Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con sentenza 25.9.08, la corte di appello di Brescia, in riforma della sentenza 18.3.02 del tribunale della stessa sede, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di A.A.M. presidente della fondazione "Il Vittoriale", in ordine al reato di diffamazione in danno di T.E., presidente del Centro Nazionale di Studi Dannunziani, perchè estinto per prescrizione; ha confermato le statuizioni civili e ha condannato l’ A. alla rifusione delle spese in favore della parte civile.
L’ A. era stata condannata dal primo giudice, in ordine al reato di diffamazione, per aver rilasciato, mediante l’invio di un fax, a un giornalista del quotidiano "Il giornale di Brescia", espressioni, poi riportate nell’articolo "Da Pescara una lezione inutile", pubblicato il (OMISSIS), tra le quali le seguenti "gente incolta avvelenata di malafede", ritenute offensive della reputazione del T.E.. Il difensore dell’ A. ha presentato ricorso per i seguenti motivi;
1. violazione di legge in riferimento all’art. 124 c.p., artt. 129 e 178 c.p.p., in quanto il diritto di querela non è stato esercitato nel termine perentorio di tre mesi dalla notizia del fatto che costituisce reato. La querela è tardiva, in quanto il fatto risale al 30 luglio 1998 e la querela è stata presentata il 2 novembre 1998, quindi oltre il termine previsto dalla legge. Hanno quindi errato i giudici di merito, omettendo di provvedere all’immediata declaratoria della causa di non punibilità, prevista dall’art. 129 c.p.p., anche se non eccepita dalla parte. La corte di appello avrebbe dovuto limitarsi a dichiarare l’improcedibilità dell’azione penale, senza confermare le statuizioni civili, che sono fondate sull’accertamento della sussistenza del fatto reato (v. cass, n. 49783 del 24.9.2009) 2. violazione di legge in riferimento all’art. 595 c.p. e art. 129 c.p.p.: il T. non può considerarsi il destinatario delle dichiarazioni della ricorrente, che ha utilizzato l’impersonale termine "gente", e l’intera frase "gente incolta avvelenata di malafede" è da considerare (come già affermato nei motivi di appello) inserita in una più ampia riflessione, che nel pensiero della scrivente vede come protagonisti non i colti (gli studiosi pescaresi e il prof. T. stesso), con i quali pure si confronta, ma altri soggetti, i politici locali Come già evidenziato nell’atto di appello, il giornalista non rammenta le circostanze nelle quali nacque l’articolo, sicchè non è certo che l’espressione diffamatoria riguardasse il T.. La corte di appello ha violato quindi la regola probatoria che impone l’accertamento della riferibilità, alla stregua del canone della certezza.
3. violazione di legge in riferimento all’art. 43 c.p., per insussistenza dell’elemento soggettivo del dolo.
La corte afferma questa sussistenza in vìa presuntiva, avendo omesso di effettuare un accertamento sulla base di dichiarazioni che non sono riferibili al T..
4. vizio di motivazione, per incompatibilità tra la sentenza e le risultanze processali: nella motivazione la corte afferma che il testo del telefax inviato al giornalista non lascia spazio ad alcuna diversa interpretazione essendo evidente che l’imputata ha inteso unicamente ed esclusivamente rispondere alle iniziative del Centro dannunziano abruzzese. Questa motivazione è illogica, in quanto non tiene conto delle osservazioni formulate nell’atto di appello, secondo cui le affermazioni erano funzionali a svolgere una riflessione generale che aveva ad oggetto altre persone, tra cui i politici locali che avevano polemizzato con la sua nomina e la sua gestione.
Il ricorso non è meritevole di accoglimento, in quanto si articola in gran parte attraverso argomentazioni concernenti la ricostruzione dei fatti e la loro interpretazione, da parte dei giudici di merito.
Innanzitutto va rilevato che proprio la prospettata ricostruzione del momento, in cui il T. ha avuto conoscenza del contenuto dell’articolo, costituisce una questione di fatto, la cui verifica non rientra nell’alveo valutativo, delimitato dal legislatore per il giudizio di legittimità. Sulla tempestività della presentazione dell’istanza punitiva si è quindi formato giudicato intangibile.
Quanto alle altre doglianze relative all’identificazione del destinatario delle affermazioni diffamatorie e al dolo della loro autrice, va rilevato che i giudici di merito hanno correttamente e razionalmente ritenuto che il testo del telefax inviato al giornalista dal presidente della fondazione "Il Vittoriale", essendo inquadrato in un lineare ed indiscutibile contesto storico, si riferisce, con assoluta certezza, al T., presidente del Centro di Pescara – unico ente, unitamente alla Fondazione "Il Vittoriale" – che era impegnato nello studio dell’opera di D’Annunzio. Il T. è stato consigliere della estinta fondazione "Casa d’Annunzio".
I giudici hanno accertato che questi era stato incaricato dai partecipanti a un convegno sul poeta abruzzese, svoltosi a Pescara, di inoltrare al ministro della cultura una mozione in cui si chiedeva una maggiore tutela per alcuni beni custoditi nel Vittoriale. Questa iniziativa era stata riportata in un precedente articolo del medesimo quotidiano. Nel telefax inviato dall’ A., presidente della omonima fondazione, sono contenute le seguenti frasi "Appare a dir poco stravagante la "lezione" degli studiosi riuniti a Pescara. La mia obiezione è nei fatti: il Vittoriale continua la sua fortunata avventura mentre la fondazione pescarese ha cessato di esistere da un pezzo. In realtà, gente incolta, avvelenata di malafede, intende colpire il Vittoriale e chi lo gestisce". Non sono formulabili dubbi o incertezze sulla consapevolezza, da parte della ricorrente, dell’indiscutibile e inequivocabile carica diffamatoria delle espressioni da lei scelte e del bersaglio contro cui erano dirette.
Alla luce di queste inoppugnabili cadenze di fatti, di tempi e di protagonisti, le conclusioni a cui sono giunti i giudici di merito corrispondono pienamente alle risultanze processuali e a una loro razionale interpretazione.
Il ricorso va quindi rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione di quelle sostenute dalla parte civile, che liquida in Euro 1.100,00 oltre accessori come per legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione di quelle sostenute dalla parte civile, che liquida in Euro 1.100,00 oltre accessori come per legge.
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