Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
In data (OMISSIS) C.V., alla guida di una Peugeot 405 assicurata per la R.C. da Sai Assicurazione Spa, stava percorrendo la (OMISSIS) in agro del (OMISSIS) quando, giunto al Km (OMISSIS), si avvedeva di una Fiat Argenta, condotta da M.R. e di proprietà del Consorzio di Bonifica Trigno e Biferno (priva di copertura assicurativa per cui la relativa responsabilità civile era garantita dalla Sai, poi Fondiaria-Sai per conto del FGVS) la quale, provenendo in retromarcia da una strada interpoderale sulla destra, stava immettendosi sulla statale. Il C., spostatosi verso sinistra, al centro della carreggiata, impattava con una Renault 5, condotta da Ab.
R., di proprietà di A.B., assicurata per la R.C. dall’Abeille Assicurazioni Spa, poi Axa Assicurazioni Spa, la quale aveva appena effettuato il sorpasso di un’autoambulanza, di proprietà dell’USL (OMISSIS) di Larino, recante a bordo oltre l’autista, V.V., un’infermiera, G.A.C., ed una paziente G.M., la quale a sua volta impattava con la Peugeot subendo tra l’altro la lacerazione del serbatoio del carburante, la cui fuoriuscita provocava la deflagrazione delle fiamme che avvolgevano i due veicoli rimasti incastrati ed il decesso di tutti gli occupanti. A seguito dell’incidente vennero introdotti davanti al Tribunale di Larino cinque distinti giudizi, successivamente riuniti.
In esito, il Tribunale adito dichiarava cessata la materia del contendere relativamente alle pretese fatte valere dagli eredi delle tre persone occupanti dell’ambulanza; dichiarava il M., il C. e l’ Ab. corresponsabili del sinistro, i primi due nella misura del 40% ed il terzo in quella del 20%; condannava i medesimi, in solido tra loro, con la Sai Assicurazioni Spa, anche nella qualità di gestore del FGVS, l’ A. e l’Abeille Assicurazioni Spa, nonchè il Consorzio di Bonifica, al pagamento in favore degli eredi del C. ( L.I., C. G., C.M.C.) delle somme, rispettivamente, di Euro 487.147,02, di Euro 182.553,60, di Euro 353.473,066 oltre rivalutazione secondo gli indici Istat dal sinistro alla pubblicazione della sentenza; condannava gli eredi del C., la Sai, il M., il Consorzio, l’ Ab., l’ A., l’Abeille, in solido tra loro, al pagamento in favore dell’Usl (OMISSIS) della somma di Euro 20.658,27 oltre interessi compensativi dal sinistro alla pubblicazione della sentenza ed oltre interessi legali dalla pubblicazione della sentenza al saldo; condannava inoltre i predetti al pagamento in favore dell’Inail della somma di Euro 351.709,51, versata dall’Istituto a titolo di indennità ai familiari dei due lavoratori deceduti a bordo dell’ambulanza a causa di servizio oltre interessi; condannava il M., il Consorzio, il Fondo di garanzia, l’ A., l’Abeille in solido tra loro al pagamento, in favore della Sai, della somma di Euro 148.739, 58 oltre interessi; provvedeva al governo delle spese.
Avverso tale decisione proponevano appello con atti separati il M., l’Axa Assicurazioni, il Consorzio, la Fondiaria Sai, nella qualità di impresa designata dal Fondo di Garanzia ed in esito ai giudizi riuniti la Corte di Appello di Campobasso con sentenza depositata in data 4 maggio 2010 dichiarava che sulle somme liquidate a favore della Fondiaria Sai, quale avente causa degli eredi di G.M., V.V. e G.A.C. spettavano gli interessi legali, secondo le modalità stabilite nella sentenza impugnata, a far tempo dalla data del pagamento al soddisfo;
chiariva che il Fondo di Garanzia non era destinatario della condanna al pagamento del risarcimento in favore di ASL n. (OMISSIS) Basso Molise e che rispondeva delle ulteriori somme oggetto di condanna nei limiti del massimale di legge alla data del sinistro come pure nei limiti del massimale contrattuale alla data del sinistro rispondeva di dette somme l’Axa Assicurazioni; dichiarava inammissibile perchè tardiva la domanda di adeguamento pecuniario proposta dall’Inail; rigettava per il resto gli appelli principali e incidentali proposi; provvedeva al governo delle spese.
Avverso la detta sentenza il Consorzio di Bonifica Trigno e Biferno ha proposto ricorso per cassazione articolato in sei motivi mentre hanno proposto ricorsi incidentali in due motivi C. G., C.M., ed il M., ricorso incidentale in un solo motivo l’Inail nonchè l’Axa Assicurazioni Spa.
