Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
1.- Con sentenza n. 83/2004 il Tribunale di Cassino, in accoglimento della domanda proposta da M.T.L. e L.C., quali eredi del promissario acquirente L.B., nei confronti della promittente venditrice, la società Torre Scissura s.r.l., trasferiva alle istanti la proprietà dell’immobile sito in Gaeta promesso in vendita dalla predetta società, condannando le medesime al pagamento del residuo prezzo pari a Euro 2.220,46 oltre interessi dall’11 luglio 1995 al 26 settembre 2003; rigettava la domanda riconvenziona1 e proposta dalla convenuta di risoluzione del contratto per inadempimento delle attrici.
Con sentenza dep. il 3 dicembre 2009 la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della decisione impugnata dalla società Torre Scissura s.r.l., condannava le attrici al pagamento della maggior somma di Euro 4.265,90 oltre interessi dall’ 11 luglio 1995 e risarcimento del danno da mora.
Secondo i Giudici, era da escludere un inadempimento rilevante da parte sia dell’originario promissario acquirente sia delle attrici che erano al medesimo subentrate, tenuto conto che: era stata ripetutamente manifestata la volontà di pagare il residuo prezzo;
che, anche in considerazione dei rapporti di amicizia esistenti fra le parti, la data della stipula del contratto definitivo, inizialmente fissata per il 31 dicembre 1978, era stata d’accordo differita a data da destinarsi e che la richiesta di saldo era stata avanzata per la prima volta nel febbraio 1995 dopo la morte del promissario acquirente.
Il prezzo convenuto era di lire 70 milioni e non di lire 92 milioni come, preteso dalla promittente, posto che la somma di lire 22 milioni, costituito dall’accollo del mutuo, rappresentava modalità di pagamento del prezzo fissato nel predetto importo: i Giudici accertavano che erano state già pagate lire 43.480.000 in contanti e che gli acquirenti avevano assolto l’obbligo di pagamento delle rate del mutuo maturate dopo la stipula del preliminare: risultavano, invece, dovute le rate di mutuo che erano state pagate dalla società in epoca anteriore al contratto preliminare, pari a lire 8.259.925 comprensive del rimborso delle relative spese:le attrici avevano offerto banco iudicis all’udienza del 26 settembre 2003 la complessiva somma di lire 10.000.000 milioni, comprensiva anche degli interessi maturati.
Di conseguenza, le convenute erano condannate al pagamento dell’importo di Euro 4.265,90 con gli interessi dalla data indicata dal Tribunale.
2.- Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione la società Torre Scissura s.r.l. in liquidazione, sulla base di cinque motivi.
Resistono con controricorso le intimate, depositando memoria illustrativa.
Motivi della decisione
1.1. – Il primo motivo, lamentando nullità della sentenza e del procedimento, violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., deduce che la Corte non aveva esaminato l’eccezione di prescrizione, tempestivamente e ritualmente sollevata ai sensi dell’ art. 345 cod. proc. civ. nel testo vigente ratione temporis, e sulla quale si era instaurato un regolare contraddittorio.
1.2. – Il motivo va accolto.
Dall’esame dell’atto di appello (consentito dalla natura processuale del vizio lamentato) è emerso che la ricorrente aveva invocato la prescrizione del diritto alla stipula del contratto definitivo sul rilievo che era decorso ampiamente il termine di prescrizione decennale ("quel giudice dimentica, altresì, che il diritto alla stipula del definitivo è soggetto al termine di prescrizione, termine decennale abbondantemente e colpevolmente fatto scadere"), dovendo qui osservarsi, da un canto, che per la proposizione dell’eccezione di prescrizione non occorrono formule sacramentali e che la sua deduzione in appello era ammissibile ai sensi dell’art. 345 cod. proc. civ. nel testo anteriore alla novella di cui alla L. n. 353 del 1990 ratione temporis applicabile alla specie.
La sentenza è incorsa nella violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.,non avendo esaminato l’eccezione di prescrizione.
