Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1) La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 13.7.2010, in riforma della sentenza del Tribunale di Roma dell’1.10.2009, con la quale L.M. era stato condannato alla pena di anni 8 di reclusione per il delitto di cui all’art. 81 cpv. c.p., art. 609 quater c.p., comma 1, n. 2 e comma 2 per aver compiuto atti sessuali in danno della figlia V. dal (OMISSIS) (giorno in cui la minore compiva (OMISSIS) anni) e poi, successivamente, fino al (OMISSIS), riconosceva il vizio parziale di mente e riduceva la pena inflitta in primo grado ad anni 5 di reclusione.
Dopo aver premesso che l’appello non investiva l’affermazione di penale responsabilità, rilevava la Corte territoriale che dalla perizia psichiatrica, disposta in parziale rinnovazione del dibattimento, era emerso che l’imputato era effettivamente portatore del corredo genetico riconducibile alla malattia di Huntington. Secondo i giudici di appello le conclusioni cui era pervenuto il perito sulla incidenza di tale patologia sulla capacità di intendere e di volere erano condivisibili e non risultavano scalfite dalle contestazioni sollevate dalla parte civile.
Andava, quindi, riconosciuta la diminuente del vizio parziale di mente, mentre andava rigetta la richiesta, avanzata con i motivi di appello, di concessione delle circostanze attenuanti generiche e di riduzione della pena.
Assumeva, infine, la Corte territoriale, sulla base delle condivisibili valutazioni espresse dal perito, che andasse formulato un giudizio di pericolosità, con conseguente applicazione della misura del ricovero in una casa di cura e custodia per un tempo non inferiore ad un anno.
2) Propone ricorso per cassazione L.M., a mezzo del difensore, denunciando, con il primo motivo, la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla omessa concessione delle circostanze attenuanti generiche.
La Corte territoriale ha ritenuto di non concedere detto beneficio per la chiara soccombenza degli elementi favorevoli all’imputato rispetto alla reiterazione della condotta di abusi sessuali in danno della figlia minore. Tale ragionamento non appare sostentile alla luce degli accertamenti in ordine alle effettive problematiche psichiatriche di cui è affetto l’imputato. I giudici di appello non hanno tenuto in debita considerazione l’elemento di novità rappresentato dall’accertata sussistenza della malattia di Huntington. Le considerazioni svolte dalla Corte territoriale sarebbero pertinenti se riferite ad un soggetto sano", la motivazione della sentenza impugnata è contraddittoria, in quanto, da un lato, viene riconosciuto il vizio parziale di mente e, dall’altro, vengono negate le circostanze attenuanti generiche in quanto l’imputato era comunque in grado di comprendere la natura illegittima e socialmente inaccettabile delle sue azioni.
Le particolari condizioni psichiche del ricorrente, poi, richiedevano certamente un intervento correttivo del giudice nella determinazione della pena nel rispetto del principi costituzionali di ragionevolezza (art. 3) e finalità rieducatrice (art. 27). Con il secondo motivo denuncia la inosservanza ed erronea applicazione delle norme penali con riferimento all’art. 219 c.p. e la carenza di motivazione.
La pericolosità in senso psichiatrico deve intendersi come prognosi clinica di ricaduta (reiterazione nel caso di specie assai remota, stante la rottura dei rapporti con la famiglia). In ogni caso, trattandosi di malattia neurologica e non psichiatrica l’ospedale psichiatrico giudiziario non ha alcuna utilità ed idoneità. 3) Il ricorso è manifestamente infondato.
3.1) Va ricordato che, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, non è necessaria una analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, essendo sufficiente la indicazione degli elementi ritenuti decisivi e rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri.
Non è necessario, quindi, scendere alla valutazione di ogni singola deduzione difensiva, dovendosi, invece, ritenere sufficiente che il giudice indichi, nell’ambito dei potere discrezionale riconosciutogli dalla legge, gli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti. Il preminente e decisivo rilievo accordato all’elemento considerato implicai infatti, il superamento di eventuali altri elementi, suscettibili di opposta e diversa significazione, i quali restano implicitamente disattesi e superati. Sicchè anche in sede di impugnazione il giudice di secondo grado può trascurare le deduzioni specificamente esposte nei motivi di gravame quando abbia individuato, tra gli elementi di cui all’art. 133 c.p., quelli di rilevanza decisiva ai fini della connotazione negativa della personalità dell’imputato e le deduzioni dell’appellante siano palesemente estranee o destituite di fondamento (cfr.Cass.pen.sez. 1 n.6200 del 3.3.1992; Cass. sez. 6 n.34364 del 16.6.2010). L’obbligo della motivazione non è certamente disatteso quando non siano state prese in considerazione tutte le prospettazioni difensive, a condizione però che in una valutazione complessiva il giudice abbia dato la prevalenza a considerazioni di maggior rilievo, disattendendo implicitamente le altre. E la motivazione, fondata sulle sole ragioni preponderanti della decisione non può, purchè congrua e non contraddittoria, essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento, per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (cfr.Cass.pen.sez.6 n.7707 del 4.12.2003).