Resistono con controricorso illustrato da memoria l’Axa Assicurazioni Spar l’Asl (OMISSIS), il Consorzio di Bonifica, l’Inail nonchè con il solo controricorso C.G., C.M., in proprio e quale erede di L.C.I., il M. e la Fondiaria Sai Spa.
Motivi della decisione
In via preliminare, vanno riuniti il ricorso principale e quelli incidentali, in quanto proposti avverso la stessa sentenza.
Sempre in via preliminare, deve soffermarsi l’attenzione sull’eccezione di inammissibilità del ricorso principale, eccezione proposta dalla contro ricorrente C.M. in base alla considerazione che la notifica del ricorso per cassazione sarebbe inesistente essendo stato l’atto notificato presso lo studio della resistente in Termoli via Adriatica 23 L nonchè presso il domiciliatario nel giudizio di appello, prima dell’interruzione del giudizio, mentre avrebbe dovuto essere invece notificato alla parte personalmente, presso la sua residenza, essendo la stessa rimasta contumace dopo la riassunzione del giudizio interrotto.
L’eccezione è infondata. Ed invero, l’inesistenza della notificazione, come tale insuscettibile di sanatoria, è configurabile solo quando essa manchi totalmente oppure quando l’attività compiuta esca completamente dallo schema legale del procedimento notificatorio, essendo stata effettuata in modo assolutamente non previsto dalla normativa. Il parametro elaborato per distinguere l’inesistenza dalla nullità dell’atto giuridico comporta infatti che sussiste nullità della notificazione, e non inesistenza, allorchè i vizi siano tali da non escludere l’eventualità della conoscenza dell’atto da parte del destinatario, come potenziale sviluppo dell’attività dell’ufficiale notificante, anche se irritualmente compiuta (Cass. 16900/03). Ne deriva che una notificazione è soltanto nulla e deve ritenersi sanata in virtù del raggiungimento dello scopo quando la consegna sia comunque avvenuta mediante rilascio di copia dell’atto a persona ed in luogo aventi un qualche riferimento con il destinatario della notificazione ed il notificando, così come è avvenuto nella specie, mostra di aver avuto piena conoscenza del contenuto dell’atto ed ha potuto dedurre i vizi relativi alla notifica nonchè difendersi nel merito.
Procedendo all’esame del ricorso principale, va osservato che con la prima doglianza articolata sia sotto il profilo della violazione e falsa applicazione dell’art. 168 c.p.c., art. 347 c.p.c., comma 3 e art. 36 disp. att. c.p.c. sia sotto il profilo della motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria, il ricorrente Consorzio lamenta che la Corte di appello, dopo aver dato atto che, fatta eccezione per la sentenza penale di secondo grado, risultavano mancare nel fascicolo d’ufficio gli atti dei procedimenti penali acquisiti in prime cure – unici elementi sui quali era stata fondata la sentenza di primo grado – aveva, poi ritenuto di non disporne l’acquisizione in quanto gli atti di indagine risultavano comunque analiticamente riassunti dal Tribunale e nessuna delle parti aveva contestato che il Tribunale non ne avesse esposto con esattezza il contenuto. Al contrario, come emergeva dalla lettura del secondo e terzo motivo dell’appello del Consorzio, la sua difesa aveva invece contestato "sia il merito degli accertamenti compiuti dagli agenti di P.G e dal CTU D. sia la ricostruzione della dinamica del sinistro effettuata dal primo Giudice, rilevando, tra l’altro, che in varie parti tale ricostruzione non corrispondeva agli accertamenti della P.G. e del CTU".
La censura è inammissibile per un duplice ordine di considerazioni.
In primo luogo, per difetto di correlazione con le ragioni della decisione. Ed invero, premesso che la Corte di Appello ha ritenuto che fosse superfluo rimettere la causa sul ruolo ai fini della riacquisizione degli atti relativi al processo penale, perchè tali atti di indagine erano stati comunque analiticamente riassunti dal Tribunale e nessuna delle parti aveva contestato che il Tribunale non ne avesse esposto con esattezza il contenuto, risulta evidente come la ragione di doglianza non sia assolutamente in linea con la decisione dei giudici di merito in quanto la ricostruzione della dinamica del sinistro effettuata dal Tribunale, ovvero la sua interpretazione delle risultanze processuali, che era stata contestata dal ricorrente nei motivi di appello, costituisce un profilo concettuale che, di per sè, non ha nulla da spartire con la correttezza e l’esattezza dell’analitica esposizione degli atti fatta dallo stesso giudice, la quale non era stato invece oggetto di contestazione alcuna.
