Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
U.G., con atto di citazione del 2 agosto 1991, conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Massa. C.O., chiedendo che fosse accertato e dichiarato il suo diritto di eseguire i lavori di chiusura del piano terreno e che fossero esattamente determinati i confini tra la sua proprietà e quella del convenuto.
L’attore esponeva di aver acquistato, nel dicembre del 1971, dal convento una porzione di terreno sita in (OMISSIS) con facoltà di costruire un fabbricato in aderenza a quello preesistente di proprietà del venditore. Realizzata una casa su tale terreno, l’attore otteneva concessione edilizia per la realizzazione ulteriore di una recinzione interna e per chiudere il portico esistente a piano terra e destinarlo a cantina e posto auto.
Si costituiva C.O. rilevando: a) che la concessione edilizia era stata illegittimamente concessa perchè consentiva l’edificazione di volumi superiori alla capacità edificatoria del fondo, b) che le opere di chiusura con parete in muratura, se realizzate, avrebbe impedito l’esercizio della servitù di passaggio costituitasi in suo favore ex art. 1062 cod. civ.; c) che le opere murarie di chiusura del portico lato mare, avrebbero insistito sulla sua proprietà. C. proponeva, altresì, domanda riconvenzionale chiedendo l’accertamento dei suoi diritti di servitù e l’eliminazione di quanto costruito dall’attore in violazione dei patti contrattuali e delle norme regolamentari in materia urbanistica.
Nelle more del giudizio, l’attore, realizzava stabili opere murarie e il convenuto presentava ricorso possessorio per l’immediata reintegra nel possesso dei luoghi e delle servitù di cui era stato spogliato.
Deceduto, C.O., il processo proseguiva nei confronti del suo erede U.C..
Il Tribunale di Massa, con sentenza del 29 aprile del 2005, dava atto che il confine tra i fondi era quello individuato nella planimetria allegata alla relazione del CTU; dichiarava che esistevano, perchè costituite per destinazione del padre di famiglia, e la servitù di passaggio e quella di veduta esercitata dalle finestre poste a piano terra; condannava U.G. al demolire o ad arretrare entro i limiti di rispetto della distanza di ml 5 dal confine, sia la sopraelevazione dell’edificio che la porzione di tale fabbricato, costruita in appoggio all’immobile del convenuto, di demolire o arretrare il terrazzo lato ponente sul retro della strada, di demolire parte del pilastro di sostegno, di rimuovere le opere seguite nel portico, ordinava, all’attore, di reintegrare il convenuto nel possesso della servitù di passo sulla porzione del mappale 178 a lui riconducibile.
Avverso tale decisione proponeva appello U.G., per diversi motivi.
Si costituiva U.C. chiedendo il rigetto del gravame.
La Corte di Appello di Genova, con sentenza n. 234 del 2010, dichiarava: a) inammissibile la domanda di U.C. in relazione all’accertamento della servitù di veduta delle sue finestre dei vani al piano terra, b) respingeva la domanda di demolizione di quanto costruito da U.G. in appoggio al preesistente fabbricato di C.O.; c) respingeva l’appello proposto da U. G.. In accoglimento dell’appello incidentale, modificava il dispositivo della sentenza di primo grado, nel senso di individuare quale mappale di proprietà di U.G., il mappale n. 178 e quale mappale di proprietà di U.C. il mappale n. 176, con le conseguenti modificazioni in tutte le parti del dispositivo della sentenza di primo grado. A sostegno di questa decisione, la Corte genovese, osservava: a) che la realizzazione del fabbricato in appoggio all’immobile del convenuto, nonostante la diversa indicazione contrattuale (laddove si diceva che il fabbricato doveva essere realizzato in aderenza), non concretava una sostanziale violazione sia dell’obbligo convenzionalmente fissato e sia della normativa regolamentare direttamente precettiva sul punto, b) che la sagoma del tetto, che la CTU, ha riscontrato aggettante rispetto alla facciata ed eseguita anche in sopralzo sulla stessa, concretava una violazione delle distanze; c) il terrazzo lato ponente e il suo pilastro di sostegno, che insisteva per metà sul terreno confinante di parte convenuta, era stato costruito in violazione delle distanze minime previste; d) che non vi era dubbio che la chiusura dei locali era ostativa all’esercizio della servitù di passaggio stabilita convenzionalmente, e) che appariva, infine, evidente la novità delle domande in tema di vedute esercitate dalle finestre.
