Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
1. – Nel fallimento della Winner’s Sporting Footwear S.p.a., il Tribunale di Trani, con sentenza del 27 gennaio 2004, dichiarò inammissibile la domanda tardiva di ammissione al passivo di un credito di L. 4.448.668 vantato da D.G.A. per retribuzioni non corrisposte negli ultimi tre mesi di lavoro, in aggiunta a quelle già ammesse in via ordinaria ed alle altre per le quali pendeva giudizio di opposizione allo stato passivo.
2. – L’impugnazione proposta dal D.G. è stata rigettata dalla Corte d’Appello di Bari con sentenza del 10 ottobre 2006.
Premesso che l’ammissione in via ordinaria e quella tardiva costituiscono fasi diverse del medesimo accertamento giurisdizionale, la Corte ha riconosciuto alla decisione intervenuta sulla prima autorità di giudicato in ordine al credito fatto valere nella seconda, sottolineando l’identità delle parti e del rapporto di lavoro dedotto in giudizio. Ha escluso che quest’ultimo costituisse un mero antecedente della situazione di fatto in ordine alla quale era stata invocata la tutela giurisdizionale, ravvisandovi invece la causa petendi della domanda, ed ha ritenuto che la specificità del titolo salariale posto a fondamento della stessa non comportasse la diversità del petitum. Rilevato inoltre che tra i crediti fatti valere con l’originaria istanza di ammissione era compreso il trattamento di fine rapporto, ha ritenuto che il giudicato formatosi al riguardo coprisse anche il credito concernente le ultime tre mensilità, incluse nella relativa base di calcolo, escludendo infine che la mancata richiesta di ammissione di detto credito in via ordinaria fosse giustificata dall’avvenuta proposizione dell’istanza di ammissione alla cassa integrazione guadagni straordinaria, in quanto la stessa non comportava la liberazione della società fallita dall’obbligo di corrispondere la retribuzione, subordinata al provvedimento di concessione dell’integrazione salariale.
3. – Avverso la predetta sentenza il D.G. propone ricorso per cassazione, articolato in sette motivi. Il curatore del fallimento non ha svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 101 e degli artt. 12, 99 e 112 cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la novità dell’istanza di insinuazione tardiva rispetto a quella di ammissione proposta in via ordinaria, senza tener conto della natura eterodeterminata di tali domande, la cui causa petendi era rappresentata non già dal rapporto di lavoro, ma dalle circostanze di fatto da cui scaturivano le singole pretese, e senza considerare che il decreto di approvazione dello stato passivo emesso dal giudice delegato è privo di carattere decisorio rispetto ai crediti per i quali non è stata proposta domanda di ammissione al passivo.
2. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 101 e degli artt. 12, 99 e 112 cod. proc. civ., assumendo che, nella parte in cui ha escluso la diversità del petitum dell’istanza di insinuazione tardiva rispetto a quello dell’istanza di ammissione proposta in via ordinaria, la Corte d’Appello ha omesso di tener conto della differenza di natura e funzione ravvisabile tra il trattamento di fine rapporto e la retribuzione mensile, nonchè di considerare che la pronuncia riguardante il primo non spiegava autorità di giudicato in ordine a quest’ultima, non costituendo un presupposto logico indefettibile della relativa pronuncia, ed essendo l’insinuazione tardiva fondata su circostanze sopravvenute, consistenti nell’avvio della procedura di ammissione alla cassa integrazione straordinaria.
3. – Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione della L. Fall., artt. 96, 97, e 101 e degli artt. 34, 99 e 324 cod. proc. civ., osservando che la sentenza impugnata ha attribuito autorità di giudicato al provvedimento di ammissione allo stato passivo, al quale va invece riconosciuta un’efficacia preclusiva meramente endofallimentare, limitata alle questioni riguardanti l’esistenza e l’entità del credito, le eventuali cause di prelazione che lo assistono e la validità e l’opponibilità del titolo da cui deriva, e non estensibile quindi ad altre domande, sia pure relative a diritti ed obblighi derivanti dal medesimo rapporto.
4. – Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia l’omessa, insufficiente e/o apparente motivazione circa un fatto controverso e decisivo, sostenendo che erroneamente la Corte d’Appello ha individuato nel rapporto di lavoro la causa petendi dell’istanza di individuazione tardiva, non avendo considerato che, ai fini dell’insorgenza del diritto del lavoratore alla retribuzione, sono necessari in concreto altri fatti costitutivi, quali lo svolgimento dell’attività lavorativa per un determinato periodo di tempo o la mora crederai del datore di lavoro.
5. – Con il quinto motivo, il ricorrente deduce l’omessa, insufficiente e/o apparente motivazione circa un fatto controverso e decisivo, assumendo che la Corte territoriale ha errato nell’individuare il petitum dell’istanza di insinuazione tardiva, avendovi ravvisato una maggiorazione della somma richiesta al medesimo titolo con l’istanza di ammissione proposta in via ordinaria, in virtù dell’inclusione delle ultime tre retribuzioni nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto, che costituisce invece un bene della vita del tutto diverso.
6. – Con il sesto motivo, il ricorrente lamenta l’omessa, insufficiente e/o apparente motivazione e/o il travisamento dei fatti circa un fatto controverso e decisivo, sostenendo che la Corte d’Appello ha errato nell’individuare i limiti oggettivi del giudicato endofallimentare, avendo omesso di considerare che l’ammissione al passivo riguarda singoli crediti, e non si estende pertanto ad un intero rapporto contrattuale ed a tutti i suoi effetti.
7. – Le predette censure vanno esaminate congiuntamente, avendo ad oggetto la comune problematica relativa alla preclusione derivante dall’ammissione al passivo fallimentare di crediti di lavoro, in riferimento all’insinuazione tardiva di ulteriori pretese aventi la propria fonte nel medesimo rapporto.
In proposito, la Corte d’Appello ha correttamente richiamato l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, a tenore del quale, poichè l’insinuazione ordinaria e quella tardiva costituiscono altrettante fasi di uno stesso accertamento giurisdizionale, le pregresse decisioni riguardanti l’ammissione in via ordinaria hanno valore di giudicato interno rispetto alla decisione concernente l’ammissione tardiva di un credito, con la conseguenza che quest’ultimo, per poter essere insinuato tardivamente, dev’essere diverso da quello fatto valere con l’insinuazione ordinaria, sotto il duplice profilo del petitum e della causa petendi (cfr. Cass., Sez. 1^, 10 novembre 2006, n. 24049;
Cass., Sez. 5^, 31 marzo 2006. n. 7661; 19 febbraio 2003, n. 2476).
Non può tuttavia condividersi l’applicazione di tale principio emergente dalla sentenza impugnata, la quale ha fatto discendere dall’unicità del rapporto di lavoro dal quale scaturivano i crediti retributivi fatti valere rispettivamente con l’insinuazione ordinaria e con quella tardiva l’identità della causa petendi delle due domande, ravvisando nell’importo di cui era stata chiesta l’ammissione in via tardiva una mera variazione quantitativa del petitum, con la conseguente operatività della preclusione derivante dall’intervenuta ammissione in via ordinaria.
