Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 12-10-2011) 28-10-2011, n. 39159

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 9.5.2008, il Tribunale di Napoli dichiarò C.R. responsabile del reato di cui agli artt. 633 e 639 bis c.p., e lo condannò alla pena di mesi 4 di reclusione.

Avverso tale pronunzia l’imputato propose gravame ma la Corte d’appello di Napoli, con sentenza in data 20.4.2010, confermò la decisione di primo grado.

Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato deducendo:

1. violazione di legge in relazione alla mancata dichiarazione di prescrizione del reato che sarebbe maturata nel 2003;

2. violazione di legge in relazione all’affermazione di responsabilità su elementi labili quali il possesso dell’immobile accertato solo con un controllo nel 1997, l’elezione di domicilio effettuata dal carcere e la mancata esibizione di un titolo abilitativo;

3. violazione di legge in relazione al diniego delle attenuanti generiche ed alla misura della pena.

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Il reato di cui all’art. 633 c.p. è reato permanente (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 29362 del 21.6.2001 dep. 19.7.2001 rv 219480).

La permanenza è interrotta dalla sentenza di condanna, anche se non irrevocabile, onde dal giorno della pronuncia è configurabile un nuovo reato. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 35419 del 11.6.2010 dep. 1.10.2010 rv 248301).

Pertanto la prescrizione ad oggi non è ancora maturata.

Il secondo motivo di ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, perchè propone censure attinenti al merito della decisione impugnata, congruamente giustificata.

La Corte d’appello ha ritenuto la responsabilità dell’imputato avendo egli avuto possesso dell’immobile destinato a proprio domicilio, tanto da indicarlo nell’elezione di domicilio effettuata dal carcere.

In tale motivazione non si ravvisa alcuna manifesta illogicità che la renda sindacabile in questa sede.

Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "I limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente. (Cass. Sez. 5A sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745, Cass., Sez. 2A sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).

Del resto va ricordato che il vizio di motivazione implica o la carenza di motivazione o la sua manifesta illogicità.

Sotto questo secondo profilo la correttezza o meno dei ragionamenti dipende anzitutto dalla loro struttura logica e questa è indipendente dalla verità degli enunciati che la compongono.

Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Va ricordato che ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti genetiche è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame quello, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno la concessione del beneficio; ed anche un solo elemento che attiene alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente per negare o concedere le attenuanti medesime. (Cass. Sez. 2A sent. n. 4790 del 16.1.1996 dep. 10.5.1996 rv 204768).

Nel caso di specie tale elemento è stato comunque indicato nei precedenti penali e, secondo l’orientamento di questa Corte condiviso dal Collegio, in tema di diniego della concessione delle attenuanti generiche, la "ratio" della disposizione di cui all’art. 62 bis c.p. non impone al giudice di merito di scendere alla valutazione di ogni singola deduzione difensiva, dovendosi, invece, ritenere sufficiente che questi indichi, nell’ambito del potere discrezionale riconosciutogli dalla legge, gli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti. Ne consegue che le attenuanti generiche possono essere negate anche soltanto in base ai precedenti penali dell’imputato, perchè in tal modo viene formulato comunque, sia pure implicitamente, un giudizio di disvalore sulla sua personalità. (Cass. Sez. 4A sent. n. 08052 del 6.4.1990 dep. 1.6.1990 rv 184544).

La determinazione in concreto della pena costituisce il risultato di una valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari elementi offerti dalla legge, sicchè l’obbligo della motivazione da parte del giudice dell’impugnazione deve ritenersi compiutamente osservato, anche in relazione alle obiezioni mosse con i motivi d’appello, quando egli, accertata l’irrogazione della pena tra il minimo e il massimo edittale, affermi di ritenerla adeguata o non eccessiva. Ciò dimostra, infatti, che egli ha considerato sia pure intuitivamente e globalmente, tutti gli aspetti indicati nell’art. 133 c.p. ed anche quelli specificamente segnalati con i motivi d’appello. (Cass. Sez. 6, sent. n. 10273 del 20.5.1989 dep. 12.7.1989 rv 181825. Conf. mass. N. 155508; n. 148766; n. 117242).

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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