La cassazione della sentenza della Corte genovese è stata chiesta da U.G. con ricorso affidato a quattro motivi, illustrati con memoria. U.C. ha resistito con controricorso proponendo, altresì, ricorso incidentale affidato a tre motivi, al quale ha resistito con controricorso U.G..
Motivi della decisione
A.= Ricorso principale.
1.= Con il primo motivo di ricorso U.G. lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 1058 e 1079 c.c. e delle norme del codice civile in tema di servitù; la violazione dell’art. 2967 cod. civ. e delle norme del codice civile in tema di ripartizione dell’onere probatorio; la violazione dell’art. 112 c.p.c.. In riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5, l’assoluto difetto di motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio. E’ questo una censura articolata in tre profili diversi che appare opportuno esaminare separatamente. A) Secondo il ricorrente: la Corte genovese avrebbe indagato di ufficio su un modo di costituzione della servitù diverso da quello dedotto dalla parte interessata. In particolare, mentre il convenuto ( C.O.), in via riconvenzionale, avrebbe chiesto, in primo grado, e in grado di appello, il riconoscimento di servitù costituita per destinazione del padre di famiglia, la Corte genovese, avrebbe, invece, affermato l’esistenza di una servitù stabilita convenzionalmente. Pertanto, la motivazione della sentenza impugnata, esclusivamente fondata sulla natura convenzionale della servitù sarebbe affetta di "extra petita" e integrerebbe gli estremi di una violazione della norma di cui all’art. 112 c.p.c.. A.1) Non solo, ma, la motivazione della Corte genovese sarebbe – sempre a dire dal ricorrente – smentita dal contenuto dell’atto di compravendita del 6 dicembre 1971, sia perchè le espressioni contenute nell’atto di compravendita non risulterebbero esaustive circa la comune volontà delle parti di costituire una servitù di passaggio dato che non verrebbero specificate nè le modalità dell’uso, nè i fondi interessati, nè la larghezza del passo; e sia perchè le espressioni usate dalle parti, nel contratto di compravendita, indicherebbero una reciproca costituzione della medesima servitù di passo che non sarebbe possibile configurare perchè uno stesso fondo non può rivestire contemporaneamente, in ordine alla medesima utilità, la qualità di fondo dominante e di fondo servente, dato che, come è noto, caratteristica fondamentale della servitù è quella di essere "iure in re aliena". B) L’esistenza di una servitù a carico del fondo degli originari convenuti, non sarebbe sostenibile, neppure, ritenendo che fosse costituita per destinazione del padre di famiglia: perchè mancherebbero, nell’ipotesi, le opere visibili e i permanenti necessarie a mente dell’art. 1601 c.c., in grado d’individuare un tracciato sul preesistente terreno (oggi area di sedime del fabbricato attoreo).
Lo stesso CTU nella sua relazione avrebbe evidenziato che il passaggio attraverso il portico realmente constatato è dovuto più alle cose mobili (oggetto di vario genere ammassi alla rinfusa nei vari angoli del portico trasformato in magazzino), che alle opere murarie descritte (…)". B.1) La stessa esistenza della servitù di cui si dice (costituita per destinazione del padre di famiglia o convenzionalmente), comunque, sarebbe in contrasto con la facoltà espressamente attribuita contrattualmente, all’odierno ricorrente di costruire un edificio in aderenza a quello ivi già presente, utilizzando l’area di sedime sulla quale si pretende di esercitare la servitù. E sarebbe, altresì, in contrasto anche con la garanzia prevista nel rogito per l’immobile alienato come libero "da oneri, livelli, privilegi, iscrizioni, trascrizioni pregiudiziali e diritti dei terzi in genere". C) Nell’ipotesi in esame non ricorrerebbero, o, comunque, non sarebbero stati accertati i presupposti della tutela ripristinatoria di cui all’art. 1079 cod. civ., che avrebbero dovuto essere accertati anche nel caso di servitù convenzionale. E, in mancanza di indicazioni contrattuali la Corte di merito avrebbe dovuto procedere: 1) alla previa valutazione comparativa delle concrete condizioni di esercizio del diritto in atto prima e dopo la realizzazione delle opere dette; 2) alla valutazione, una volta accertata la modifica del passaggio derivante dalle opere dette ciò avesse comportato un concreto disagio all’esercizio della servitù;
3) se il disagio potesse, comunque, ritenersi legittimamente arrecato, in quanto non travalicante i limiti posti al diritto del titolare del fondo servente, interpretato nella sua massima estensione alla luce del principio del minimo mezzo.