Inoltre, mette conto di sottolineare che il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento. Pertanto, la denunzia in sede di legittimità dell’omesso esame del documento deve contenere l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa (Cass. 7086/05), onere che non è stato minimamente assolto nella specie dal ricorrente. Passando all’esame della seconda doglianza, articolata anch’essa sotto un duplice profilo, quello della violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2054 c.c., comma 2 nonchè della motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria, va osservato che la stessa si fonda sulla considerazione che il gravame di appello si basava sul rilievo che, non essendoci stato alcuno "scontro" tra l’auto del C. e quella del Consorzio, non era operante nei confronti di quest’ultimo la presunzione di responsabilità ex art. 2054 c.c., comma 2, affermata dal primo giudice. La Corte di Appello avrebbe invece "aggirato" il motivo ritenendolo "mal posto" in quanto il primo giudice, a suo avviso, aveva applicato l’accertamento presuntivo solo con riferimento al coinvolgimento dell’ Ab., omettendo in tal modo di considerare l’effettivo contenuto della sentenza di primo grado e motivando illogicamente. La doglianza non merita di essere accolta. A riguardo, torna opportuno chiarire che le ragioni della decisione impugnata sono fondate essenzialmente sulla considerazione che l’accertamento compiuto dal Tribunale sulla responsabilità del M. era stato un accertamento concreto e non presuntivo, essendo stato l’accertamento presuntivo riferito dal primo giudice solo alla graduazione della colpa ed al coinvolgimento dell’ Ab.. Ed invero, occorreva tener presente a riguardo – così scrive in sintesi la Corte territoriale – sia la collocazione dei danni risentiti sulla parte sinistra dell’auto del M. sia la collocazione, sul luogo del sinistro, di alcuni vetri posti tra la striscia gialla e la fine della carreggiata, provenienti dallo sportello posteriore della Fiat Argenta, compreso tra i due assi del veicolo, per trarre una sufficiente indicazione dell’invasione della strada statale, da parte della vettura del M., che, al sopraggiungere dell’auto del C., superava la linea gialla di sicurezza posta sull’interpoderale e dunque costituiva un pericolosissimo ostacolo per i veicoli che procedevano sulla corsia della statele determinando la manovra di spostamento a sinistra operata dal C., volta ad evitare l’auto che aveva sia pure in parte invaso la statale.
La decisione non merita quindi la censura formulata. Ciò, senza considerare che, se il principio della presunzione di uguale concorso di colpa, di cui all’art. 2054 c.c., comma 2, si applica, di regola, ai soli conducenti dei veicoli scontratisi e non riguarda, invece, un veicolo che non sia stato coinvolto nello scontro, tale principio, peraltro, è estensivamente applicabile anche all’ipotesi in cui manchi una collisione diretta tra veicoli, quando sia necessario risolvere il problema della graduazione del concorso di colpa, ma sempre che tale concorso sia accertato in concreto, e dunque sia accertato anche il nesso di causalità tra la guida del veicolo non coinvolto e lo scontro. (Cass. n.10751/2002, Cass. n. 3131/96).
Passando all’esame della terza doglianza articolata anch’essa sia per violazione di legge (degli artt. 2697 e 2054 c.c. e art. 115 c.p.c.) sia per insufficiente e contraddittoria motivazione, va rilevato che, ad avviso del ricorrente, i giudici di merito avrebbero fatto errata applicazione delle norme richiamate ponendo a fondamento della decisione solo gli indizi provenienti dagli accertamenti compiuti in sede penale senza considerare che gli attori, cui incombeva il relativo onere probatorio, non avevano richiesto e fornito alcuna prova.
La doglianza è infondata. A riguardo mette conto di sottolineare che il principio fissato dall’art. 115, secondo cui il giudice deve decidere iuxta alligata et probata (secondo i fatti allegati e provati dalle parti), mira soltanto ad impedire che una parte possa subire una decisione basata su fatti ad essa sconosciuti, in relazione ai quali non si sia potuta difendere, ma non esclude che il giudice possa avvalersi di elementi comunque emersi dalla compiuta istruttoria per argomentare in merito ai temi del dibattito processuale, ancorchè non ne sia stato richiesto dalla parte stessa.
Invero, accanto al principio dispositivo, nel nostro ordinamento vige il principio di acquisizione processuale, secondo cui le risultanze istruttorie, comunque ottenute e quale che sia la parte che l’abbia fornite, concorrono tutte ed indistintamente alla formazione del libero convincimento del giudice, senza che la diversa provenienza possa condizionare tale formazione in un senso o nell’altro, e, quindi, senza che possa escludersi l’utilizzazione di una prova fornita da una parte per trame elementi favorevoli alla controparte (ex multis cfr Cass. 16092/02, 1112/03, 10847/07). Analogamente, il materiale probatorio acquisito in un procedimento penale, ritualmente introdotto nel giudizio civile, può essere legittimamente posto a fondamento del convincimento del giudice del merito per la ricostruzione dei medesimi fatti ai fini dell’accertamento della responsabilità civile, in virtù del ed principio dell’unità della giurisdizione.