3.1.1) La Corte territoriale ha ritenuto che gli elementi favorevoli all’imputato (atteggiamento collaborativo, scarsa possibilità di vita futura, condotta del reo antecedente al fatto, incensuratezza), segnalati nei motivi di appello, non potessero che soccombere in presenza della gravità, reiterazione e spregevolezza della condotta.
Con motivazione adeguata ed immune da vizi logici, come tale non censurabile in questa sede di legittimità, ha, condividendo pienamente le argomentazioni del giudice di primo grado, evidenziato, infatti, che il prevenuto avevo "intrattenuto con la figlia fin dall’età di 14 anni, ripetuti rapporti sessuali protrattisi per un lungo lasso di tempo – oltre due anni – in un crescendo di condotte invasive della sfera sessuale della ragazza, con totale indifferenza non solo rispetto alle comuni esigenze di protezione di una figlia minorenne, peraltro nella delicata età adolescenziale, ma anche rispetto ai tentativi di opporvisi".
Ed ha sottolineato la Corte di merito che tali valutazioni erano pienamente compatibili con il riconoscimento del vizio parziale di mente, essendo l’imputato, comunque in grado, come riconosciuto dalla disposta perizia, di "comprendere la natura illegittima e socialmente inaccettabile delle sue azioni (tanto da preoccuparsi di tenerle nascoste)". 3.1.2) Tale motivazione non è affatto contraddittoria. L’assunto del ricorrente porterebbe, invero, ad una sorta di riconoscimento, per così dire, automatico delle circostanze attenuanti generiche in presenza di un vizio parziale di mente. Ma è assolutamente pacifico che sussista piena autonomia concettuale tra la diminuente, che attiene alla sfera psichica del soggetto al momento della formazione della volontà, e l’intensità del dolo, che riguarda il momento nel quale la volontà si manifesta e persegue l’obiettivo considerato" (cfr. Cass. pen. sez. 1, 18.1.1995 n. 3633, Mazzoni; Cass. pen. sez. 5, 27.10.1999 n.14107).
Sicchè la diminuente del vizio parziale di mente è pienamente compatibile con una maggiore intensità del dolo, che può giustificare il diniego delle attenuanti generiche. La giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato che "se è vero che la diminuente di cui all’art. 89 c.p. ben può coesistere con le attenuanti generiche (sez.5 n.7350 del 26.5.1992 Rv.190999), è tuttavia da escludere che la seminfermità mentale possa essere presa in considerazione come attenuante specifica e come attenuante generica; allo stesso tempo valutata, cioè, a favore dell’imputato due volte e in due diverse direzioni (sez.6 n.9509 del 13.5.1983 ftv.161141; sez.2 n.1722 del 30.11-1966 rv. 104078). Inoltre….deve essere esclusa l’incompatibilità della maggiore intensità del dolo con la concessa diminuente del vizio parziale di mente, in quanto anche in tal caso, sussistendo la capacità di intendere e di volere, la condotta criminosa dell’imputato può manifestarsi con dolo molto intenso, desumibile anche dalle gravi modalità del fatto; sez. 1, n.2159 del 6-12.1993 rv.197476; sez.2 n.4739 del 18.11.1982 Rv.159165" (cfr.Cass.pen.sez.3 n.19248 del 7.4.2005). Quanto alla congruità della pena inflitta, la Corte, esclusa la concedibilità delle circostanze attenuanti generiche, per le ragioni in precedenza indicate, ha evidenziato che il giudice di primo grado si è ispirato a criteri di assoluta moderazione, dal momento che la pena base è stata determinata nel minimo edittale, con un aumento per la continuazione adeguato "all’elevato numero di analoghe condotte precedenti e susseguenti". 3.2) Con valutazione in fatto, argomentata ed immune da vizi, la Corte territoriale ha, poi, ritenuto che sussistesse la pericolosità sociale del prevenuto e che, quindi, fosse necessario applicare la misura di sicurezza.
Facendo proprie le valutazioni espresse dal perito ha affermato, infatti, che "..dal punto di vista comportamentale è proprio l’assenza di giudizio morale che lo rende pericoloso..". 3.3) Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma che pare congruo determinare in Euro 1.000,00 ai sensi dell’art. 616 c.p.p..
3.4) Va rigettata la richiesta di liquidazione delle spese giudiziali, avanzate dalla parte civile, non avendo essa alcun interesse in relazione ai motivi di ricorso. "Nel processo penale l’onere della refusione delle spese giudiziali sostenute dalla parte civile è collegato alla soccombenza; tuttavia, nel giudizio di impugnazione, la soccombenza deve essere valutata con riferimento al gravame ed al correlativo interesse del danneggiato dal reato a far valere i propri diritti in contrasto con i motivi proposti dall’imputato; ne deriva che, qualora nessun pregiudizio possa derivare alla parte civile dall’accoglimento del gravame, essa, pur avendo il diritto di intervenire, non ha alcun interesse a concludere, con la conseguenza che non può essere ordinata in suo favore la refusione delle spese processuali" (cfr.Cass.pen. Sez.2 n.8230 del 18.4.1996; Cass.sez3 n.11272 del 23.9.1990).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento alla cassa delle ammende della somma di Euro 1.000,00.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.