Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
1. – R.M., all’esito di giudizio abbreviato, veniva condannato dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma – con sentenza deliberata il 5 febbraio 2010 – alla pena di anni 20 di reclusione oltre il risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite, siccome colpevole del reato di omicidio volontario a lui contestato per aver cagionato la morte di M.A. in Roma, il 15 aprile 2009, "sferrando colpi di coltello", nonchè degli ulteriori reati, unificati nel vincolo della continuazione, di porto fuori della propria abitazione di un coltello a serramanico e di minacce.
1.1 – Secondo la ricostruzione dell’episodio delittuoso compiuta dal giudice di prime cure, il M., verso le ore 20 del 15 aprile 2009, si trovava – unitamente ai suoi due figli – a bordo della propria autovettura, guidata dalla moglie D.L.M., in sosta davanti ad una pizzeria ubicata in via (OMISSIS), in attesa di poter parcheggiare in uno spazio libero. Nel frattempo sopraggiungeva, però, un’altra auto, condotta da R.M., che occupava repentinamente lo stesso posto, suscitando il comprensibile risentimento dei coniugi M.. La D.L. suonava subito il clacson per richiamare l’attenzione del R., il quale spostava la propria vettura, in modo da lasciare uno spazio sufficiente per il parcheggio di entrambi i veicoli. Il R. entrava quindi nella pizzeria e, dopo pochissimo tempo, avendo constatato l’indisponibilità di quanto intendeva acquistare nel locale, usciva di nuovo sulla strada e si avvicinava alla propria auto (ove era rimasta la convivente A.T.), trovandosi così davanti al M., appena sceso dalla vettura. A questo punto, tra il R. ed il M. iniziava un diverbio, sfociato in una colluttazione, dopo che uno dei due aveva detto all’altro:
"…visto?…ci siamo entrati tutti e due…", frase che, mentre secondo la D.L., sarebbe stata pronunciata da suo marito, secondo la A. era stata pronunciata invece dal R.. Lo scontro fisico (durante il quale il R. riportava un’ecchimosi ad un occhio) aveva una breve durata, anche perchè il M. tentava di fuggire e si dirigeva di corsa verso la vicina piazza (OMISSIS), ma giunto davanti ad un bar, inciampava e cadeva in terra.
Il R., che lo aveva inseguito, gli si gettava addosso e gli sferrava due colpi con un coltello: uno attingeva la regione lombare e l’altro l’emitorace destro, recidendo l’arteria mammaria e provocando una massiccia emorragia ed un’insufficienza respiratoria da emopneumotorace destro. Le persone presenti riuscivano a dividere i due uomini e prestavano i primi soccorsi al ferito, cercando di tamponargli il sangue che gli usciva dal petto. Nel frattempo il R. rivolgeva al M., ancora cosciente, le frasi: "..tanto io sono di zona…a te te ritrovo, t’ammazzo…ti riprendo e te ribuco…te trincio…tanto te ricerco…". Il M., soccorso, veniva portato con un’ambulanza in ospedale, dove però ne veniva constatato il decesso.
1.2 – La sentenza del giudice di prime cure – per quanto ancora rileva nel presente giudizio di legittimità – indiscussa la responsabilità penale del R., escludeva la contestata aggravante dell’avere l’imputato agito per motivi futili inerenti alla circolazione stradale, rilevando, al riguardo, che "se l’occasione e la causa prima della progressione dei fatti che avevano portato al ferimento mortale del M. poteva essere individuata nella questione del parcheggio, non si era con certezza dimostrato che tale motivo avesse rappresentato la ragione scatenante della furia omicida dell’imputato". 1.3 – Avverso tale decisione proponevano appello: in via principale il Procuratore della Repubblica di Roma ed in via incidentale i difensori dell’imputato.
1.3.1 – Quanto all’impugnazione principale, il pubblico ministero, dopo una articolata premessa diretta a sostenere l’ammissibilità dell’appello – prospettando un’interpretazione dell’art. 443 c.p.p., comma 3 secondo cui "l’appello sarebbe … consentito non soltanto nell’ipotesi in cui il fatto di reato sia qualificato in modo diverso da come indicato dal pubblico ministero, alla luce di una previsione incriminatrice diversa da quella contemplata dall’imputazione, ma anche nelle ipotesi di applicazione di circostanze diverse da quelle ipotizzate o di esclusione di aggravanti ipotizzate dal pubblico ministero, tanto più allorchè si tratti di aggravante ad effetto speciale – deduceva, nel merito, la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla esclusione della suddetta aggravante, sostenendo che la ritenuta cesura tra il momento del parcheggio e l’azione omicidiaria non aveva trovato riscontro nelle risultanze processuali e che l’assoluta sproporzione tra l’antefatto e il fatto era evidente ed integrava la contestata futilità di motivi.