In riferimento ai rapporti di durata, come quelli di lavoro, caratterizzati dal prodursi nel corso del tempo di distinte (ancorchè similari) posizioni creditorie-debitorie, questa Corte ha infatti affermato che la statuizione definitiva di merito, inerente alla domanda relativa ad una di dette posizioni, assume autorità di giudicato, nella successiva causa fra le stesse parti che abbia ad oggetto un diverso credito, limitatamente alle questioni comuni, quali l’esistenza, la validità e l’efficacia del rapporto stesso, senza estendere la propria portata agli effetti prodottisi nei singoli periodi del suo svolgimento (cfr. Cass., Sez. Un., 13 luglio 2006, n. 15896; Cass., Sez. 3^, 13 febbraio 2002, n. 2083; Cass., Sez. lav., 6 marzo 2001, n. 3230). L’unicità del rapporto di lavoro instauratosi tra le parti non è dunque sufficiente a giustificare l’affermazione dell’identità della causa pretendi, non risultando indifferente, ai fini dell’individuazione di quest’ultima, il dato temporale, anche in relazione a possibili modificazioni delle modalità di articolazione della prestazione lavorativa, ed alla conseguente variabilità del quantum e delle componenti della retribuzione (differenze paga, mensilità aggiuntive, ferie, trattamento di fine rapporto, etc.), che, configurandosi come elementi costitutivi del credito fatto valere, consentono di escludere, ai fini della sua azionabilità mediante insinuazione tardiva, l’operatività della preclusione derivante dall’ammissione di analoghi crediti in via tempestiva.
7.1. – Tale preclusione, nella specie, non è ricollegabile neppure alla circostanza, evidenziata dalla Corte d’Appello, che il credito fatto valere con l’insinuazione tardiva abbia ad oggetto le ultime tre mensilità di retribuzione, il cui importo, ai sensi dell’art. 2120 cod. civ., è incluso nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto, a sua volta compreso tra le voci retributive di cui è stata chiesta l’ammissione al passivo in via ordinaria.
Questa Corte, infatti, ha già avuto modo di escludere specificamente che la decisione di merito adottata in ordine alla domanda di corresponsione del trattamento di fine rapporto spieghi efficacia di giudicato ai fini dell’ammissione al passivo di crediti diversi, ancorchè derivanti dal medesimo rapporto di lavoro, ravvisando tra i relativi giudizi diversità di petitum e causa petendi, e precisando che si è in presenza di una domanda nuova quando la stessa risulti fondata su presupposti di fatto e situazioni giuridiche non prospettate in precedenza, sì da importare il mutamento dei fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio e da introdurre nel processo un diverso tema di indagine e di decisione, con un distinto oggetto sostanziale dell’azione, in modo da porre in essere, in definitiva, una pretesa diversa, per la sua intrinseca essenza, da quella fatta valere in precedenza (cfr. Cass., Sez. lav., 2 marzo 2007, n. 4950). Anche sotto questo profilo, va pertanto ribadito che la mera identità del rapporto giuridico cui si ricollegano la nuova pretesa e quella che ha costituito oggetto della precedente decisione non è sufficiente ai fini dell’esclusione della diversità della causa petendi, ben potendo accadere che da una stessa situazione scaturisca una pluralità di diritti connotati da requisiti propri e suscettibili di formare oggetto di domande diverse, e dovendo quindi considerarsi virtualmente compresa in quella originaria solo la domanda fondata su fatti e comportamenti non diversi, per consistenza ontologica, struttura e qualificazione giuridica, da quelli prospettati con la domanda originaria, e diretta esclusivamente a precisarne o restringerne il petitum (cfr. Cass., Sez. 1^, 23 aprile 2004, n. 7766).
7.2. – Inconferenti appaiono infine le considerazioni svolte dalla Corte d’Appello in ordine alle cause del ritardo con cui è stata proposta la domanda di ammissione del credito ulteriore, la cui imputabilità assume rilievo esclusivamente ai fini della partecipazione alle ripartizioni anteriori all’ammissione, nonchè della sopportazione delle spese del procedimento.
8. – La sentenza impugnata va pertanto cassata, anche nella parte concernente il regolamento delle spese processuali, restando conseguentemente assorbito il settimo motivo d’impugnazione, con cui il ricorrente censura la relativa statuizione, denunciandone la contraddittorietà. 9. – La causa va dunque rinviata alla Corte d’Appello di Bari, la quale provvederà, in diversa composizione, anche alla liquidazione delle spese relative alla fase di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi sei motivi di ricorso, dichiara assorbito il settimo, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di Appello di Bari, anche per la liquidazione delle spese processuali.
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