1.1.= Il motivo, nella sua interezza, è infondato e non può essere accolto perchè la Corte genovese ha correttamente applicato la normativa in tema di servitù prediali ed ha adeguatamente motivato, la sua decisione sulla base dei documenti e delle risultanze istruttorie acquisiti.
1.1.a).= Va qui osservato che la proprietà e gli altri diritti reali di godimento appartengono alla categoria dei cosiddetti diritti autodeterminati, individuati, cioè, sulla base della sola indicazione del relativo contenuto quale rappresentato dal bene che ne forma l’oggetto, con la conseguenza che la "causa petendi" delle relative azioni giudiziarie si identifica con i diritti stessi e, non con il relativo titolo che ne costituisce la fonte, la cui eventuale deduzione non svolge, per l’effetto, alcuna funzione di specificazione della domanda, ma è rilevante ai soli fini della prova. Pertanto, da un lato l’attore può mutare titolo della domanda senza incorrere nelle preclusioni della modifica della "causa petendi", dall’altro il giudice può accogliere il "petitum" in base ad un titolo diverso da quello dedotto senza violare il principio della domanda di cui all’art. 112 cod. proc. civ..
Sicchè, la Corte genovese, avendo ritenuto che il diritto di servitù, oggetto del giudizio, fosse stato costituito convenzionalmente, con il contratto di compravendita, quando, invece, il Tribunale aveva affermato la costituzione di quel diritto per destinazione del padre di famiglia, non è incorsa in un vizio di extrapetizione perchè, riconfermando l’esistenza del diritto di servitù legittimamente avrebbe potuto come ha fatto – rinvenire il titolo di acquisto in un documento anzichè in quello per destinazione del padre di famiglia.
1.1.b).= Nè è pensabile che il contratto di compravendita di che trattasi, non poteva costituire il diritto di servitù controverso, dato che lo stesso contratto costituiva una servitù a favore della porzione compravenduta e del fabbricato su di essa costruendo ed a carico della contigua proprietà del venditore, una servitù perpetua di paesaggio pedonale perchè non può escludersi che due fondi siano reciprocamente gravati da analoga servitù, dato che il rapporto che, in tal caso, si costituisce non è quello di corrispettività tra i due fondi, bensì quello relativo a due distinte e autonome servitù, in cui il fondo che nell’una è considerato come servente, nell’altra è considerato come dominante. In particolare, nell’ipotesi in esame, la volontà di concedere all’acquirente una servitù di passaggio sul proprio fondo non era incompatibile con la volontà di costituire altra servitù a parti invertite.
1.1.c).= A sua volta, adeguata e convincente è la motivazione con la quale la Corte genovese ha condannato alla rimozione degli elementi impeditivi del passaggio. Non vi è dubbio – come ha ritenuto la Corte genovese – che fosse irrilevante l’accertamento in dettaglio delle modalità di esercizio del passaggio, considerato che dalle rappresentazioni fotografiche dei luoghi, così come dalle planimetrie emergeva, come qual siasi intramezzo murario, seppure limitato, non avrebbe potuto che renderla ben più difficoltosa. Per altro, la servitù stabilita convenzionalmente, non poteva che ricmprendere tutto ciò che era necessario per un uso pieno corrispondente alla natura del peso imposto e dell’utilità obiettiva della stessa Sicchè, la chiusura dei locali, dando luogo a volumi stabili, non poteva che essere impeditiva del passaggio, a prescindere dalle concrete modalità di esercizio del caso.
