Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
La Corte d’appello di Roma ha respinto il gravame proposto dal sig. G.S. avverso la sentenza con cui il Tribunale per i minorenni della stessa città aveva accolto la domanda, proposta dalla sig.ra P.M. per conto della figlia P.L., di accertamento della paternità naturale del G. nei riguardi di quest’ultima, poi intervenuta personalmente nel giudizio di secondo grado, una volta divenuta maggiorenne, aderendo alle conclusioni dell’appellata.
La Corte ha ritenuto che l’attrice aveva inequivocabilmente agito nella qualità di genitore esercente la potestà e nell’interesse della figlia, allora sedicenne, nonchè con il consenso della stessa manifestato in udienza; che la domanda rispondeva all’interesse e al desiderio della minore, come dimostrato dalla sua proposizione a ben sedici anni dalla nascita della ragazza, proprio all’età in cui i figli avvertono l’esigenza di conoscere chi sia l’altro genitore e trovano il coraggio di manifestarla, tanto più che nella specie era da escludere un interesse economico date le condizioni non floride del convenuto; che l’esistenza di una relazione sessuale fra P. M. e G.S., all’epoca del concepimento della ragazza, era dimostrata dagli esiti della prova testimoniale positivamente valutati dal Tribunale – le cui argomentazioni andavano integralmente richiamate – riscontrati da numerosi "messaggini" romantici che l’appellante era solito lasciare alla P. e che invano aveva affermato, genericamente, avessero invece un’altra destinataria; che era ingiustificato il rifiuto del G. di sottoporsi agli accertamenti tecnici disposti dal Tribunale per accertare la paternità biologica.
Il sig. G. ha quindi proposto ricorso per cassazione articolando cinque motivi di censura, cui le intimate hanno resistito con distinti controricorsi illustrati anche da memorie.
Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione dell’art. 273 c.c., comma 2, si censura l’affermata sussistenza del consenso della minore ultrasedicenne all’esperimento dell’azione, lamentando che i giudici di merito non abbiano svolto alcun accertamento in ordine alla effettività dello stesso.
2. – Con il secondo motivo, denunciando violazione dell’art. 273 c.c., comma 2, e vizio di motivazione, si censura la valutazione di sussistenza dell’interesse della minore e si deduce la mancanza o insufficienza della motivazione in ordine alla libertà, genuinità e consapevolezza del consenso espresso dalla minore stessa.
3. – I due motivi, da esaminare congiuntamente data la loro connessione, non possono essere accolti.
La valutazione da parte del tribunale dell’interesse umano e affettivo del minore alla dichiarazione giudiziale di paternità non è necessaria allorchè si tratti di minore ultrasedicenne, essendo in tal caso detta valutazione rimessa allo stesso minore, che può esprimere il proprio consenso (Cass. 5291/2000), come appunto è avvenuto nel caso in esame; nel quale, peraltro, la necessità di siffatta valutazione è superata anche dall’intervento personale nel processo spiegato dall’interessata una volta raggiunta la maggiore età.
Il giudice, inoltre, deve accertare soltanto la sussistenza – e in questo senso la effettività – del consenso del minore, e non si vede perchè debba essere considerato insussistente un consenso espresso all’udienza davanti a lui.
4. – Il terzo e il quarto motivo, del pari connessi in quanto attinenti entrambi all’accertamento della relazione sessuale fra la sig.ra P. e il sig. G. all’epoca del concepimento di P.L., sono inammissibili.
Con essi si censura anzitutto il rinvio della Corte d’appello alle motivazioni del Tribunale sulla valutazione degli elementi istruttori acquisiti. Ma il giudice d’appello ben può motivare anche mediante rinvio alla decisione di primo grado, purchè dia risposta alle specifiche censure formulate dall’appellante, così che la motivazione complessiva risulti dalla integrazione delle sentenze di primo e di secondo grado (ex multis, Cass. 15483/2008, 2268/2006, 2196/2003, 18296/2002, 132/1996), mentre il ricorrente non indica in ricorso quali motivi o argomenti delle sue difese in appello non avessero trovato risposta nel complesso delle due sentenze di merito.
Per il resto le critiche svolte con i due motivi in esame si risolvono in pure censure di merito, inammissibili in sede di legittimità. 5. – Con il quinto ed ultimo motivo, denunciando violazione di norme di diritto e vizio di motivazione, si censura la valutazione di ingiustificatezza del rifiuto del G. di sottoporsi alla prova immunogenetica. Il ricorrente osserva che la ragione del rifiuto consisteva nell’esigenza di tutelare la propria famiglia legittima, che sarebbe rimasta violentemente turbata dalla sua paternità, considerato anche che la pretesa figlia naturale portava lo stesso nome di battesimo della figlia legittima, tragicamente scomparsa proprio poco tempo prima.
6. – Neanche questo motivo può essere accolto, perchè la giustificazione invocata è riferibile non già alla sottoposizione all’accertamento, bensì al suo esito: era, cioè, non la prova immunogenetica in sè, bensì l’accertamento della paternità, che avrebbe sconvolto la famiglia legittima del ricorrente.
7. – Il ricorso va in conclusione respinto, con condanna del ricorrente, per la regola della soccombenza, alle spese processuali, liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali, liquidate in Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge, in favore di ciascuna delle controricorrenti.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle persone, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
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