1.3.2 – Quanto all’impugnazione incidentale, da parte dei difensori del R., si deduceva, in via preliminare, l’inammissibilità dell’appello del pubblico ministero e con riferimento al merito, la sua assoluta infondatezza.
2. – Con sentenza deliberata il 10 marzo 2011 la Corte d’Appello di Roma dichiarava inammissibile l’appello proposto dal Procuratore della Repubblica di Roma, che ai sensi dell’art. 568 c.p.p., comma 5 ne disponeva la conversione in ricorso per cassazione, disponendo la trasmissione degli atti a questa Corte per quanto di competenza.
Motivi della decisione
1. L’impugnazione proposta dal Procuratore della Repubblica di Roma, avverso la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma del 5 febbraio 2010, è inammissibile. Al riguardo va anzitutto rilevato che nessun profilo di illegittimità è fondatamente ravvisabile nella decisione della Corte territoriale di convertire in ricorso per cassazione l’impugnazione proposta dal Procuratore della Repubblica di Roma e dallo stesso qualificata come appello. Ed Invero, anche con riferimento al presente procedimento, deve infatti ribadirsi il principio secondo cui l’appello del Pubblico Ministero avverso la sentenza di condanna emessa all’esito di giudizio abbreviato è ammissibile solo in caso di sentenza "che modifica il titolo di reato", sicchè, non comportando l’esclusione dell’aggravante dei motivi futili, una modifica del "titolo di reato", ciò realizzandosi solo nell’eventualità in cui "il fatto, nel corso del procedimento, sia inquadrato in altra ipotesi criminosa" (in termini, relativamente al significato da attribuirsi al termine "modifica del titolo di reato", si veda Sez. 1, Sentenza n. 50001 del 27/11/2009 dep. 30/12/2009, Rv. 245977, imp. Pignalosa), deve escludersi, in base all’inequivoca formulazione dell’art. 443 c.p.p., comma 3, che il Pubblico Ministero, contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, possa impugnare con lo strumento dell’appello la sentenza di condanna resa all’esito di giudizio abbreviato, in presenza di una qualsiasi modifica del capo d’imputazione quale da lui configurato.
1.1.2. Ciò posto, ribadita la inammissibilità dell’appello e la più corretta qualificazione dell’impugnazione proposta dal PM come ricorso per cassazione, la stessa va senz’altro dichiarata inammissibile perchè, sotto l’apparente deduzione del vizio di contraddittorietà ed illogicità manifesta, in realtà si denuncia l’apprezzamento del fatto da parte del tribunale relativamente all’esclusione dell’aggravante ex art. 61 c.p., n. 1, apprezzamento che non presenta vizi deducibili in questa sede. Invero il Giudice dell’udienza preliminare, dopo avere premesso che "nessun soggetto totalmente "terzo" o "indifferente" ha potuto riferire "su come e perchè avesse preso avvio il diverbio e poi lo scontro fisico tra i due uomini", è pervenuto alla conclusione che, "nonostante l’accurata e approfondita indagine", non si era riusciti a raggiungere sul punto "alcuna certezza".
La valutazione del tribunale sulla insussistenza di elementi di prova certi che consentissero di ritenere che "la questione del parcheggio delle vetture" abbia costituito "la ragione scatenante della furia omicida dell’imputato", non essendo manifestamente illogica e risultando ancorata a risultanze processuali non adeguatamente confutate in ricorso, non può pertanto essere censurata in questa sede, anche perchè il rilievo secondo cui la frase "…visto?…ci siamo entrati tutti e due…", ove pure in tesi riferibile con certezza alla vittima, sia stata recepita dall’imputato come un rimprovero, si configura, in effetti, come una mera illazione del ricorrente.
2. Quanto infine all’impugnazione incidentale, a prescindere dal rilievo che l’inammissibilità di quella principale ne comporta ai sensi dell’art. 595 cod. proc. pen. la perdita d’efficacia, va comunque rilevato che alcuna censura viene mossa nell’interesse dell’imputato alla sentenza di primo grado.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso del PM. Così deciso in Roma, il 28 luglio 2011.
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