Passando ad esaminare la quarta doglianza, anch’essa articolata sotto un duplice profilo per violazione dell’art. 2054 c.c. e per insufficiente e contraddittoria motivazione, deve rilevarsi che, ad avviso del ricorrente, i giudici di merito avrebbero trascurato che il C. viaggiava a velocità elevatissima, poteva avvistare la Fiat del Consorzio, in manovra di retromarcia sulla stradina, ad una distanza di almeno 100 mt, non effettuò fino all’urto con la Renault dell’ Ab. alcuna frenata nè prima nè dopo l’intersezione con la stradina; che l’ Ab. procedeva anch’egli a velocità eccessiva prima della frenata ed aveva appena effettuato un sorpasso pericoloso. Ciò posto, la Corte avrebbe "obliterato" la presumibile posizione che aveva la Fiat nel momento in cui fu avvistata dal C. e la reale efficienza causale della manovra del M. nella produzione del sinistro, sminuendo il fondamentale elemento della velocità degli altri veicoli. La doglianza è inammissibile. Ed invero, le ragioni di doglianza formulate dal ricorrente principale, come risulta di ovvia evidenza dal loro stesso contenuto e dalle espressioni usate, non concernono violazioni o false applicazioni del dettato normativo bensì la valutazione della realtà fattuale, come è stata operata dalla Corte di merito; nè evidenziano effettive carenze o contraddizioni nel percorso motivazionale della sentenza impugnata ma, riproponendo l’esame degli elementi fattuali già sottoposti ai giudici di seconde cure e da questi disattesi, mirano ad un’ulteriore valutazione delle risultanze processuali, che non è consentita in sede di legittimità.
Ed infatti, premesso che la valutazione degli elementi di prova e l’apprezzamento dei fatti attengono al libero convincimento del giudice di merito, deve ritenersi preclusa ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa. Con la conseguenza che deve ritenersi inammissibile la doglianza mediante la quale la parte ricorrente avanza, nella sostanza delle cose, un’ulteriore istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione, (cfr Cass. n. 9233/06) Passando ad esaminare la quinta doglianza per violazione degli artt. 2697, 2043, 2054 e 2059 c.c. nonchè per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, va osservato che le ragioni di censura si fondano sulla premessa che il Tribunale, ai fini del calcolo dei danni patrimoniali, sulla base dell’età del C. (54 anni) e del reddito lordo di libero professionista e di radiologo convenzionato (L. 325.845.000), aveva calcolato una residua vita lavorativa di 21 anni ed un reddito netto presunto di L. 275.131.000. Ora, la Corte, nel ritenere corretto il criterio presuntivo adottato dal primo giudice, avrebbe sbagliato sia nel calcolare una detrazione fiscale esigua, come era stato già rilevato nel motivo di impugnazione in cui ci si era riservati di offrire alla Corte precisi elementi di riferimento, sia nel considerare una vita lavorativa di 75 anni, superiore all’età di pensionamento, sia nell’omettere di argomentare sul rilievo formulato – nel motivo di doglianza – che il calcolo del risarcimento era stato effettuato senza tener conto dell’abbattimento del coefficiente di capitalizzazione anticipata.
La censura è inammissibile. Ed invero, a parte la considerazione che come ha già avuto modo di statuire questa Corte, la valutazione equitativa del danno, in quanto inevitabilmente caratterizzata da un certo grado di approssimatività, è suscettibile di rilievi in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio della motivazione, solo se difetti totalmente la giustificazione che quella statuizione sorregge, o macroscopicamente si discosti dai dati di comune esperienza, o sia radicalmente contraddittoria (Cass. n.1529/2010), mette conto di sottolineare che la doglianza de qua non può essere presa in considerazione anche per un’altra ragione, in quanto, pur deducendo formalmente i vizi di violazione di legge e di omessa e/o insufficiente motivazione, il ricorrente muove censure che sono esclusivamente di merito mirando, nella sostanza delle cose, ad un riesame delle risultanze processuali che è precluso in sede di legittimità in quanto la valutazione degli elementi di prova e l’apprezzamento dei fatti attengono al libero convincimento del giudice di merito. Ed invero, premesso che la valutazione degli elementi di prova e l’apprezzamento dei fatti attengono al libero convincimento del giudice di merito, deve ritenersi preclusa ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa.