2= Con il secondo motivo il ricorrente lamenta – come da rubrica – in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 872 c.c. e art. 873 c.c., e segg., la violazione delle norme del codice civile e regolamentari in tema di distanze tra edifici e degli edifici dai confini. La violazione dell’ari. 112 c.p.c.. In riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio. Anche questo motivo si articola in più profili che appare opportuno esaminare separatamente. A) Avrebbe errato la Corte genovese secondo il ricorrente, nel non aver rilevato che la sentenza del Tribunale di Massa fosse affetta da violazione dell’art. 112 c.p.c., perchè il primo Giudice aveva del tutto travisato la domanda svolta, in via riconvenzionale, dal convenuto, avendo ordinato la demolizione anche del muro di sostegno dell’edificio attoreo eseguito in sopraelevazione, anzichè limitarsi alla parte del tetto ritenuta sovrastante quello del convenuto. B) Ed ancora, avrebbe errato la Corte genovese, secondo il ricorrente, nell’aver ritenuto che la sagoma del tetto del nuovo edificio realizzata dall’attuale resistente ( U.G.), qualificata dal CTU come aggettante rispetto alla facciata, ed eseguita in sopralzo sulla stessa, concretasse di per sè una violazione delle distanze tra edifici confinanti, anche se la costruzione in sopralzo non determinava di per sè un aumento di volumetria, perchè: a) non avrebbe tenuto conto che, ricorrendo nel caso in esame un’ipotesi di abbinamento di edifici, il PRG del Comune di Carrara consentiva, purchè l’edificio risultasse architettonicamente unitario, di derogare al regime delle distanze, di cui all’art. 872 cod. civ., e, anche, in relazione alla caratteristiche costruttive del tetto in quanto anche esso rientrante nel concetto di abbinamento architettonicamente unitario. C) Il ricorrente critica la sentenza impugnata, anche, perchè avrebbe ritenuto irrilevante la natura della sopraelevazione e, soprattutto, la distinzione tra volumi tecnici e volumi abitabili, considerato che i volumi tecnici sarebbero esclusi dal computo delle distanze. D) Avrebbe errato, infine la Corte genovese – sempre secondo il ricorrente ne 11’aver ritenuto che la violazione delle norme sulle distanze non poteva dirsi derogata convenzionalmente in forza dell’iniziale progetto, poi volturato, essendo pacificamente emerso dagli atti che il progetto approvato non prevedeva alcun sopravanzo, ma, anzi, una facciata del tutto in linea con quella contigua, dovendosi ritenere che C.O. abbia prestato il proprio consenso all’effettuazione dei lavori come descritti nel progetto medesimo considerato che i tagliandi di inizio lavori, di completamento copertura e di ultimazione dei lavori risultavamo tutti sottoscritti da C.O.. Secondo il ricorrente, i sopradetti tagliandi recanti l’assunzione della paternità dell’opera e risultando tutti pacificamente sottoscritti da C.O., dimostravano che l’attuale sagoma dell’edificio costituisse il risultato di un progetto voluto e realizzata dal dante causa delle odierne parti processuali, da escludere qualunque violazione delle distanze evidentemente inapplicabili in caso di accordo in deroga.
2.1.= Il motivo, in ordine al primo profilo di censura è inammissibile, mentre in ordine agli altri profili di censura, è infondato e non può essere accolto non solo o non tanto perchè le diverse censure si risolvono in una diversa valutazione delle risultanze probatorie ritenuta più corretta rispetto a quella accolta dal Giudice di merito che, in quanto priva di contraddizioni e vizi logici non può essere oggetto di un nuovo esame nel giudizio di cassazione, ma, e soprattutto, perchè la Corte genovese, ha correttamente applicato i principi giuridici e la normativa riferibili alla questione esaminata, ha, in modo esaustivo, spiegato le ragioni di fatto e di diritto posti a fondamento della sua decisione, ed ha, adeguatamente, indicato l’iter logico del suo ragionamento.
2.1.A.= Intanto, il primo profilo della censura con la quale si denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., è inammissibile sia perchè solo indirettamente, e in modo non del tutto chiaro, è estesa alla sentenza di secondo grado e sia, e comunque, perchè priva degli elementi di autosufficienza dato che il ricorrente non ha riportato la domanda precisa (del convenuto) che sarebbe stata travisata dal Giudice di primo grado.
2.1.B.= Non ha errato la Corte genovese nell’aver ritenuto illegittima la costruzione in sopralzo relativa alla "sagoma del tetto che la CTU ha riscontrato aggettante rispetto alla facciata ed eseguita in sopralzo rispetto alla stessa" perchè, nonostante una motivazione estremamente sintetica, essendosi limitata ad affermare che la sagoma del tetto "concreta di per se una violazione delle distanze", ha escluso che il caso in esame potesse essere ricondotto ad un’ipotesi di abbinamento di edificio architettonicamente unitario. D’altra parte, non vi è dubbio che due edifici che abbiano una diversa altezza o che presentano un diverso prospetto complessivo non realizzano un’uniformità architettonica, ovvero un edificio architettonicamente unitario, e, ciò, anche ammesso che il concetto di uniformità architettonica possa essere tradotto in un’accettabile estetica architettonica e ammesso pure che la sagoma del tetto non debba essere considerata una costruzione in senso tecnico.
