Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
C.L. con atto di citazione del 4 maggio 1999 convocava davanti al Tribunale di Napoli M.P. e deducendo che lo stesso occupava sine titulo, sebbene in forza di sentenza, la sua proprietà chiedeva che venisse riconosciuto il suo diritto di proprietà senza alcuna ingerenza da parte del convenuto del quale chiedeva la condanna al rilascio dell’immobile ed al risarcimento dei danni.
Si costituiva M.P. che chiedeva il rigetto dell’avversa pretesa, in particolare deduceva che il locale de quo era condominiale perchè destinato ad area di parcheggio. Chiedeva, quindi, in via istruttoria l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri condomini e nel merito concludeva per il rigetto della domanda attorea.
Il Tribunale di Napoli con sentenza definitiva del 5 giugno 1995 accoglieva la domanda proposta dalla C. e condannava il M. al rilascio dell’immobile ed al risarcimento dei danni liquidati in L. 1.000.000 mensili per il periodo dal 15 settembre 1992 fino al rilascio.
Avverso questa sentenza interponeva appello M.P., deducendo di essere stato condannato al risarcimento del danno, nonostante la legittima occupazione del locale avvenuto in forza di sentenza, ribadiva la comproprietà dell’area ed in ogni caso eccepiva l’eccessività del risarcimento, anche tenuto conto che egli non aveva occupato l’intero locale, ma solo la parte necessaria al parcheggio della propria autovettura.
Si costituiva la C. chiedendo il rigetto del gravame e proponeva appello incidentale con il quale si doleva dell’ammontare del risarcimento che avrebbe dovuto essere quantomeno in L. 2.000.000 mensili.
La Corte di Appello di Napoli con sentenza n. 912 del 2000 accoglieva per quanto di ragione l’appello principale e in riforma della decisione condannava il M. al risarcimento dei danni nella misura di L. 500.000 mensili, oltre interessi legali dal luglio 1998 e fino al soddisfo.
M.P. adiva questa Suprema Corte per la cassazione della sentenza. Resisteva C.L., proponendo ricorso incidentale.
M. affidava il suo ricorso a sei motivi tutti respinti. La C. dolendosi della quantificazione del danno operata dalla Corte di Appello, aveva eccepito un difetto di motivazione per avere quel giudice omesso di considerare che il M. con il suo comportamento aveva impedito l’utilizzazione dell’intero locale e non, certamente, della sola parte da lui occupata; inoltre lamentava che la Corte avesse adottata quella statuizione in difformità del parere espresso dal Consulente tecnico, senza per altro giustificare al difformità.
La Corte Suprema di Cassazione con sentenza n. 19004 del 2004 rigettava il ricorso principale e accoglieva il ricorso incidentale per quanto di ragione, cassava la sentenza e rinviava ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli.
Con atto di riassunzione la C. citava M. e richiamando integralmente la statuizione della Suprema Corte chiedeva la condanna dello stesso al risarcimento del danno da quantificarsi in non meno di Euro 1.500,00 mensili oltre interessi e liquidazione dei maggior danni ex art. 1224 c.c..
Si costituiva il M. che, in via preliminare eccepiva l’inammissibilità della domanda avente ad oggetto l’accertamento del valore locativo perchè nuova.
Nel merito, precisava che non poteva essere liquidato alcun danno all’appellante in riassunzione perchè non provato.
La Corte di Appello di Napoli con sentenza n. 3603 del 2009 riformava la sentenza del Tribunale di Napoli condannava M. al risarcimento dei danni in favore della C. che liquidava all’attualità in Euro 1.220,00 mensili, oltre interessi legali dal luglio 1998 fino al soddisfo. A sostegno di questa decisione la Corte napoletana osservava che nella quantificazione dei danni oggetto del giudizio non vi era ragione di discostarsi dalle indicazioni offerte dall’elaborato peritale che aveva calcolato in Euro 1.220,00 mensili il danno derivante dall’occupazione abusiva dell’immobile di proprietà della C..