Passando infine ad esaminare l’ultima censura articolata sotto il profilo della violazione degli artt. 2697, 2043, 2054 e 2059 c.c. nonchè dell’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, va rilevato che, ad avviso del ricorrente Consorzio, la Corte territoriale avrebbe gravemente errato perchè, pur riconoscendo che l’Usl non aveva fornito la minima prova in ordine alla perdita dell’ambulanza e delle attrezzature in dotazione, ha ritenuto equo liquidare la somma di lire 40 milioni, invece di rigettare la domanda risarcitoria per mancanza di prova, ed avrebbe pertanto violato in modo eclatante il principio dell’onere della prova.
La censura è infondata. Ed invero, secondo l’orientamento di questa Corte, il potere di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 cod. civ., costituisce espressione del più generale potere di cui all’art. 115 cod. proc. civ. ed il suo esercizio rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito senza necessità della richiesta di parte (ex multis Cass. 315/02, 2706/04), dando luogo ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, con l’unico limite di non potere surrogare il mancato accertamento della prova della responsabilità del debitore o la mancata individuazione della prova del danno nella sua esistenza.
Del resto, l’impossibilità di provare l’ammontare preciso del danno deve essere intesa in senso relativo ed è stata ritenuta sufficiente anche una difficoltà solo di un certo rilievo, ritenuta tale dal giudice del merito nell’esercizio delle sue facoltà discrezionali, così come è avvenuto nel caso di specie. Al contrario, in tali casi, non è consentita al giudice del merito una decisione di non liquet e quindi la negazione dell’obbligazione risarcitoria dovendosi, per converso, ritenere contraria a diritto un’eventuale decisione di siffatto contenuto, risolvendosi tale pronuncia nella negazione di quanto, invece, accertato in termini di esistenza di una condotta generatrice di danno ingiusto e di conseguente legittimità della relativa richiesta risarcitoria riguardante un danno subito, accertato sotto il profilo dell’"an debeatur". Ne deriva l’infondatezza della doglianza.
Esaurito l’esame del ricorso principale, proposto dal Consorzio, occorre ora richiamare l’attenzione sul fatto che l’Axa Assicurazioni Spa, nel primo dei numerosi controricorsi presentati, esattamente in quello avverso il ricorso proposto dal Consorzio di Bonifica il cui contenuto è stato poi riportato in tutti gli altri controricorsi, ha mosso varie censure sia alla sentenza di primo grado che a quella impugnata, deducendo che entrambe, erroneamente ed immotivatamente, non avevano considerato nella pienezza degli effetti che la sentenza del Tribunale di Larino era stata travolta dalla sentenza della Corte di Appello di Campobasso, la quale aveva accertato che nulla provasse che il sig. Ab. avesse tenuto una condotta foriera di responsabilità (cfr pagg. 19 e 20); che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte territoriale, l’ Ab. era stato assolto ex art. 530 c.p. onde andava esclusa la sua responsabilità (pag.22);
che sia il giudice di prime cure che il giudice d’Appello avevano giudicato ultra petita in violazione dell’art. 112 c.p.c. (cfr pag.
24); che la sentenza di primo grado conteneva statuizioni sbagliate sia in ordine al quantum sia in ordine alla tipologia dei danni (cfr pag. 25); che il computo del risarcimento del danno patrimoniale degli eredi C. era stato sbagliato (cfr pag.27); tutto ciò considerato, l’Axa non si è limitata a chiedere il rigetto del ricorso di controparte, come avrebbe dovuto fare se avesse proposto soltanto un controricorso, ma ha chiesto altresì l’accoglimento di quanto da essa eccepito e richiesto.
Nel proprio controricorso, C.G. ha quindi eccepito l’inammissibilità del controricorso con ricorso incidentale proposto dall’Axa a norma dell’art. 366 c.p.c.. L’eccezione merita di essere accolta. Ed invero, pur volendo prescindere dalla mancata espressa indicazione di voler proporre un ricorso incidentale, occorre rilevare che, essendo il ricorso per cassazione un’impugnazione a motivi tipizzati, il motivo di ricorso, ancorchè la legge non esiga espressamente la sua specificità (come avviene invece per l’atto di appello), deve necessariamente essere specifico, cioè articolarsi nell’enunciazione di tutti i fatti e di tutte le circostanze idonee a evidenziarlo. I motivi pertanto devono essere formulati in modo specifico, completo e pertinente alla decisione impugnata (v. Cass. 4741/05, secondo cui il requisito di specificità e completezza del motivo di ricorso è diretta espressione del principio secondo cui un atto processuale è nullo ancorchè la legge non lo preveda, allorquando manchi dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento del suo scopo). Inoltre, va considerato che la prescrizione contenuta nell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, secondo la quale il ricorso per cassazione deve contenere, a pena d’inammissibilità, l’esposizione sommaria dei fatti di causa, non può ritenersi osservata quando il ricorrente non riproduca alcuna narrativa della vicenda processuale, limitandosi a trascrivere come nel caso di specie il testo integrale di tutti gli atti processuali, rendendo particolarmente difficoltosa l’individuazione della materia del contendere e contravvenendo allo scopo della disposizione, preordinata ad agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata in immediato coordinamento con i motivi di censura. (cfr Sez.Un. n.16628/09, conf. Cass. 6270/011). Ne deriva la declaratoria di inammissibilità del ricorso incidentale in esame.
