Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
1. – B.M. convenne in giudizio S.G., M. L., G. e P.A., esponendo che il proprio defunto marito, S.P., con testamento olografo del (OMISSIS), pubblicato il 25 gennaio 2001, aveva disposto a suo favore dell’usufrutto universale sui beni immobili, attribuendo la nuda proprietà dei singoli cespiti, esattamente individuati, ai figli di primo letto G., M.L. e G. nonchè alla loro figlia P.A., e che però l’asse ereditario comprendeva anche beni mobili non compresi nelle disposizioni testamentarie (titoli azionari, obbligazioni, buoni postali e conti correnti risultanti dalla denuncia di successione). Chiese pertanto che detto patrimonio fosse diviso tra tutti gli eredi, previa assegnazione ad essa della quota di legittima sui beni immobili in piena proprietà, ai sensi dell’art. 550 cod. civ., o, in subordine, previa dichiarazione di nullità della divisione operata dal testatore, riducendone ex art. 735 cod. civ. le disposizioni lesive dei suoi diritti di legittimaria, nonchè, circa i valori mobiliari, previa assegnazione della quota spettante in virtù della successione legittima, con collazione delle donazioni fatte in vita dal defunto ai figli convenuti.
Rimasta contumace S.P.A., si costituirono in giudizio G., M.L. e S.G., chiedendo il rigetto delle domande. In via riconvenzionale i convenuti domandarono che, nel caso fosse stata disposta la divisione del compendio ereditario, nella quota dell’attrice fosse imputato l’usufrutto di tutti i beni, con liquidazione in denaro delle sue eventuali spettanze.
Il Tribunale di Saluzzo, con sentenza in data 23 ottobre 2006, qualificata la disposizione testamentaria relativa all’usufrutto generale su tutte le proprietà del defunto come un legato, non solo sui beni immobili ma anche sui mobili, accertò che l’attrice, già nel possesso dei beni ereditari, aveva continuato ad esercitare l’usufrutto sui medesimi percependo i frutti, incassando i canoni di locazione e depositandoli sul proprio conto corrente personale, volontariamente scegliendo di eseguire la disposizione testamentaria in suo favore e cosi consumando la facoltà di scelta riconosciutale ai sensi sia dell’art. 550 cod. civ. che dell’art. 551 cod. civ.. Il Tribunale rigettò, quindi, la domanda dell’attrice.
2. – Con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 19 febbraio 2010, la Corte d’appello di Torino ha rigettato il gravame principale della B., mentre, in accoglimento dell’impugnazione incidentale di G.B., M.L. e S.G., ha condannato la Biglione al pagamento delle spese del primo grado di giudizio, che il Tribunale aveva compensato.
2.1. – La Corte territoriale ha confermato che, avendo l’attrice volontariamente scelto di eseguire, tacitamente o per facta concludentia, le disposizioni testamentarie, la stessa aveva consumato tanto la facoltà di scelta di abbandono dell’usufrutto relativo alla parte disponibile dell’eredità ai sensi dell’art. 550 cod. civ., quanto il diritto di rinunciare al legato e chiedere la legittima, secondo il disposto dell’art. 551 cod. civ..
Secondo la Corte d’appello, le disposizioni testamentarie non configurano una divisione del testatore ai sensi dell’art. 734 cod. civ., ma un’ipotesi di institutio ex re certa ai sensi dell’art. 588 cod. civ., comma 2.
La Corte di Torino ha quindi rilevato che la pretesa di procedere ad una assegnazione dei beni mobili asseritamente lasciati fuori dal testamento (con la conseguente apertura di un concorso tra la successione testamentaria e una successione legittima) non solo non può essere accolta, attesa l’intenzione del testatore di disporre di tutti i propri beni (mobili ed immobili), ma anche perchè in contrasto con il presupposto dell’azione esercitata dall’appellante, avendo costei proposto un’azione ex art. 550 cod. civ..
3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello la B. ha proposto ricorso, con atto notificato il 13 luglio 2010, sulla base di due motivi.
Hanno resistito, con controricorso, G.B., M. L. e S.G..
L’altra intimata – S.P.A. – non ha svolto attività difensiva in questa sede.
In prossimità dell’udienza la ricorrente e i controricorrenti hanno depositato memorie illustrative.
Motivi della decisione
1. – Con il primo mezzo la ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 550 cod. civ. e art. 2903 cod. civ., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere i giudici del merito omesso di considerare la natura e gli effetti del provvedimento, di accertamento costitutivo, invocato dall’attrice, a tutela del proprio diritto volto alla costituzione, modifica od estinzione dei rapporti giuridici sorti con il testamento, e per avere di conseguenza ritenuto che la B., con il proprio comportamento, avesse consumato la facoltà di scelta tra l’eseguire le disposizioni, attributive dell’usufrutto universale, ed il conseguire la legittima, unitamente all’abbandono ai figli dell’usufrutto della porzione disponibile.
Premette la ricorrente che, nel caso di cautela sociniana, il rimedio avverso la lesione della legittima è dato sia al legatario che all’erede, entrambi titolari di facoltà di scelta speculari l’una all’altra, mentre nell’ipotesi ex art. 551 cod. civ. non solo detta lesione è eventuale, ma il rimedio compete solo al legatario, senza alcuna reciprocità. Inoltre, mentre nel caso dell’art. 550 cod. civ., si ha abbandono, in punto di usufrutto, della sola quota afferente la porzione disponibile, nell’ipotesi di cui all’art. 551 cod. civ. si ha la rinuncia all’intero legato di usufrutto.
