Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Il Tribunale di Macerata, pronunciata con sentenza non definitiva del 24 luglio 2002 la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra il sig. S.M. e la sig.ra C.C., con sentenza definitiva dell’11 gennaio 2006 dispose l’affidamento del figlio minore della coppia alla madre, cui assegnò altresì la ex casa coniugale riservando al S. l’uso di una mansarda e di un garage siti nel medesimo stabile; pose altresì a carico dell’ex marito un assegno in favore della ex moglie, nonchè un contributo per il mantenimento del figlio.
La sig.ra C. propose appello. Insistette per l’accertamento dell’inefficacia – per mutuo consenso sopravvenuto – delle previsioni degli accordi di separazione consensuale, secondo i quali l’immobile già destinato ad abitazione familiare e formalmente intestato ad essa appellante, ma acquistato con risorse comuni, avrebbe dovuto essere intestato a entrambi i coniugi, con assegnazione in uso alla moglie dell’unità abitativa principale e al marito della mansarda e del garage; chiese quindi di essere riconosciuta unica titolare dell’intera proprietà immobiliare, senza esclusione di alcuna sua parte, e che fosse aumentato l’importo dell’assegno già disposto in suo favore.
Il sig. S. resistette e propose appello incidentale.
Censurò il riconoscimento dell’assegno divorzile, non essendo stato il medesimo tempestivamente richiesto con il ricorso introduttivo e non rispondendo ad effettive esigenze della ex moglie; chiese inoltre ridursi il contributo per il mantenimento del figlio, disporsi l’affidamento congiunto di quest’ultimo e l’estensione dei periodi che poteva trascorrere con lui, nonchè assegnarsi i beni mobili della coppia paritariamente a ciscuna delle parti.
Sui due gravami la Corte di Ancona ha così provveduto:
ha disatteso le domande di riconoscimento della proprietà esclusiva formulate dall’appellante principale, ritenendo non ammissibile nel giudizio di divorzio ogni questione relativa ai rapporti patrimoniali dei coniugi importanti il riconoscimento di diritti reali o di crediti diversi da quelli dell’assegno divorzile e di mantenimento della prole;
ha revocato l’assegnazione della mansarda al S., sul rilievo che il giudice del divorzio può disporre l’assegnazione della casa familiare solo all’ex coniuge affidatario della prole e non all’altro;
ha ritenuto ammissibile la domanda di assegno, ancorchè proposta dopo il compimento della fase presidenziale del procedimento di primo grado e nonostante la C. avesse rinunziato all’assegno di separazione, dovendosi tener conto della sopravvenuta perdita di capacità lavorativa della donna, scarsamente scolarizzata e professionalizzata, divenuta invalida al 46% a decorrere dal 13 novembre 2002;
ha però confermato la precedente determinazione dell’assegno in 200 Euro mensili, mentre ha ridotto a 300 Euro mensili il contributo per il mantenimento del figlio, in considerazione del fatto che il S. era diventato nel frattempo socio dell’officina di carrozzeria nella quale lavorava – con conseguente presumibile incremento, sia pure non elevato, del suo reddito – ma che, d’altro canto, era ora privato dell’uso della mansarda e del garage e dunque doveva sostenere maggiori spese per l’abitazione.
Il sig. S. ha quindi proposto ricorso per cassazione con sei motivi. La sig.ra C. si è difesa con controricorso.
Motivi della decisione
1. – Preliminarmente va dichiarata l’inammissibilità del controricorso della sig.ra C. perchè tardivo, essendo stato notificato al ricorrente soltanto il 18 novembre 2011, allorchè il termine di cui all’art. 370 c.p.c., era abbondantemente scaduto, dato che la notifica del ricorso risale al 29 dicembre 2007.