2.1.C.= La Corte genovese non ha neppure errato nell’aver ritenuto irrilevante la natura della sopraelevazione e la distinzione tra volumi tecnici e volumi i abitabili perchè la sopraelevazione, anche se di ridotte dimensioni, comporta sempre un aumento della volumetria e della superficie di ingombro e va, pertanto, considerata a tutti gli effetti, e, quindi, anche per la disciplina delle distanze, come nuova costruzione. D’altra parte -come ha affermato questa Corte in altra occasione: anche le modificazioni del tetto di un fabbricato, che comportino aumento della superficie esterna ed aumento della volumetria dei piani sottostanti indipendentemente dalla loro utilizzabilità ai fini abitativi, integrano una nuova costruzione soggetta come tale all’osservanza delle distanze legali.
2.1.D.= La Corte di merito ha avuto cura, altresì, di specificare che nel caso in esame la violazione in argomento non poteva dirsi derogata convenzionalmente, perchè era emerso dagli atti che il "progetto approvato non prevedeva alcun sopravanzo ma, anzi una facciata del tutto in linea con quella contigua". E’ questa una valutazione di merito che non presentando alcun vizio logico, nè alcuna contraddizione e, risultando supportato da riscontri probatori, non è soggetta ad un nuovo esame nel giudizio in cassazione.
2.1.D.a).= Va, comunque, osservato, anche in questa occasione, che le convenzioni con le quali i confinanti tra fondi, intendono derogare alla disciplina urbanistica in materia di tipologia edilizia e di limitazione dell’edificabilità o alle norme sulle distanze di cui all’art. 873 cod. civ., concretando veri e propri atti costitutivi di servitù (in quanto arrecano una menomazione per l’immobile che avrebbe diritto alla normativa di rispetto), non può essere rappresentata da un accordo verbale, ma, piuttosto, richiedono la forma scritta a pena di nullità. E di più, trattandosi di negozi giuridici che hanno ad oggetto diritti reali, è necessario stipulare un vero e proprio contratto, non essendo idonea una scrittura unilaterale del proprietario del fondo vicino che autorizza a realizzare in deroga alla distanza legale o in deroga alla disciplina urbanistica in materia di tipologia edilizia e di limitazione dell’edificabilità (cioè un atto meramente ricognitivo). Pertanto, nel caso in esame, la mancata esistenza di un contratto a forma scritta tra le parti interessate conferma, ulteriormente, la legittimità della decisione della Corte genovese.
3.= Con il terzo motivo il ricorrente lamenta – come da rubrica – in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 905, e segg.. Violazione delle norme del codice civile e regolamentari in tema di distanze per l’apertura di vedute. In riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio. A) Avrebbe errato la Corte genovese, secondo il ricorrente nell’aver ordinato all’attore di "demolire o se materialmente e tecnicamente possibile, arretrare sul suo fondo fino a ricondurlo entro i limiti di rispetto della distanza dalla proprietà del convenuto prescritta dall’art. 905 cod. civ., comma 1, il terrazzo lato ponente sul retro strada", perchè nessuno dei terrazzi dell’edificio erano stati realizzati in maniera difforme da quanto previsto da C.O. considerato che, in particolare, il terrazzo posto sul retro ha utilizzato per sostegno il pilastro voluto dallo stesso C. che aveva predisposto i "ferri" per far proseguire il terrazzo sull’intera facciata dell’edificio. Insomma ritiene il ricorrente l’intera costruzione nella sua attuale conformazione costituisce il risultato di scelte progettuali provenienti da C.O. eseguiti per la quasi totalità al momento dell’acquisto in conformità di naturale sviluppo che l’edificio avrebbe avuto, ove fosse rimasto in proprietà di C.O.. B) Il ricorrente lamenta altresì il mancato accoglimento della sua richiesta di sostituire all’ordine di demolizione l’opposizione sul terrazzo di idonei panelli che rendono impossibile il prospicere e l’inspicere sulla proprietà di U.C..
3.1.= Il motivo è infondato e non può essere accolto perchè le censure si risolvono in una diversa valutazione delle risultanze probatorie ritenuta più corretta rispetto a quella accolta dal Giudice di merito che in quanto priva di contraddizioni e vizi logici non può essere oggetto di un nuovo esame nel giudizio di cassazione.