La cassazione della sentenza della Corte napoletana è stata chiesta da M.P. con ricorso affidato a quattro motivi, illustrati con memoria. C.L. ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
1.= Con il primo motivo. M.P., lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 38 c.p.c., e segg., degli artt. 2043 e 2697 c.c., nonchè motivazione omessa, insufficiente contraddittoria e illogica in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4, 5. Secondo il ricorrente la Corte napoletana, in sede di rinvio, avrebbe operato un’erronea individuazione dell’oggetto del giudizio del rinvio, nonchè dei poteri attribuiti in detta sede all’organo giudicante. In particolare, sostiene il ricorrente, la Corte di Cassazione, avrebbe ritenuto viziata la sentenza della Corte di Appello, non avendo il giudice del merito adeguatamente motivato la quantificazione effettuata, ma non avrebbe indicato al giudice del rinvio, di attenersi, nella quantificazione del danno dovuto alla sig.ra C. al valore locativo così come determinato dal CTU. A bene vedere i giudici del merito, sostiene ancora il ricorrente, disattendendo la decisione della Corte Suprema, in sede di rinvio, hanno inopinatamente accettato la liquidazione del CTU, stabilendo che il risarcimento può essere operato dal giudice sulla base di elementi presuntivi semplici, anche facendo riferimento al valore locatizio dell’immobile, in breve, occorre conformarsi alla somma calcolata dal CTU. 1.1.= Il motivo è infondato per le ragioni di cui si dirà. 1.1.a).= Ai fini dello scrutinio della censura in esame, appare opportuno premettere che la giurisprudenza di questa Corte ha precisato che, allorquando il giudice di legittimità annulli la sentenza impugnata per insufficienza di motivazione, non viene emesso alcun principio di diritto vincolante per il giudice di rinvio, il quale è tenuto unicamente a riesaminare i fatti oggetto di discussione ai fini di un nuovo apprezzamento complessivo adeguato ai rilievi contenuti nella sentenza di cassazione, sicchè le prescrizioni dettate al riguardo dal giudice di legittimità hanno valore meramente orientativo e non valgono a circoscrivere in un ambito invalicabile i poteri del giudice di rinvio, il quale resta libero di accertare nuovi fatti e decidere la controversia anche in base a nuovi presupposti oggettivi. I limiti all’ammissione delle prove nel giudizio di rinvio riguardano, infatti, l’attività delle parti, e non si estendono ai poteri del giudice, il quale, pertanto, dovendo riesaminare la causa nel senso indicato dalla sentenza di annullamento, può ben avvertire la necessità di disporre, secondo le circostanze, una consulenza tecnica d’ufficio, salva la sola ipotesi in cui la consulenza si ponga, piuttosto che come elemento di valutazione, come mezzo di acquisizione delle prove (Cass. 2605/06).
1.1.b).= Tanto precisato e passando al controllo dell’uniformazione del giudice di rinvio al dictum enunciato dalla Corte di Cassazione nella sentenza rescindente, nell’ambito del quale il giudice di legittimità deve interpretare la propria sentenza in relazione alla questione decisa, rileva il Collegio che nella sentenza di rinvio n. 19004/04, questa Corte ha annullato la sentenza impugnata per vizio di motivazione (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5). rinviando alla Corte di Appello di Napoli al fine di procedere al riesame della controversia e tanto sul presupposto che "il giudice a quo aveva sbrigativamente e genericamente motivato l’operata liquidazione – che non aveva alcuna ragione d’essere "equitativa" una volta ritenuto idoneo ed utilizzato, ai fini dell’accertamento del valore locativo, lo strumento della consulenza tecnica. Specificava questa Corte nella sentenza rescindente, che "nel caso in esame, era stata disposta c.t.u. che la corte territoriale ha, tuttavia, sostanzialmente disattesa, stabilendo un valore locativo mensile di L. 500.000 a fronte di quello indicato dall’esperto in L. 2.362.000, ma, conclusione siffatta, non risultava suffragata da argomentazioni idonee ad integrare gli estremi di quella motivazione logica e, soprattutto, sufficiente che lo stato del giudizio richiedeva.
1.1.c).= Alla stregua di questa argomentazione, adottata dal giudice di legittimità nella pronuncia rescindente, non può dubitarsi, che la sentenza del giudice del rinvio avendo rideterminato il quantum del risarcimento del danno dovuto alla C. secondo le indicazioni della consulenza tecnica di ufficio già acquisita al processo e che, esaminata, veniva ritenuta convincente, ha colmato le lacune che erano state evidenziate da questa Corte con la precedente pronuncia rescindente.
2= M.P. lamenta ancora: a) Con il secondo motivo: la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 384 c.p.c., artt. 1223 e 2697 c.c., artt. 40 e 41 c.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, b) con terzo motivo – come da rubrica – motivazione insufficiente, superficiale e contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. a) Avrebbe errato la Corte napoletana nell’aver determinato l’importo dovuto alla C. a titolo risarcitorio, fissandolo acriticamente nel valore indicato dal CTU perchè non avrebbe tenuto conto che il sig. M. non occupava la totalità del locale in questione, occupato in parte dalla signora C., nè ha tenuto conto che il bene per cui è causa era abusivo. In particolare, dalla sentenza del Tribunale di Napoli n. 5488 del 1992 relativa all’azione di manutenzione del possesso ad istanza della C., risultava che il vano in questione veniva usato dai condomini dello stabile per parcheggiare autovetture o per far giuocare i bambini o addirittura per assemblee condominiali. Il valore del locale per cui è causa non poteva essere rapportato a quello locativo, trattandosi di un immobile non commerciabile perchè come veniva accertata dall’Ufficio comunale abusivismo edilizio, il piano cantinato dell’immobile era da considerarsi abusivo. b) Avrebbe errato la Corte di merito, secondo il ricorrente, nel rapportare l’entità del danno subito dalla C. al valore locativo dell’immobile, così come determinato dal CTU omettendo di esaminare la documentazione depositata. La denunciata omissione, specifica il ricorrente è in stretto rapporto di causalità con la soluzione giuridica data alla controversia in quanto un corretto esame dei documenti esibiti sulla scorta dei quali sono stati effettuati i rilevi alla CTU avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza.