La ricorrente ha chiesto di essere rimessa in termini allegando un disguido della cancelleria della Corte d’appello di Ancona – presso cui era stata eseguita la notifica del ricorso in veste di domiciliataria del difensore della ricorrente in grado di appello – a causa del quale il suo avvocato aveva appreso dell’avvenuta notifica soltanto il 12 novembre 2011, allorchè si era recato per l’ennesima volta in cancelleria a richiedere l’atto. Il disguido è documentato con attestazione del dirigente di quella cancelleria secondo cui "il ricorso per cassazione notificato il 29/12/07 è stato collocato nella cartellina contenente gli atti notificati alla Cancelleria sotto la lettera C anzichè sotto la lettera F, L’avv. Paola Formica ha rinvenuto ed acquisito in data odierna 12/11/11 la copia notificata del suddetto ricorso in Cassazione". La lettera "F", spiega la controricorrente, corrispondeva appunto all’iniziale del cognome del suo avvocato, che invano aveva dunque cercato l’atto nella corrispondnete cartellina presso la cancelleria, dato che lo stesso era invece inserito, per errore, nella cartellina corrispondente all’iniziale – la lettera "C" – del cognome della parte ( C.).
La richiesta di rimessione in termini non può essere accolta, data la genericità del riferimento agli accessi dell’avv. Formica presso la cancelleria della Corte d’appello precedenti a quello del 12 novembre 2011. Sarebbe stato infatti necessario dedurre quantomeno che vi erano stati vani accessi in date utili per proporre poi tempestivamente il controricorso: senza di che non può dirsi che la tardiva notifica di quest’ultimo sia dipesa proprio dall’indicato disguido di cancelleria.
2. – Con il primo motivo di ricorso si ripropone la censura di inammissibilità della domanda di assegno divorzile, proposta dalla sig.ra C. – attrice in primo grado – soltanto all’udienza fissata dal giudice istruttore per la precisazione delle conclusioni e allorchè erano inutilmente decorsi anche i termini a suo tempo concessi ai sensi degli artt. 183 e 184 c.p.c..
2.1. – Il motivo è infondato.
Questa Corte ha avuto in passato occasione di affermare che nel giudizio di divorzio, la cui fase successiva a quella presidenziale è disciplinata dalle norme del rito ordinario, la domanda di assegno deve essere proposta nel rispetto degli istituti processuali propri di quel rito, e dunque anche di quelli relativi ai modi e tempi della proposizione della domanda riconvenzionale, ivi compresa quella di attribuzione dell’assegno, alla quale dunque va applicata la decadenza di cui all’art. 167 c.p.c. (Cass. 16066/2002, 4903/2004, 18116/2005). Coerentemente deve dunque affermarsi che la domanda di assegno in favore del coniuge attore deve necessariamente essere contenuta nell’atto introduttivo del giudizio.
Quanto sopra, però, vale nell’ipotesi ordinaria in cui i presupposti del dirittio all’assegno già sussistono al momento in cui si verifica la preclusione; diversa è invece la soluzione da preferire allorchè quei presuppoosti maturino nel corso del giudizio.
Per consolidata giurisprudenza di questa stessa Corte, infatti, la natura e la funzione dei provvedimenti diretti a regolare i rapporti economici tra i coniugi in conseguenza del divorzio, così come quelli attinenti al regime di separazione, postulano la possibilità di adeguare l’ammontare dell’assegno al variare nel corso del giudizio delle loro condizioni patrimoniali e reddituali, e anche di modularne la misura secondo diverse decorrenze riflettenti il verificarsi di dette variazioni (oltre che di disporne la modifica in un successivo giudizio di revisione), con la conseguenza che anche il giudice di appello, nel rispetto del principio di disponibilità e di quello generale della domanda, è tenuto a considerare l’evoluzione delle condizioni delle parti verificatasi nelle more del giudizio, e lo stesso giudice del rinvio, a sua volta nel rispetto dei limiti posti dalla pronuncia rescindente, deve procedere a tale valutazione (Cass. 1824/2205, 9792/1999, 4411/1985, 5600/1985, 2261/1984, 4768/1983).
