Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
La (1. In base a un processo verbale di verifica della GdF, l’Ufficio distrettuale delle imposte dirette di Popoli rettificava il reddito della società XXX, per l’anno 1992, dichiarato ai fini applicativi dell’ilor.
Le rettifiche riguardavano, in particolare: a) la mancata contabilizzazione dei ricavi, come risultanti da 73 fatture; b) l’indeducibilità dei costi, indicati nella dichiarazione fiscale, per mancata registrazione delle scritture contabili.
2. Avverso tale avviso proponeva opposizione la società, chiedendone l’annullamento.
La C.T.P. di Pescara accoglieva il ricorso relativamente alla sola contabilizzazione dei ricavi, perchè l’Ufficio avrebbe dovuto recuperare a tassazione solo la differenza tra quanto dichiarato e quanto omesso di dichiarare.
3. Sugli appelli contrapposti delle parti, la C.T.R. de L’Aquila – sulla base della qualificazione dell’accertamento come rettifica di tipo analitico – rigettava quello principale, proposto dalla contribuente, per mancata documentazione dei costi, e accoglieva l’incidentale, proposto dall’Amministrazione, in considerazione della legittimità di quell’accertamento.
4. Avverso tale decisione la società contribuente ricorre con impugnazione affidata a tre motivi di gravame, cui resiste l’amministrazione delle Finanze, con controricorso.
Motivi della decisione
1.1. Con il primo motivo di ricorso, con il quale lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), la società contribuente deduce l’erronea interpretazione della legge da parte del giudice il quale non si sarebbe avveduto che l’accertamento avrebbe dovuto essere eseguito ai sensi dello stesso D.P.R., art. 39, comma 2, lett. c) n. 600. In sostanza, l’Amministrazione avrebbe dovuto determinare il reddito d’impresa, non rettificarlo.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, con il quale lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2, la società contribuente deduce l’inattendibilità dell’avviso di accertamento che, facendo acritica ricezione dei contenuti del processo verbale di verifica si sarebbe limitata a sommare i ricavi accertati con quelli dichiarati invece che calcolare i maggiori ricavi sottraendo da quelli accertati quelli ricavati.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso, con il quale lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, comma 5, la società contribuente deduce l’erronea interpretazione della legge da parte del giudice il quale non si sarebbe avveduto che la mancanza delle scritture rende indeducibili solo i costi da annotare in apposite scritture (ammortamenti) e non già ogni altro costo sostenuto per la produzione del reddito, ai sensi della richiamata disposizione.
2. Il ricorso, che è completamente infondato, va respinto.
2.1. Il primo motivo, con il quale la società si duole della mancata applicazione delle previsioni riguardanti l’accertamento induttivo di cui al D.P. R. n. 600, art. 39, comma 2, lett. c) cit., e quindi della mancata determinazione integrale del reddito d’impresa, in luogo del procedimento di rettifica adottato in applicazione, dello stesso D.P.R. n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), è doglianza inammissibile. Questa Corte, esaminando analoga fattispecie, ha già avuto modo di affermare (Cassazione, sent. n. 5557 del 2000) che, qualora, pur in presenza delle condizioni suscettibili di legittimare l’adozione di un accertamento induttivo ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 2, la rettifica sia stata operata con metodo analitico, a mente del comma primo della medesima disposizione, il contribuente non ha titolo per lamentare l’emissione nei suoi confronti di un accertamento analitico, invece che di un accertamento induttivo e sintetico, posto che l’eventuale adozione di questo implicherebbe per lui garanzie minori di quelle correlabili alla emissione di quello.
Tale conclusione è pienamente condivisa da questo Collegio che – al riguardo – osserva come la rettifica in via analitica – al contrario della determinazione in via sintetica – del reddito d’impresa consente di dolersi di singole e specifiche poste e, così, meglio assicura il diritto di difesa del contribuente ed più facilmente esclude l’arbitraria determinazione del risultato dell’accertamento.