2.1= Entrambi questi motivi del ricorso possono essere esaminati congiuntamente per l’innegabile connessione che esiste tra gli stessi tale che l’uno appare una specificazione dell’altro e entrambi sono infondati e non possono essere accolti non solo o non tanto perchè si risolvono nella richiesta di una nuova e diversa valutazione di merito non proponibile con il ricorso per cassazione, ma soprattutto, perchè la Corte napoletana nell’accogliere, le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, ha adeguatamente indicato le ragioni poste a fondamento della sua decisione. Non vi è dubbio che, quando il giudice di merito accoglie le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, facendole proprie, l’obbligo della motivazione è assolto con l’indicazione della fonte dell’apprezzamento espresso, senza la necessità di confutare dettagliatamente le contrarie argomentazioni della parte, che devono considerarsi implicitamente disattese. Nel caso concreto, poi, la Corte napoletana ha avuto modo di esaminare i diversi metodi di calcolo indicati dal consulente tecnico d’ufficio e di ritenere convincente il criterio intermedio tra i valori acquisiti, determinando il valore locativo quale "valore figurativo" nell’importo di Euro 2.362,00 mensili.
3.= Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 61, 112, 115 e 116 e 384 c.p.c., artt. 1223 e 2697 cod. civ., artt. 40 e 41 c.p., nonchè omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. La sentenza impugnata sarebbe, comunque, errata, secondo il ricorrente laddove la Corte di merito ha ritenuto di utilizzare quale parametro di riferimento per la determinazione del quantum dovuto alla C. il valore locativo dell’immobile così come individuato dal Consulente tecnico di ufficio. In particolare, il M. deduce che il proprietario che agisce per ottenere il risarcimento a carico dell’occupante abusivo non limitandosi ad avanzare una domanda generica, ha l’onere di dimostrare la sicura esistenza e l’entità del pregiudizio economico subito a seguito della lamentata situazione; tale danno, quindi, non può commisurarsi automaticamente al presumibile canone locativo relativo a quel bene almeno finchè manchi la prova che il medesimo una volta libero sarebbe stato realmente perso in locazione attestandone la decorrenza e la misura del corrispettivo. Comunque, specifica il ricorrente il giudice del rinvio avrebbe omesso ogni indagine circa la sussistenza pretesa danno lamentato dalla C..
3.1.= Anche questa censura non coglie nel segno e va disattesa per quelle stesse osservazioni evidenziate da questa Corte con la sentenza rescindente.
Questa Corte ha avuto modo di evidenziare che nel caso in esame, "vertendosi in tema di danno extracontrattuale, è principio più volte affermato nella giurisprudenza di questa Corte che, in caso d’occupazione abusiva d’un cespite immobiliare altrui, il danno per il proprietario usurpato debba essere riconosciuto in re ipsa, ricollegandosi al semplice fatto della perdita della disponibilità del bene da parte del dominus ed all’impossibilità, per questi, di conseguire l’utilità, anche solo potenzialmente ricavabile dal bene medesimo in relazione alla natura normalmente fruttifera di esso;
onde la determinazione del risarcimento del danno, da lucro cessante, ben può essere operata dal giudice, in tali ipotesi, sulla base d’elementi presuntivi semplici, anche facendo riferimento al cosiddetto "danno figurativo" e, quindi, al valore locativo del cespite usurpato. Nè rileva che la parte istante non avesse provato l’esistenza di trattative per vendere o locare a terzi l’immobile, ovvero una qualche richiesta d’acquisto o di locazione dell’immobile da parte di terzi, dacchè non sarebbe razionale pretendere che il proprietario, onde conseguire il risarcimento del danno causatogli dall’occupazione abusiva, dimostri d’aver perduto, nelle more, chances concrete di vendere o locare l’immobile occupato".
In definitiva, il ricorso va rigettato e il ricorrente, in ragione del principio della soccombenza ex art. 91 c.p.c., condannato al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione così come verranno liquidate con il dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 5200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi e oltre spese generali e accessori come per legge.
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