3.1.a).= A ben vedere, la Corte di merito ha avuto modo di specificare che la relazione peritale non lasciava dubbi che il terrazzo lato ponente fosse stato costruito senza il rispetto della distanza minima di cui all’art. 905 cod. civ., comma 1 e che il suo pilastro di sostegno insisteva per metà nel terreno confinante di parte convenuta. Rispetto a questo riscontro peritale, accolto e condiviso dal Giudice di merito, pertanto, l’affermazione del ricorrente, che l’intera costruzione nella sua attuale conformazione costituiva: il risultato di scelte progettuali provenienti da C. O., non solo è generica, ma, in mancanza di un accordo scritto tra le parti, insufficiente a giustificare il mancato rispetto, o una deroga convenzionale, delle distanze di cui all’art. 905 cod. civ..
3.1.b).= Vero è che il giudice può disporre in alternativa all’arretramento dell’immobile, dal quale si esercita la veduta a distanza inferiore a quella legale, l’esecuzione di opere idonee ad impedire concretamente l’esercizio delle servitù, come ad esempio l’arretramento di un parapetto, in guisa che dalla porzione dell’immobile compresa tra il parapetto stesso, posto a distanza legale, e la parte terminale dell’immobile sia impossibile "prospicere et inspicere in alienum. Tuttavia, è un potere discrezionale del Giudice di merito non sindacabile in Cassazione tutte le volte in cui la ragione del suo mancato esercizio trova espressione nel corpo della sentenza, sia pure indirettamente.
Ora nell’ipotesi in esame la sentenza, considerata nel suo complesso, lascia intendere che non poteva essere disposta l’esecuzione di opere idonee ad impedire concretamente l’esercizio delle servitù, così come richieste dall’attuale ricorrente, perchè, intanto, avrebbe dovuto essere eliminata parte del pilastro di sostegno del terrazzo e non vi era dimostrazione che la parte residua del pilastro sarebbe stata idonea alla funzione di sostegno.
4.= Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta come da rubrica – in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione delle norme del codice civile in tema di determinazione dei confini. In riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio.
Specifica il ricorrente che aveva chiesta alla Corte genovese di "dichiarare del tutto infondata l’azione possessoria ex adverso proposta avendo U.G. recintato il proprio terreno lato monti del tutto correttamente senza invadere in alcun modo la proprietà di U.C. (ex C.O.) e di dichiarare, quindi, pienamente legittima la recinzione costruita lato monti". La Corte genovese – scrive il ricorrente – inaspettatamente ha del tutto omesso di esaminare la questione, sul punto nulla stabilendo in merito alla domanda svolta dall’appellante di determinare esattamente i confini tra le due proprietà. 4.1.= Il motivo è infondato e non può essere accolto perchè la Corte genovese disponendo di individuare quale mappale di proprietà dell’attore U.G. il mappale n. 178 e quale mappale di proprietà del convenuto U.C. il mapp. 176 con le conseguenti modificazioni in tutte le parti del dispositivo della sentenza del Tribunale di Massa, implicitamente determinava i confini tra i fondi in contestazione e implicitamente riconfermava quanto era stato determinato dal Tribunale di Massa con la sola inversione dei mappali.
B.= Ricorso incidentale.
5.= Con il primo motivo del ricorso incidentale U.C., lamenta la violazione degli artt. 873 e 877 cod. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.
Avrebbe errato la Corte genovese, secondo il ricorrente nell’aver respinto la domanda di demolizione di quanto costruito da U. G. non in aderenza ma in appoggio al preesistente fabbricato già di C.O., dichiarando il diritto del medesimo U. G. di mantenere il proprio edificio in appoggio alla struttura edile di controparte, perchè è pacifico che nel contratto di compravendita tra C.O. e U.G., il venditore consentì all’acquirente "la facoltà ai termini di legge di costruire un fabbricato di civile abitazione in aderenza al preesistente edificio di proprietà del venditore che trovasi sul confine del alto mare della porzione compravenduta.