Passando ad esaminare il ricorso incidentale proposto da C. G., si rileva che con la prima doglianza, articolata sotto i profili della violazione e falsa applicazione dell’art. 2054 c.c., D.Lgs. n. 285 del 1992, artt. 141, 142 e 145, art. 41 c.p. nonchè della omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, il ricorrente lamenta che la Corte di merito avrebbe gravemente sbagliato nella misura in cui, pur riconoscendo che se non vi fosse stata la spericolata immissione da parte del M. sulla statale non si sarebbe verificato alcun incidente perchè il C. non avrebbe avuto ragione di spostare la propria direttrice di percorrenza e pur riconoscendo che il C. non ebbe la materiale possibilità di spazio e di tempo per eseguire altre manovre di emergenza, ha poi concluso parificando, contraddittoriamente ed immotivatamente, le due condotte di guida riconoscendo un contributo causale paritetico.
La doglianza è infondata. A riguardo, occorre sottolineare che il vizio di motivazione della sentenza, sotto il profilo della contraddittorietà della medesima, può dirsi sussistente solo quando nel ragionamento del giudice di merito esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione (Cass. n.29203/08, n. 9368/06, n.2399/04).
Occorre cioè che tra le considerazioni poste dal giudice a base della sua decisione sussista un’intrinseca conflittualità, tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento. Al contrario, nel caso di specie, la lettura della sentenza consente di seguire con assoluta chiarezza il percorso argomentativo che ha portato il giudice di merito a concludere per il ritenuto concorso di pari responsabilità tra il C. ed il M., evidenziando da una parte l’elevato grado di imprudenza di quest’ultimo, il quale, pur manovrando in una posizione, quella di retromarcia, che di per se stessa non assicurava una piena e completa visione dei veicoli transitanti, aveva tuttavia superato la linea gialla ed invaso la statale, e sottolineando, dall’altra, la grave responsabilità del C. a causa dell’alta velocità (circa 102 Km orari) impressa alla sua autovettura, che gli impedì di "fermarsi o comunque di ridurre lo sbandamento a sinistra". Pertanto – così, in sintesi l’iter motivazionale della Corte – se è vero che il C. nulla potesse fare per evitare l’urto con l’auto condotta dall’ Ab., la causa principale di ciò doveva rinvenirsi nell’alta velocità alla quale procedeva e quindi nella sua imprudenza da valutarsi almeno pari a quella del M.. (cfr pag.58). La motivazione, riportata nella sua essenzialità, appare quindi assolutamente ben articolata, coerente e non presenta nè traccia di conflittualità tra le argomentazioni svolte a sostegno della decisione, rappresentando in modo assai lineare ed esaustivo le ragioni poste a base della decisione stessa così da rendere evidente ictu oculi l’infondatezza della censura.
Con la seconda doglianza, il C. ha invece lamentato l’omessa pronuncia della Corte di merito in ordine all’eccezione – di inammissibilità dell’impugnazione proposta dalla Fondiaria Sai Spa per tardività della notifica – formulata nella comparsa di risposta con appello incidentale del 15 dicembre 2003. In tale atto, era stato eccepito infatti che il termine per l’impugnazione, decorrente dal 4.4.2002, originariamente scadente il 19 maggio 2003, per effetto della sospensione prevista dalla normativa sul terremoto, andava a cadere l’1.7.2003 e cioè entro il giorno successivo alla scadenza del periodo di sospensione (30.6.2003) mentre l’atto di appello fu notificato il 26.9.2003.
Anche tale doglianza è infondata. Ed invero, come risulta dalla lettura della sentenza impugnata, la Corte di merito, contrariamente all’assunto del ricorrente, ha correttamente, pronunziato sull’eccezione di inammissibilità dell’impugnazione proposta dalla Fondiaria Sai, quale gestore del Fondo di Garanzia, deducendone espressamente l’infondatezza, alla luce della considerazione che "la richiesta di notifica dell’appello a mezzo posta all’Ufficiale Giudiziario è (era) stata resa in data 13 marzo 2003 mentre la sentenza è stata pubblicata in data 4 aprile 2002. L’appello è dunque tempestivo, tenuto conto della sospensione dei termini nel periodo feriale dell’anno 2002" (cfr pag.49 della sentenza impugnata). Ne deriva che la censura è destituita di ogni fondamento e non merita di essere accolta. Il ricorso del ricorrente deve essere pertanto rigettato.