Del resto la Corte ha sostenuto (nella sentenza n. 11686 del 2002) anche la piena legittimità di combinare i due metodi di accertamento, sicchè l’Amministrazione finanziaria, la quale corregga singoli elementi della dichiarazione dei redditi d’impresa sulla base di dati forniti dallo stesso contribuente (quali i costi di acquisto, le giacenze medie, il numero degli addetti), con accertamento analitico, del d.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, ha il potere di completare l’accertamento muovendo da specifici elementi quantitativamente certi e pervenire ad altri dati attraverso il ricorso a parametri induttivi (nella specie, impiegati per determinare le percentuali di ricarico, fondandole in parte sulla media di settore ed in parte su elementi concreti forniti, o non contestati, dal contribuente).
2.2. In tale sostanziale reiezione del primo motivo va, in parte, assorbita anche la seconda doglianza, laddove ripropone la censura al metodo analitico. Infatti, il giudice di merito ha contabilizzato alcune voci risultanti da fatture rinvenute e non conteggiate nella dichiarazione fiscale, con una motivazione che non è affatto contraddittoria ma, anzi, immune da vizi logici, poichè – al contrario di quanto opina la ricorrente – l’aggiunta di una voce di ricavi, in sede di accertamento, non presuppone affatto la completa riscrittura e l’azzeramento degli introiti dichiarati, in vista di una loro complessiva e sintetica determinazione (che in tal modo riproporre il vizio metodologico della determinazione analitica, in luogo di quella sintetica, che si è sopra detto inammissibile e comunque infondato per la possibilità di combinare i due metodi di accertamento).
2.2.1. Va, peraltro, considerata del tutto infondata anche la parte restante del motivo in esame, là dove intende censurare – ancora in questa fase – la motivazione dell’accertamento per relationem al processo verbale redatto dagli organi di polizia amministrativa.
é noto che questa Corte ha – con consolidato indirizzo – sempre ribadito la piena legittimità di tale modalità dell’azione ammininistrativo-finanziaria. Infatti, la motivazione degli atti di accertamento per relationem, con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, ciò significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, o da questo facilmente acquisibili, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio.
2.3. Il terzo motivo di ricorso è del pari infondato. Con esso, la società deduce l’erronea interpretazione della legge da parte del giudice il quale non si sarebbe avveduto che la mancanza delle scritture renderebbe indeducibili solo i costi da annotare in quelle, appositamente previste, per gli ammortamenti, e non già ogni altro costo sostenuto per la produzione del reddito.
In realtà, il giudice del merito ha affermato, a questo proposito, che il recupero a tassazione dei costi non contabilizzati presupponeva l’esistenza di scritture contabili che invece erano, al riguardo, del tutto mancanti e quindi, a fronte della contestazione della prova, riguardante le spese e/o la loro inerenza all’attività, le relative voci andavano escluse nell’ambito della analitica ricostruzione del reddito.
Infatti, l’indirizzo di questa Corte (espresso nelle sentt. nn. 10090, 1528 e 889 del 2002 e 15088 del 2000), secondo il quale, in tema di determinazione del reddito d’impresa, la deducibilità delle spese e degli altri componenti negativi, in presenza dei requisiti indicati del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, non è preclusa dalla violazione degli obblighi di tenuta e conservazione delle scritture contabili, di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 art. 22, e presuppone che l’imprenditore abbia almeno la possibilità di giovarsi di qualche forma di prova documentale per dimostrare l’esistenza di un fatto a sè vantaggioso, essendo gravato del relativo onere, quando – come nella specie – tale fatto sia contestato. Ma, nel caso che ci occupa, la ricorrente non ha neppure specificato quale sia la fonte di prova documentale o anche solo presuntiva idonea ad attestare l’esistenza di quelle spese e/o la loro inerenza all’attività d’impresa nè la ragione logica della loro esistenza, in relazione al tipo di attività e di reddito prodotto.
3. Alla reiezione del ricorso, come si è visto complessivamente infondato, segue la condanna alle spese della ricorrente, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in complessivi Euro 1.250,00, di cui Euro 50,00, per esborsi, oltre spese prenotate a debito e a quelle generali ed accessori come per legge.
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