Chiarisce il ricorrente che nei comuni in cui i regolamenti edilizi impongono una distanza minima dal confine il vicino che vuole costruire in prossimità di altra costruzione preesistente non può giovarsi di alcuna delle alternative previste dal codice (chiedere la comunione forzosa del muro – artt. 874 e 875 cod. civ., innestare un capo del proprio muro sul muro esistente sul confine – art. 876 cod. civ.- costruire sul confine in aderenza) ma deve necessariamente rispettare le distanze fissate. Nel caso in cui invece i regolamenti locali prevedono, anche implicitamente, la possibilità di costruire in appoggio o in aderenza come alternativa all’obbligo di rispettare una determinata distanza dal confine con conseguente inoperatività del principio della prevenzione sarà consentito derogare al principio dell’assolutezza del distacco minimo del confine. In questo caso però scrive il ricorrente – la deroga convenzionale consentita dal regolamento potrà riguardare una soltanto e non necessariamente tutte le alternative descritte nel codice civile. Pertanto, afferma il ricorrente la ricognizione del sistema normativo accolta dalla Corte di Genova nel senso che indipendentemente dal suo contenuto specifico, un’eventuale deroga al regime delle distanze posto dal regolamento locale sia di per sè idonea a consentire al vicino la scelta fra tutte le possibilità diverse previste dal codice non sarebbe conforme al l’orientamento giurisprudenziale che mantengono distinte le diverse opzioni di modo che il consenso per una di esse non valga automaticamente anche per tutte le altre.
5.1.= La censura non ha ragion d’essere e non può essere accolta per le ragione di cui si dirà. 5.1.a).= In via preliminare va chiarito che è vero che per costruzione in appoggio – deve intendersi, secondo una nozione desunta dalla leggi fisiche – quella che scarica il peso degli elementi di cui si compone, sul muro del vicino che in tal modo ne assicura la staticità necessaria, si ha, invece, costruzione in aderenza quando la nuova opera e quella preesistente combaciano perfettamente da uno dei lati, in modo che non rimanga tra i due muri, nemmeno per un breve tratto o ad intervalli, uno spazio vuoto, ancorchè totalmente chiuso. Così come è vero che in tema di distanze nelle costruzioni, qualora gli strumenti urbanistici stabiliscano determinate distanze dal confine e nulla aggiungano sulla possibilità di costruire "in aderenza" od "in appoggio", la preclusione di dette facoltà non consente l’operatività del principio della prevenzione. Epperò, è anche vero che nel caso in cui le facoltà di costruire "in aderenza" od "in appoggio siano previste, direttamente o indirettamente dagli strumenti urbanistici, si versa in ipotesi del tutto analoga a quella disciplinata dall’art. 873 cod. civ., e segg., con la conseguenza che è consentito al preveniente costruire sul confine, ponendo il vicino, che intenda a sua volta edificare, nell’alternativa di chiedere la comunione del muro (o di costruire in appoggio) o di costruire in aderenza (eventualmente esercitando le opzioni previste dall’art. 875 cod. civ. e art. 877 cod. civ., comma 2), ovvero di arretrare la sua costruzione sino a rispettare la maggiore intera distanza imposta dallo strumento urbanistico.
5.1.b).= Ora è pacifico che il caso in esame sia riconducibile all’ipotesi in cui gli strumenti urbanistici (in questa ipotesi, il PRG di Carrara consente l’abbinamento tra due costruzioni purchè l’edificio risulti architettonicamente unitario), prevedono la facoltà di costruire in aderenza o in appoggio ad un edificio già esistente. Pertanto, considerato che la costruzione del venditore si trovava sul confine rispetto all’immobile venduto, l’acquirente in ragione dello strumento urbanistico e per rinvio in ragione della normativa codicistica aveva la possibilità di costruire in aderenza o in appoggio all’edificio del venditore. Tale facoltà era attribuita all’acquirente dalla legge o se si vuole dalla normativa codicistica senza intermediazione di alcun consenso del proprietario dell’edificio già esistente. L’acquirente per legge era nella possibilità di costruire in aderenza o in appoggio della costruzione già esistente e di proprietà del venditore del terreno, nel rispetto dell’unica condizione che la nuova costruzione venisse realizzata in modo tale che la costruzione del venditore e la nuova costruzione realizzassero un edificio architettonicamente unitario.
La facoltà di realizzare la costruzione: in aderenza o in appoggio non era nella disponibilità del venditore, nè era necessario che il venditore prestasse il suo consenso per la scelta della forma di abbinamento della nuova con l’esistente costruzione.