Sarebbe contro la lettera e lo spirito dell’art. 550 cod. civ. la tesi, accolta anche dalla Corte d’appello, secondo cui la B. avrebbe dovuto dismettere i 6/3 di usufrutto residuo (abbandono che la ricorrente, ora, in via subordinata, si dichiara disponibile a fare).
Si contesta che la Corte d’appello abbia ritenuto che l’esercizio dell’usufrutto, effettuato sul compendio immobiliare dalla B. successivamente all’apertura della successione, valesse e significasse accettazione della disposizione testamentaria impugnata, laddove la predetta altro non avrebbe fatto che attenersi alle disposizioni testamentarie, valide ed efficaci fino a che la loro impugnazione non fosse stata accolta e recepita dalla invocata sentenza costitutiva del giudizio.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 550 cod. civ., art. 116 cod. proc. civ. e art. 2729 cod. civ. in materia di valutazione delle prove e di presunzioni semplici, nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere i giudici del merito erroneamente ritenuto che la B., con l’esercizio dell’usufrutto su parte dei beni del compendio ereditario, avesse, per facta concludentia, consumato la facoltà di scelta tra l’eseguire le disposizioni del de cuius attributive dell’usufrutto universale ed il conseguire la legittima, unitamente all’abbandono agli eredi nudi proprietari dell’usufrutto della porzione disponibile.
2. – I due motivi – i quali, stante la loro connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono infondati.
Come questa Corte ha già affermato (Cass., Sez. 2, 18 gennaio 1995, n. 511), la cautela sociniana, disciplinata dall’art. 550 cod. civ., si inserisce nel sistema successorio come strumento di garanzia del diritto alla legittima in piena proprietà. Tale disposizione, nell’ipotesi che il testatore abbia disposto di un usufrutto o di una rendita vitalizia il cui reddito eccede quello della porzione disponibile (comma 1) o della nuda proprietà di una parte eccedente la disponibile (comma 2), attribuisce al legittimario, al quale, rispettivamente, sia stata assegnata la nuda proprietà ovvero l’usufrutto della disponibile (o di parte di essa), il potere di incidere unilateralmente sulla successione, senza ricorrere all’azione di riduzione. In sostanza il riservatario, senza verificare oggettivamente se vi sia stata o meno una lesione della quota di legittima, esercita un diritto potestativo sulla base di una valutazione soggettiva e può cosi pretendere la legittima in piena proprietà, "abbandonando" il resto, cioè la nuda proprietà o l’usufrutto della disponibile, ovvero conseguire la disposizione che lo riguarda (Cass., Sez. 2, 29 dicembre 1970, n. 2782).
Questa Corte ha già affermato (Sez. 2, 7 ottobre I960, n. 2599; Sez. 2, 18 gennaio 1995, n. 511, cit.; e v. , per la stessa soluzione sotto il vigore del codice del 1865, Sez. 1, 3 dicembre 1937) che la scelta non si sostanzia in una rinunzia all’eredità, ma in una opzione di cui la legge non determina la forma; non sono quindi necessario le solennità richieste dall’art. 519 cod. civ., potendo la scelta stessa provarsi con testimoni o per presunzioni, anche se trattasi di usufrutto o nuda proprietà riflettenti beni immobili, e potendo essa effettuarsi sia espressamente che tacitamente.
Ora, la formulazione della domanda giudiziale può anche e di per sè costituire manifestazione della volontà del legittimario di avvalersi, ricorrendone i presupposti, del rimedio di cui all’art. 550 cod. civ., al fine di conseguire il diritto alla legittima in piena proprietà: a condizione, però, che anteriormente alla proposizione della domanda stessa, il legittimario, destinatario di un’attribuzione di usufrutto universale, non abbia espresso, anche con un comportamento concludente, la volontà di dare esecuzione alla disposizione testamentaria lesiva del suo diritto alla legittima in piena proprietà.
La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di questo principio, avendo considerato e valutato, come fatto idoneo ad esprimere la volontà della B. di dare esecuzione alla disposizione testamentaria lesiva del suo diritto alla legittima in piena proprietà, la circostanza, accertata con logico e motivato apprezzamento delle risultanze istruttorie, secondo cui l’attrice, fin dall’apertura della successione, aveva esercitato l’usufrutto su tutti gli immobili costituenti l’asse ereditario, percependone i frutti ed i redditi.
Là dove, poi, censurano il vizio di motivazione, le critiche della ricorrente si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione del merito della causa e nella pretesa di contrastare apprezzamenti di fatti e di risultanze probatorie che sono inalienabile prerogativa del giudice del merito. Esse non tengono conto del fatto che il sindacato di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, è limitato al riscontro estrinseco della presenza, sicuramente sussistente nella specie, di una congrua ed esaustiva motivazione che consenta di individuare le ragioni della decisione e l’iter argomentativo seguito nella sentenza impugnata.
3. – Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna, la ricorrente al pagamento delle spese processuali sostenute dai controricorrenti, liquidate in complessivi Euro 3.200, di cui Euro 3.000 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2^ Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 27 febbraio 2012.
Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2012
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