2.1. – Il secondo motivo, lamentando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, censura la sentenza impugnata per avere omesso l’esame di specifici elementi probatori circa la quantificazione del prezzo dovuto e costituiti: a) dalla confessione o ammissione contenuta nell’atto di citazione con cui le attrici avevano ammesso che il prezzo pattuito era di lire 70 milioni oltre a lire 22 milioni di cui all’accollo; b) dai bollettini di pagamento dei mutui allegati alla comparsa di costituzione, da cui era emerso che il mutuo era di lire 18.900.000 e non di lire 22.000.00. cosicchè era dovuta la differenza di lire 3.100.000.
Pertanto, il prezzo era di lire 26.520.000 (= 70.000.000-43.480.000, corrisposte) + 7.423.925 + 836.000 (al cui pagamento erano state condannate le controparti) + 3.100.000, per un totale ancora dovuto di lire 37.879.925. 2.2. – Il terzo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 cod. civ. cod. proc. nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, censura l’interpretazione del contratto, laddove non aveva ricercato la comune intenzione delle parti, fermandosi al senso letterale delle parole senza peraltro tenere conto del complessivo tenore delle clausole contrattuali nè del comportamento anche successivo tenuto dalle parti, attese le affermazioni processuali delle stesse attrici.
In effetti, non era controverso il prezzo pattuito ma solo il pagamento integrale o meno, posto che la ricorrente aveva dedotto che mancavano lire 26.520.000.
La motivazione dei Giudici non consentiva di comprendere le ragioni in base alle quali avevano ritenuto che l’importo del prezzo fosse di lire 70 milioni anzichè di lire 92 milioni.
2.3.- Il secondo e il terzo motivo – che, per la stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono infondati.
Occorre ricordare che in tema di interpretazione del contratto, il giudice di merito, nel rispetto degli artt. 1362 e 1363 cod. civ., per individuare quale sia stata la comune intenzione delle parti, deve preliminarmente procedere all’interpretazione letterale dell’atto negoziale e, cioè, delle singole clausole nonchè delle une per mezzo delle altre, dando contezza in motivazione del risultato di tale indagine. Solo qualora dimostri, con argomentazioni convincenti, l’impossibilità (e non la mera difficoltà) di conoscere la comune intenzione delle parti attraverso l’interpretazione letterale, potrà utilizzare i criteri sussidiari di interpretazione, in particolare il comportamento delle parti successivo alla conclusione del contratto ed il principio di conservazione.
Nella specie, la sentenza, nell’accertare la volontà delle parti e la determinazione del prezzo in lire 70.000.000, ha tenuto conto delle espressioni letterali usate secondo il significato logico che ad esse era obbiettivamente riconducile ("fissato in"…) e, perciò, ritenendo che la somma di mutuo oggetto di accollo era parte del predetto prezzo che in tal modo era versato.
Orbene, se dunque gli altri elementi indicati non dovevano neanche essere presi in considerazione, le doglianze della ricorrente si risolvono nella contrapposizione di una soggettiva interpretazione sia del contratto sia di quella che sarebbe stata la volontà desumibile dall’atto di citazione,anche attraverso una rivalutazione delle altre risultanze istruttorie. Al riguardo va considerato che l’interpretazione del contratto, consistendo in un’operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in un’indagine di fatto riservata al giudice di merito, il cui accertamento è censurabile in cassazione soltanto per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle regole ermeneutiche, che deve essere specificamente indicata in modo da dimostrare – in relazione al contenuto del testo contrattuale – l’erroneo risultato interpretativo cui per effetto della predetta violazione è giunta la decisione, che altrimenti sarebbe stata con certezza diversa la decisione: la deduzione deve essere, altresì, accompagnata dalla trascrizione integrale del testo contrattuale in modo da consentire alla Corte di Cassazione, che non ha diretto accesso agli atti, di verificare la sussistenza della denunciata violazione decisività.
Ne consegue che non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto già dallo stesso esaminati: occorre ricordare che per sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra. (Cass.7500/2007; 24539/2009).