E’ avviso del Collegio che tale principio debba trovare applicazione anche per la proposizione della domanda di assegno, allorchè nel corso del giudizio di divorzio sopravvengano i presupposti, prima insussistenti, per lo stesso riconoscimento del diritto, e in particolare sopravvenga l’impossibilità, per uno degli ex coniugi, di procurarsi i mezzi economici necessari per conservare un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio (come nel caso della sig.ra C., divenuta invalida nel novembre 2002, dopo la domanda di divorzio e la pronuncia dello stesso).
Il diritto all’assegno, infatti, può essere riconosciuto soltanto a decorrere dalla domanda, e la domanda non formulata tempestivamente all’inizio del procedimento di divorzio potrebbe poi essere formulata solo con il ricorso per revisione delle condizioni del divorzio stesso ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 9, il quale, a sua volta, può essere proposto solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza contenente l’originaria determinazione di tali condizioni;
con la conseguenza che, se nei casi predetti non venisse consentita la proposizione della domanda di assegno in corso di causa, resterebbe esclusa la stessa tutela giurisdizionale del diritto all’assegno (con violazione dell’art. 24 Cost., comma 1) relativo a tutto il tempo successivo al maturare dei suoi presupposti e fino al giudicato sulla prima determinazione delle condizioni di divorzio.
Deve dunque ritenersi ammissibile la domanda di assegno formulata dalla sig.ra C. con istanza depositata all’udienza del 3 marzo 2005 (come risulta dagli atti del giudizio di merito, consultabili attesa la natura processuale della questione trattata).
3. – Con il secondo motivo si lamenta che la Corte d’appello abbia accolto la domanda di assegno divorzile affermando l’invalidità della C. (a) senza indicare le prove dalle quali risultava l’invalidità, (b) facendo in proposito implicito riferimento alla documentazione medica prodotta da controparte in fotocopia oltre il termine di cui all’art. 184 c.p.c. e contestata dal S. (c) omettendo di provvedere sulla richiesta di consulenza tecnica d’ufficio medico-legale formulata da quest’ultimo.
3.1. – La censura (a) è inammissibile perchè la Corte d’appello ha sul punto richiamato l’accertamento eseguito dal giudice di primo grado, e dunque le prove dal medesimo considerate; la censura (b) è inammissibile quanto alla deduzione che la documantazione era stata prodotta in fotocopia, non avendo il ricorrente precisato se aveva contestato la conformità delle fotocopie all’originale, mentre è infondata quanto alla dedotta tardività per le ragioni indicate nel respingere il primo motivo; la censura (e) è inammissibile dato che il ricorrente non precisa perchè la CTU sarebbe stata decisiva nel contesto delle altre prove in atti, e dunque si risolve in una pura e semplice critica della valutazione del materiale istruttorio riservata al giudice di merito.
4. – Con il terzo motivo si lamenta – nella parte in cui il medesimo non è ripetitivo del secondo – che la Corte d’appello non abbia ammesso la prova testimoniale dedotta dall’appellante incidentale a dimostrazione dello svolgimento di attività lavorativa da parte della C. e non abbia disposto la produzione delle dichiarazioni dei redditi della stessa.
4.1. – Il motivo non può essere accolto.
Il primo dei due capitoli di prova dedotti, relativo allo svolgimento "di attività lavorativa o come operaia, o come estetista o come rappresentante di cosmetici e similari", da parte della C., è generico, e il secondo, relativo alla semplice stabile relazione della medesima con un nuovo compagno, è irrilevante. Nè la L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 9, fa obbligo al giudice di ordinare l’acquisizione delle dichiarazioni dei redditi delle parti; soltanto impone alle parti stesse, derogando ai principi generali in materia di onere probatorio e di esibizione delle prove, di presentare la dichiarazione personale dei redditi nonchè ogni documento concernente i redditi ed il patrimonio personale e comune. Pertanto in caso di mancata produzione delle dichiarazioni il giudice può accertare in altro modo le condizioni economiche delle parti, sulla base degli elementi acquisiti in giudizio (v. Cass. 11290/1999, 4067/1997, 12183/1992).