5.1.c).= E di più, la clausola contenuta nel contratto di compravendita cui fa riferimento il ricorrente U.C., ove non la si voglia ritenere nulla per mancanza di oggetto, più che attribuire una facoltà all’acquirente ( U.G.) rilevava, come ha evidenziato la Corte genovese – quale introduzione di un’espressa deroga al regime delle distanze, ma non anche quale assunzione di un obbligo da parte dell’acquirente di rispettare una precisa modalità costruttiva, considerato, anche, che la facoltà di cui si dice, non dovesse essere concessa dal venditore, nè quella clausola integrava gli estremi di una condizione.
6.= U.C. lamenta, ancora: a) con il secondo motivo, l’omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5; b) con il terzo motivo, la nullità del procedimento in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4. A), secondo il ricorrente, la Corte genovese avrebbe omesso di chiarire le ragioni in base alle quali riteneva che la domanda svolta da U. C. (avente causa di C.O.) in relazione all’accertamento della servitù di veduta dalla sue finestre dei vani a pieno terra fosse inammissibile perchè integrava gli estremi di una domanda nuova.
L’affermazione "appare evidente la novità delle domande in tema di vedute esercitate dalle finestre" non consente di intendere le ragioni posto a fondamento della decisione. In verità, scrive il ricorrente – l’asserita novità delle domande in esame integrava un fatto controverso (invocato, dall’appellante e smentito dall’appellato) e decisivo, pertanto, per consentire l’esame e il vaglio della sua decisione sarebbe stato necessario che la Corte indicasse la data e l’atto con cui il convenuto in primo grado aveva formulato la domanda giudicata tardiva e la preclusione alla stessa che a quella data sarebbe già maturata; b) Osserva ancora il ricorrente che la domanda dell’appellante di dichiarare nuove e come tali inammissibili le domande svolte dalla difesa di U.C. alle udienze del 28 febbraio 2002 e 14 dicembre 2004 di accertamento della servitù di veduta dalla finestre dei vani al piano terra, è stata formulata solo in occasione della costituzione del nuovo difensore in data 24 settembre 2008. Sicchè, anche a prescindere dall’implicito riconoscimento dell’esistenza della servitù in discorso, è evidente che sull’eventuale tardività della domanda riconvenzionale di C.O. per acquiescenza dell’appellante si era formato il giudicato.
6.1.= Anche queste censure sono infondate: a) sia perchè la sintetica motivazione "appare evidente la novità delle domande in tema di vedute esercitate dalle finestre" risulta chiara ed esaustiva se posta in correlazione, con la parte in fatto del ricorso presentata da U.G. e con il controricorso presentato da U.C. e, altresì, con la parte della sentenza in cui si riportano le conclusioni delle parti, si espongono i fatti del processo, considerato che questi documenti evidenziano che la domanda di cui si dice è stata proposta, in primo grado, all’udienza di precisazione delle conclusioni (28.2.2002) quando ormai era sopraggiunto il tempo delle preclusioni in punto di allegazioni nuove di fatti principali e correlative domande; b) sia perchè la tardività della domanda risulta rilevabile d’ufficio.
6.1.a).= Va qui osservato che il processo civile si articola in varie fasi distinte non solo concettualmente ma anche nella loro successione temporale. E, per quanto qui interessa, nel sistema di preclusioni introdotto dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, anche per le allegazioni di parte, il "thema decidendum" non è più modificabile dopo la chiusura della prima udienza di trattazione ( art. 183 cod. proc. civ., comma 1), o la scadenza nel termine concesso dal giudice ai sensi dell’art. 183 cod. proc. civ., comma 5, potendo soltanto, dopo dette scadenze, formulare istanze istruttorie per provare i fatti allegati.
6.1.b).= A sua volta, come è riconosciuto da dottrina e giurisprudenza, il regime di preclusioni introdotto nel rito civile ordinario riformato deve ritenersi inteso non solo a tutela dell’interesse di parte, ma anche dell’interesse pubblico al corretto e celere andamento del processo, con la conseguenza che, la tardività di domande, eccezioni, allegazioni e richieste debba essere rilevata d’ufficio dal giudice, indipendentemente dall’atteggiamento processuale della controparte al riguardo.
In definitiva, vanno rigettati entrambi i ricorsi, principale e incidentale. La reciproca soccombenza è ragione sufficiente per compensare le spese giudiziale del presente giudizio i cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta i ricorsi, principale e incidentale; compensa le spese giudiziali.
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