3.1.- Il quarto motivo (nullità della sentenza o del procedimento, violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione) censura la sentenza impugnata laddove aveva fatto decorrere gli interessi e la rivalutazione dall’11 luglio 1995, anzichè dai 31-12-1979, al 26-9-2003 quando nelle conclusioni dell’atto di appello si erano indicate le diverse date di decorrenza;
con la memoria di replica in appello era stato censurato il ragionamento del Tribunale che aveva fondato il dies a quo su un fantomatico accordo di differimento del termine, che deve essere provato per iscritto e non può essere provato per testimoni nè per presunzioni; il Tribunale aveva erroneamente individuato il dies ad quem nell’offerta banco iudicis di lire 10.000.000, che era stata legittimamente rifiutata, perche non seria nè completa.
La sentenza di appello aveva omesso di pronunciarsi sulla domanda di riforma relativamente alla statuizione circa il dies a quo di decorrenza degli interessi, erroneamente affermando che non vi sarebbe stata impugnazione, quando ciò era smentito dalle conclusioni al riguardo rassegnate con l’appello; aveva omesso di pronunciarsi in ordine al dies ad quem di decorrenza degli interessi 3.2.- Il motivo va disatteso.
La ricorrente avrebbe dovuto allegare e dimostrare di avere formulato ritualmente e tempestivamente (ovvero con l’atto di appello) motivi specifici, contenenti cioè argomentazioni idonee a contrastare le motivazioni della decisione di primo grado circa la decorrenza di interessi e rivalutazione, non essendo evidentemente sufficiente la mera richiesta formulata nelle conclusioni di condanna al pagamento delle somme dalla e fino alla diversa data ivi indicata,mentre è irrilevante quanto dedotto con la memoria di replica, che ha carattere meramente illustrativo.
4.1.- Il quinto motivo (violazione dell’art. 1455 cod. civ. nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione) denuncia la violazione dei principi in materia di valutazione della gravita dell’inadempimento, censurando il giudizio negativo al riguardo formulato dai Giudici in merito al dedotto inadempimento delle attrici: a) sotto il profilo oggettivo, avendo omesso di considerare gli elementi necessari per procedere alla esatta quantificazione del prezzo, i Giudici non avevano tenuto conto dell’incidenza dell’inadempimento nell’economia complessiva del contratto, atteso l’importo ancora dovuto di lire 37.879.925, oltre a quelli importi dovuti a titolo di rivalutazione ed interessi, ovvero comunque della differenza fra lire 48.000.000, dovute, e lire 43.480.000, corrisposte, anche secondo le stesse premesse da cui era partita la sentenza che era pervenuta a conclusioni contraddittorie e incomprensibili; b) sotto il profilo soggettivo, la sentenza non aveva considerato il comportamento tenuto dalla convenuta che aveva chiesto la risoluzione del contratto a seguito del rifiuto opposto dalle attrici di pagare il prezzo, non assumendo rilevanza il comportamento tenuto dall’originario promissario acquirente; la sentenza non aveva compiuto la valutazione comparativa della condotta tenuta dalle parti.
4.2.- Il motivo è infondato.
La sentenza ha ritenuto di non scarsa importanza l’inadempimento ascritto alle attrici avendo accertato, da un canto, che la mancata stipula del definitivo fu determinata dagli accordi intercorsi fra le parti che la differirono a data da destinarsi e, dall’altro, che non solo il L. ma anche le attrici manifestarono ripetutamente la volontà di pagare il residuo prezzo: l’avvenuto pagamento di parte rilevante dello stesso, avvenuto già in tempi risalenti, ha indotto i Giudici a escludere l’incidenza dell’inadempimento nell’economia del contratto, dovendo qui ribadirsi quanto si è detto a proposito della misura del corrispettivo pattuito secondo l’interpretazione del contratto data dai Giudici.
Per quel che riguarda l’errore che sarebbe stato commesso dalla Corte in merito alla determinazione dell’importo del prezzo anche alla stregua delle stesse premesse di fatto poste a base della decisione il vizio denunciato è inammissibile, atteso che è deducibile in sede di legittimità l’errore causato da inesatta determinazione dei presupposti numerici di un’operazione, in quanto si risolve in un vizio logico della motivazione, a differenza dell’errore materiale di calcolo, nel quale si sarebbe risolto quello qui denunciato (Cass. 7062/2004/4859/2006).
Pertanto, la sentenza va cassata in relazione al primo motivo, con rinvio anche per le spese della presente fase, ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo del ricorso rigetta gli altri cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese della presente fase, ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
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