5. – Con il quarto motivo si lamenta che i giudici di appello abbiano incongruamente presunto il conseguimento di un maggior reddito, da parte del S., per essere divenuto socio della società che gestiva l’autocarrozzeria presso la quale già lavorava come dipendente, e che abbiano usato, invece, un diverso metro di giudizio nel valutare i redditi della C., alla quale non hanno applicato le presunzioni di percezione di reddito pur giustificabili in base agli elementi in atti.
5.1. – Il motivo è inammissibile.
L’inferenza dell’incremento del reddito percepito del S. per effetto del passaggio a socio dell’autocarrozzeria non è priva di plausibilità, e dunque la relativa critica integra una censura di merito.
Quanto al diverso metro di valutazione delle prove usato per l’una e l’altra parte, si tratta di censura generica e comunque non corrispondente alla ratio decidendi, dato che la Corte d’appello non ha affatto rifiutato di applicare ragionamenti inferenziali riguardo al reddito della C., ma ha invece ritenuto che le risultanze probatorie escludessero il possesso di redditi adeguati da parte sua.
6. – Con il quinto motivo si censura la revoca dell’assegnazione dell’uso della mansarda e del garage.
Il ricorrente sostiene:
a) che la Corte d’appello avrebbe dovuto statuire in via incidentale sulla validità dei patti di separazione al riguardo, perchè se è vero che il giudice del divorzio non può disporre l’assegnazione della casa coniugale all’ex coniuge non proprietario e non affidatario del figlio minore, è anche vero che nella specie la sig.ra C. in tanto poteva essere considerata e-sclusiva proprietaria dell’immobile in quanto quei patti fossero ritenuti inefficaci;
b) in subordine, che la Corte d’appello non avrebbe dovuto disporre la revoca, bensì limitarsi a rimettere ogni statuizione in proposito a un apposito giudizio civile davanti al giudice competente;
e) in ulteriore subordine, che. l’uso della mansarda e del garage poteva ormai essergli consentito avendo egli ottenuto l’affidamento congiunto del figlio minore con provvedimento del Tribunale di Macerata sopraggiunto nelle more del giudizio di legittimità. 6.1. – La censura a) è inammissibile. La Corte d’appello ha negato al S. l’uso della mansarda e del garage non perchè egli non ne fosse proprietario, ma perchè non era affidatario del figlio minore. Dunque la censura non è centrata sulla ratio effettiva della decisione.
Anche la censura b) è inammissibile perchè non coglie la ratio decidendo. La decisione sulla revoca dell’assegnazione in uso della mansarda e del garage non consiste, infatti, nell’inammissibilità delle relative questioni in quanto rimesse a un ordinario giudizio civile, bensì nel rigetto per ritenuta illegittimità dell’assegnazione al coniuge non affidatario della prole.
Identica sorte tocca alla censura c), perchè il sopravvenuto affidamento congiunto del figlio minore è elemento nuovo, che non può essere introdotto nel giudizio di legittimità. 7. – Con il sesto motivo si censura la determinazione dell’assegno divorzile e del contributo al mantenimento del figlio minore.
7.1. – Il motivo è inammissibile perchè, ad onta della rubrica dello stesso, gli argomenti addotti dal ricorrente non configurano nè violazione di norme di diritto, nè vizi della motivazione in fatto, bensì pure e semplici critiche di merito.
8. – Il ricorso va in conclusione respinto.
E’ equo compensare le spese processuali fra le parti (nonostante l’inammissibilità del controricorso, anche la parte intimata ha legittimamente svolto difese orali in udienza a mezzo del suo avvocato ritualmente officiato), attesa la novità della questione posta con il primo motivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e dichiara compensate fra le parti le spese processuali.
Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi delle persone a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Così deciso in Roma, il 28 novembre 2011.
Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2012
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