegio, di apparato argomentativo corretto sul piano logico e giuridico, a fronte del quale i rilievi formulati in ricorso, attraverso la surrettizia evocazione di violazioni di legge, in realtà inesistenti, mirano solo a sollecitare una rilettura dei fatti e delle prove, preclusa in sede di legittimità. E invero tutte le circostanze asseritamente dimostrative della non gravita dell’inadempimento, soprattutto nell’ottica di una pesante slealtà della controparte, sono state già vagliate dal decidente e considerate nell’ambito di una valutazione ispirata a criteri di comune buon senso e a massime di esperienza ampiamente condivisibili – o prive di riscontro o inidonee a sostenere la ricostruzione dei fatti fornita dall’appellante. Ne deriva che il relativo apprezzamento – cha ha carattere di stretto merito – in quanto adeguatamente motivato, è incensurabile in sede di legittimità. 6 Con il quarto motivo gli impugnanti denunciano vizi motivazionali, in relazione alla condanna al pagamento dei fitti dovuti per i mesi di novembre e dicembre 2008, nonchè di gennaio 2009, senza considerare che, insieme ai locali, i conduttori avevano restituito anche l’azienda, e che, a fronte di migliaia di beni riconsegnati, come da scrittura depositata il 29 gennaio 2009, la mancata rimozione di due flipper era certamente ben poca cosa. Aggiungono che lo stato dei locali era praticamente lo stesso in occasione del secondo incontro, allorchè si era dato corso alla restituzione, di talchè erano affatto oscure le ragioni per le quali la stessa era stata la prima volta rifiutata.
7 Il motivo non ha pregio.
Su questo specifico punto la Corte territoriale ha motivato il suo convincimento rilevando che il 4 novembre 2008 non era stato possibile effettuare il rilascio perchè non solo l’immobile non era stato liberato di tutti gli arredi ma, in violazione degli impegni contrattualmente assunti, neppure erano stati rivolturati i contratti di somministrazione dei servizi e riconsegnate le licenze e le autorizzazioni amministrative. Ha aggiunto che dal verbale di consegna, redatto il 23 gennaio 2009, si evinceva che neanche a quella data i locali erano completamente sgombri, tanto che nell’occasione, si erano dovuti concordare tempi e modalità della sua definitiva liberazione.
Il giudice di merito si è cioè mosso nella prospettiva che solo in occasione del secondo accesso le condizioni dell’immobile erano tali che un rifiuto di accettare la riconsegna avrebbe potuto essere tacciato di pretestuosità. Ma, se così è, le doglianze esposte nel motivo muovono da una versione dei fatti affatto diversa, rispetto a quella assunta dal giudicante a fondamento della scelta decisoria adottata, senza che neppure siano indicate – con la precisione richiesta dall’osservanza del principio di autosufficienza del ricorso – le risultanze istruttorie di cui la Corte territoriale avrebbe fatto malgoverno. Il che, sul piano processuale, si traduce in un vizio di eccentricità e genericità delle censure, rispetto alle argomentate ragioni della decisione, nonchè nella tracimazione delle argomentazioni esposte nel motivo dall’area di quelle consentite nel giudizio di legittimità. 8 La negativa valutazione della fondatezza delle critiche sin qui esaminate comporta l’assorbimento del quinto mezzo, con il quale gli impugnanti prospettano violazione dell’art. 96 cod. proc. civ., artt. 1175, 1375 e 2043 cod. civ., nonchè vizi motivazionali, in relazione al mancato accoglimento della domanda di risarcimento dei danni, patrimoniali e non, causati dall’iniziativa giudiziaria intentata in mala fede dalla locatrice, laddove la stessa aveva pregiudicato la loro salute e la loro capacità di lavoro.
E’ infatti a dir poco ovvio che il giudizio di fondatezza della domanda della locatrice e l’insussistenza di qualsivoglia profilo di illiceità nelle modalità con le quali la stessa ha gestito il rapporto con la società conduttrice, preclude la possibilità di ritenerla responsabile dei pregiudizi lamentati dagli impugnanti.
Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 2.200,00 (di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre IVA e CPA, come per legge.
Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2012.
Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2012
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