Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con citazione notificata in data 3 ottobre 2002 D.N.G. e C.G., in proprio e quali esercenti la potestà sulla figlia minore M.I., convenivano in giudizio la Toro Targa Assicurazioni, V.G. e I.A. esponendo che il (OMISSIS) la loro figlia, trasportata sul ciclomotore di proprietà di V.G. e condotto dalla I., mentre percorreva Via (OMISSIS), cadeva sull’asfalto a causa dell’eccessiva velocità del mezzo riportando varie lesioni.
Ciò premesso, adivano il Giudice di pace di Gela per conseguire il risarcimento dei danni subiti. Nel corso del giudizio si costituivano il V. il quale eccepiva di non essere proprietario del ciclomotore e la Toro Targa, che contestava la fondatezza della domanda. Il giudice adito ordinava agli attori l’integrazione del contraddittorio nei confronti del vero proprietario del mezzo e quindi, a seguito dell’inosservanza del suo ordine, su eccezione dei convenuti, dichiarava l’estinzione del giudizio. Avverso tale decisione proponevano appello principale gli attori ed appelli incidentali il V. e la Toro ed in esito al giudizio il Tribunale di Gela con sentenza depositata in data 22.12.2009 rigettava le impugnazioni proposte.
Avverso la detta sentenza D.N.G., C.G. e D.N.M.I. hanno quindi proposto ricorso per cassazione articolato in un unico motivo, accompagnato da memoria a norma dell’art. 378 c.p.c.. Resiste con controricorso illustrato da memoria il V..
Motivi della decisione
L’unica doglianza, svolta dai ricorrenti, articolata sotto il duplice profilo della violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., comma 2 e dell’art. 112 c.p.c., nonchè dell’omessa pronuncia ed omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, si fonda sulla considerazione che il giudice di secondo grado avrebbe omesso di pronunciarsi sulla doglianza formulata dagli appellanti con l’atto di impugnazione, con cui era stato chiesto che venisse dichiarato che "l’onere della prova della proprietà del ciclomotore incombeva al convenuto V.G.". Ed invero – questa, la conclusione dei ricorrenti – il giudice del Tribunale aveva omesso di rilevare che l’accertamento dell’effettiva titolarità attiva o passiva del rapporto, attenendo al merito della controversia, è questione soggetta alla ordinaria disciplina dell’onere probatorio e delle impugnazioni, per cui il difetto di titolarità deve essere provato da chi lo eccepisce.
La censura è inammissibile. A riguardo, mette conto di rilevare che il giudice di seconde cure ha fondato le ragioni della sua decisione sulla premessa che, a norma dell’art. 102 c.p.c., nei casi di litisconsorzio necessario (anche meramente processuale), il Giudice adito, ove ritenga che non siano state chiamate in giudizio tutte le parti necessarie, deve ordinare l’integrazione del contraddittorio in un termine perentorio da lui stabilito con la conseguenza che, nel caso di mancata o tardiva ottemperanza all’ordine impartito, il giudizio non può proseguire per la decisione nel merito ma è destinato ad estinguersi ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 307 c.p.c., comma 3. – Ora, a fronte della mancata ottemperanza, nel termine fissato, all’ordine di integrazione del contraddittorio nei confronti del soggetto indicato come litisconsorte necessario, il giudice di primo grado questa, in sintesi, la conclusione del percorso argomentativo svolto dal giudice di appello – non poteva non dichiarare, sulla specifica eccezione dei convenuti costituiti, l’estinzione del giudizio ex art. 307, richiamato, essendogli precluso l’esame del merito della causa senza la previa regolare instaurazione del contraddittorio delle parti necessarie del procedimento. Ora, le ragioni di gravame, per risultare idonee a contrastare la motivazione della sentenza, devono correlarsi con la stessa, in modo che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata risultino contrapposte quelle dell’impugnante e volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime, mentre nel caso di specie i ricorrenti si sono limitati a reiterare le medesime questioni sollevate nel giudizio di appello riguardanti il merito della domanda, senza muovere doglianze specifiche, atte a contrapporsi alla tesi del Tribunale, fondata – ripetesi – sulla preliminare verifica dell’inottemperanza dell’ordine di integrazione del contraddittorio e sulla necessaria conseguente applicazione del disposto dell’art. 307 citato. E ciò, indipendentemente dall’identità del soggetto tenuto ad effettuare l’integrazione, giacchè – essendo la sanzione dell’estinzione del giudizio, ricollegata all’omissione – all’incombente può e deve provvedere chiunque vi abbia interesse ad impedire tale effetto pregiudizievole.
Da tale rilievo deriva inevitabilmente la superfluità di ogni questione volta ad individuare il soggetto cui spettasse provare la titolarità passiva del rapporto dedotto in giudizio, essendo quest’ultima una questione attinente al merito della controversia e, come tale, oggetto di valutazione successiva a quella logicamente e giuridicamente preliminare della verifica della corretta instaurazione del contraddittorio.
In definitiva, considerato che le ragioni di gravame non si sono contrapposte in maniera specifica alle ragioni poste dal giudice d’appello a base della sua decisione e non sono quindi idonee ad incrinarne il fondamento logico-giuridico, la censura deve essere ritenuta inammissibile per difetto della necessaria specificità, attesa la non riferibilità della censura alla sentenza impugnata.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna dei ricorrenti in solido alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese processuali che liquida in Euro 1.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.
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