Passando all’esame del ricorso incidentale, proposto da C. M., va rilevato che la prima censura, per violazione e falsa applicazione degli artt. 299 e 300 c.p.c. nonchè per omessa motivazione, si fonda sulla considerazione che la Corte di appello avrebbe erroneamente dichiarato la sua contumacia, dopo la riassunzione del giudizio interrotto per il decesso della sig.ra L. C., ad onta della sua avvenuta costituzione e della sua partecipazione nelle successive udienze. Ora, la declaratoria di contumacia avrebbe pregiudicato il suo diritto di difesa determinando l’omesso esame delle eccezioni proposte tra cui l’eccezione di tardività dell’appello proposto dalla Fondiaria-Sai.
Inoltre – tali rilievi concernono la successiva censura per violazione degli artt. 325, 326 e 327, art. 92 c.p.c., D.L. n. 245 del 2002, art. 4 convertito nella L. n. 286 del 2002, dell’ordinanza n. 3279 del 10.4.2003 del Presidente Consiglio Ministri nonchè per insufficiente e contraddittoria motivazione – la Corte di appello avrebbe sbagliato nel non accogliere l’eccezione di inammissibilità dell’impugnazione proposta dalla Fondiaria per tardività della notifica. Ed invero, l’impugnazione avrebbe dovuto essere proposta entro l’1.7.2003 e cioè entro il giorno successivo alla scadenza del periodo di sospensione (30.6.2003) mentre l’atto di appello fu notificato il 26.9.2003.
Le due ragioni di doglianza, che vanno esaminate congiuntamente per l’intima connessione che le unisce, sono entrambe infondate.
A riguardo, vale la pena di rilevare che l’erronea dichiarazione della contumacia di una parte non determina un vizio della sentenza deducibile in cassazione, se non abbia cagionato in concreto, alcun pregiudizio allo svolgimento dell’attività difensiva. (Cass. 2593/06, 9649/06). Ed invero, l’irritualità della dichiarazione non rileva in sè e per sè ma si riflette sulla regolarità del processo solo se la parte abbia subito una lesione effettiva del suo diritto, che nel caso di specie, non si è invece verificata in quanto la Corte d’Appello ha comunque preso in considerazione ed esaminato le eccezioni – di intempestività degli appelli principali proposti da Axa Assicurazioni e dal FGVS – formulate dalla C. (cfr pag.41 della sentenza) e le ha espressamente rigettate deducendo in primo luogo che dagli atti non risultava che la C. o altra parte interessata avesse provveduto a notificare la sentenza di primo grado, ai fini della decorrenza del termine breve, ed aggiungendo poi, con riferimento specifico all’appello proposto dalla Sai che la richiesta di notifica dell’appello a mezzo posta all’Ufficiale Giudiziario era stata resa in data 13 marzo 2003 mentre la sentenza era stata pubblicata in data 4 aprile 2002, con la conseguente tempestività dell’impugnazione, tenuto conto della sospensione dei termini nel periodo feriale dell’anno 2002" (cfr pag.49 della sentenza impugnata).
Sul punto, è appena il caso di richiamare il consolidatissimo orientamento di questa Corte, elaborato ancor prima delle modifiche normative di cui alla L. n. 51 del 2006, secondo cui, non potendo ridondare sul mittente la circostanza che l’atto venisse portato in ritardo a conoscenza del destinatario tramite il servizio postale, gli effetti della notificazione a mezzo posta dovevano ricollegarsi per il notificante al momento della semplice consegna dell’atto stesso all’ufficiale giudiziario o altro soggetto abilitato alla notificazione in quanto le attività ulteriori non dipendevano più dalla sua diligenza ma dall’attività di terzi.
Passando all’esame del ricorso incidentale, proposto da M. R., va rilevato che la prima censura articolata sotto i profili della violazione e falsa applicazione dell’art. 168 c.p.c., art. 347 c.p.c., comma 3 e art. 36 disp. att. c.p.c. nonchè della insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione, si fonda sulla considerazione che la Corte di appello avrebbe sbagliato nel mancare di disporre l’acquisizione degli atti dei processi penali acquisiti in prime cure.
La doglianza, che presenta un contenuto sostanzialmente analogo alla prima censura articolata dal Consorzio di Bonifica, va disattesa alla stregua delle medesime considerazioni espresse in precedenza ed alle quali si rinvia.
Quanto alla seconda doglianza, per violazione degli artt. 2697, 2043, 2054 e 2059 c.c. nonchè per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, deve rilevarsi che la stessa si fonda sulla premessa che nella fattispecie gli attori, ed in particolare gli eredi di C.V. non avevano chiesto nè articolato la minima prova a supporto della domanda. Conseguentemente, i giudici di merito avrebbero fatto errata applicazione delle norme richiamate ponendo a fondamento della decisione gli indizi provenienti dagli accertamenti compiuti in sede penale e trascurando che gli attori, cui incombeva il relativo onere probatorio, non avevano invece richiesto e fornito alcuna prova. Anche tale censura è infondata, occorrendo ribadire che il giudice può avvalersi di elementi comunque emersi dalla compiuta istruttoria per argomentare in merito ai temi del dibattito processuale, ancorchè non ne sia stato richiesto dalla parte stessa.
E ciò in quanto, accanto al principio dispositivo, nel nostro ordinamento vige il principio di acquisizione processuale, secondo cui le risultanze istruttorie, comunque ottenute, concorrono tutte ed indistintamente alla formazione del libero convincimento del giudice, senza che la diversa provenienza possa condizionare tale formazione in un senso o nell’altro. Vale la pena di aggiungere che la scelta delle risultanze probatorie, ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento.
Resta da esaminare il ricorso incidentale proposto dall’Inail, articolato in un’unica doglianza per violazione dell’art. 1916 c.c. e dell’art. 345 c.p.c. nonchè per omessa pronuncia, fondata sulla premessa che la Corte di appello avrebbe sbagliato quando ha dichiarato inammissibile la domanda – di restituzione del maggior importo erogato a seguito della rivalutazione delle rendite disposta per legge – proposta dall’Inail reputandola nuova. In tal modo, la Corte avrebbe trascurato che le variazioni dell’ammontare del credito Inail conseguenti alle variazioni quantitative della rendita non costituiscono domande nuove ma mere precisazioni del petitum originario. La censura è fondata e merita accoglimento. Invero, in ordine alla ammissibilità della domanda in appello dell’INAIL di adeguamento del valore capitale della rendita ai miglioramenti apportati da sopravvenute norme di legge, la giurisprudenza di questa Corte ha enunciato il principio: "In tema di azione di regresso dell’INAIL nei confronti del datore di lavoro responsabile dell’infortunio sul lavoro subito dal dipendente assicurato le variazioni di ammontare del credito dell’INAIL conseguenti alle variazioni quantitative della rendita (e in generale delle prestazioni erogate dall’Istituto) non costituiscono domande nuove ma mere precisazioni del petitum originario; detto credito, come credito di valore, deve essere liquidato con riferimento alla data di liquidazione definitiva, per cui il maggior ammontare in termini monetari rispetto a quanto dedotto in primo grado, per effetto di svalutazione monetaria o di rivalutazione della rendita imposta da provvedimento sopravvenuto nelle more del giudizio, può essere richiesto senza la necessità di proposizione di appello incidentale, e, se ne ricorrono le condizioni, può essere liquidato anche di ufficio" (Cass. n. .5909/2003, n.4193/2003, n.15002/2000, n.11490/95, n. 995/93 cfr. anche n. 2681-1990 e n. 550-1987). Considerato che la sentenza impugnata, escludendo l’ammissibilità della domanda di adeguamento proposta dall’Istituto nel giudizio di appello non si è uniformata ai suddetti principi, pienamente condivisi dal Collegio ed applicabili nella fattispecie, il ricorso per cassazione in esame deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata nei limiti di tale ricorso incidentale. Con l’ulteriore conseguenza che, occorrendo un rinnovato esame da condursi nell’osservanza del principio richiamato, la causa va rinviata alla Corte di Appello di Campobasso, in diversa composizione, che provvederà anche in ordine al regolamento delle spese, limitatamente al rapporto processuale tra l’Inail e le parti condannate al pagamento dell’indennità per causa di servizio. Con riferimento al governo delle spese di legittimità, relativamente ai rapporti processuali tra le altre parti in causa, la relativa difficoltà delle questioni trattate ed il tenore dell’adottata decisione che vede in parte la reciproca soccombenza giustificano ampiamente la compensazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi, accoglie il ricorso incidentale proposto dall’Inail, rigetta il ricorso principale proposto dal Consorzio di Bonifica Trigno e Biferno nonchè i ricorsi incidentali proposti da C.G., C.M., M.R., dichiara inammissibile il ricorso incidentale proposto da Axa Assicurazioni Spa e cassa la sentenza impugnata nei limiti del ricorso accolto con rinvio della causa alla Corte di Appello di Campobasso, in diversa composizione, che provvederà anche in ordine al regolamento delle spese della presente fase di legittimità, limitatamente al rapporto processuale tra l’Inail e le parti condannate al pagamento dell’indennità per causa di servizio. Compensa le spese del giudizio di legittimità tra tutte le altre parti in causa.
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