Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Propone ricorso per cassazione G.G. avverso la sentenza della Corte di appello di Torino, in data 3 aprile 2010, con la quale è stata parzialmente confermata quella di primo grado e per l’effetto, è stata ribadita la sua responsabilità in ordine ai reati di violazione di domicilio consumata e di danneggiamento di cui al capo A) ( già il giudice di prime cure aveva riqualificato la tentata violazione di domicilio in danneggiamento) nonchè di minacce semplici di cui al capo B).
I reati risultano commessi il 12 gennaio 2003 (come precisato in sentenza), in danno della moglie separata e non convivente.
Deduce.
1) La nullità delle sentenze di primo e secondo grado per violazione degli artt. 546 e 552 c.p.p., e per vizio di motivazione.
Non risulterebbe chiara la formulazione dei capi di imputazione posto che quello di cui al capo A) conteneva la contestazione di due ipotesi di reato mentre il giudice di primo grado aveva affermato la responsabilità in ordine a "quello di cui al capo A";
2) la erronea applicazione dell’art. 614 c.p., e art. 635 c.p., nonchè degli artt. 192 e 530 c.p.p., e il vizio di motivazione.
Non sarebbe stata data adeguata prova della responsabilità del prevenuto.
In ordine al danneggiamento non sarebbe stata considerata la versione dell’imputato secondo cui il calcio alla porta finestra della casa della ex moglie era stato dato non per danneggiare, ma come gesto di stizza.
La violazione di domicilio, d’altro canto, non era configurabile perchè l’imputato si era introdotto in una area aperta e non recintata prossima alla abitazione della persona offesa.
Infine il delitto di minacce è stato ritenuto sulla base delle affermazioni della persona offesa la quale, però ha reso anche numerose altre affermazioni non credute come è dimostrato dal fatto delle assoluzioni conseguite dal ricorrente;
3) l’attenuante dell’art. 62 c.p., n. 2, era stata negata sulla base di un presupposto erroneo. In realtà plurime erano state le affermazioni della persona offesa in udienza, affermazioni secondo le quali essa negava con pretesti al marito di vedere i figli;
4) erronea applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 53.
La conversione della pena detentiva in pecuniaria era stata negata sulla base di una considerazione del tutto inconferente: e cioè la mancanza di deterrenza di quella invocata;
5) la erronea applicazione degli artt. 133, 62 bis e 65 c.p..
Il computo della pena, dopo la assoluzione dal reato sub C) e la concessione delle attenuanti generiche avrebbe dovuto portare ad una pena inferiore a quella irrogata. In particolare il giudice aveva preso le mosse da una pena base per il reato di violazione di domicilio errata, ossia determinata con legge del 2009 in termini peggiorativi rispetto a quella anteriormente vigente: essa non doveva essere applicata dunque al ricorrente;
6) il vizio di motivazione in ordine alla liquidazione delle spese.
Il ricorso è fondato.
In particolare, risultando fondato il quinto motivo di ricorso, deve darsi atto della prescrizione dei reati maturata dopo la sentenza di appello e cioè, tenuto conto delle sospensioni, nel settembre 2010.
Appare infatti erronea l’affermazione della Corte, che pure mostra di condividere il computo del primo giudice, di riconoscere le attenuanti generiche senza operare però la corrispondente diminuzione di pena, essendosi limitata, quella Corte, a eliminare l’aumento di pena a suo tempo applicato in relazione al reato sub C),per il quale invece, in appello, è intervenuta assoluzione.
La rilevata prescrizione del reato fa perdere rilevanza anche ai motivi sub 3) e 4).
Ai fini delle statuizioni civili e nella prospettiva dell’art. 129 c.p.p., la disamina dei residui motivi di ricorso comporta il rilievo della loro infondatezza.
Il primo motivo, in particolare, è destituito di fondamento posto che la affermazione di condanna in ordine al reato sub A) non si espone ad alcun dubbio interpretativo: il reato, nel caso concreto, bene può essere considerato unitariamente in ragione della contestazione del vincolo della continuazione (art. 81 c.p.) che lega le due fattispecie di rilievo penale pacificamente addebitate al ricorrente.
Il secondo motivo è parimenti inammissibile.
La difesa sottopone al giudice della legittimità circostanze di fatto che la Cassazione non può apprezzare in via diretta.
La fondatezza dell’assunto dell’essere l’area invasa dal ricorrente una pertinenza della abitazione della persona offesa o un’area aperta al pubblico transito, così come dell’assunto dell’essere stato, il calcio alla finestra, non assistito dalla volontà di alterare la funzione del bene stesso, sono questioni che, al pari delle altre minutamente elencate nel ricorso e sopra ricordate, non sono apprezzabili da questa Corte di legittimità, giudice della motivazione.
Piuttosto, le allegazioni del ricorrente si sostanziano in una ricostruzione del fatto alternativa a quella offerta, con motivazione congrua e completa, dal giudice del merito. Per tale ragione siffatte allegazioni debbono riconoscersi non conformi alle ragioni che, ex art. 606 c.p.p., possono essere sottoposte al giudice della legittimità.
La Corte si è dilungata sulle ragioni della ritenuta volontarietà del danneggiamento della porta e sulla natura del giardino e del balcone sul quale sono avvenuti i fatti, quali pertinenze esclusive della abitazione della persona offesa.
Infine infondato è il motivo sulle statuizioni civili.
Non sono ammessi in cassazione rilievi sulla entità della provvisionale (Rv. 248348; massime precedenti Conformi: N. 9266 del 1994 Rv. 199072, N. 6727 del 1995 Rv. 201775, N. 11984 del 1997 Rv.
209501, N. 4973 del 2000 Rv. 215770, N. 7031 del 2003 Rv. 223657, N. 36536 del 2003 Rv. 226454, N. 36760 del 2004 Rv. 230271, N. 40410 del 2004 Rv. 230105, N. 5001 del 2007 Rv. 236068) in base ad una giurisprudenza che può dirsi univoca). La provvisionale è immediatamente esecutiva per legge (art. 540 c.p.p., comma 2). Sul tema del pagamento delle spese processuali in favore della parte civile costituita la Cassazione osserva che, attesa la sua pertinenza ad una domanda privatistica innestata nel giudizio penale, il regime adottato dal legislatore in via ordinaria, con l’art. 541 c.p.p., comma 1, è fondato sul criterio di soccombenza, in analogia con quanto disposto all’art. 91 c.p.c.; l’analogia si estende per altro alla possibilità di disporre la compensazione parziale o totale delle spese, quando ricorrano giusti motivi (ultima parte del citato art. 541 comma 1), così come previsto nel rito civile dall’art. 92 c.p.c., comma 2; ne consegue che il giudice di appello, quando l’imputato abbia interposto specifico gravame sul punto, ha l’obbligo di motivare, per quanto succintamente, circa le ragioni per le quali esclude la ricorrenza di giusti motivi a fini di compensazione delle spese ( Rv. 225928). Nella specie la Corte ha motivato la percentuale delle spese in compensazione (1/3) sulla base del fatto che l’attribuzione in toto avvenuta in primo grado, all’imputato, aveva trovato spiegazione di una "maggiore soccombenza", seguita, in appello, dalla assoluzione da un ulteriore reato. La Corte ha provveduto anche a rimodulare l’importo delle spese del grado sulla base della tariffa forense con calcolo che la parte non contesta.
In base al principio della soccombenza il ricorrente deve essere condannato alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate forfettariamente, come in dispositivo.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, senza rinvio, agli effetti penali, perchè i reati sono estinti per intervenuta prescrizione. Rigetta il ricorso agli effetti civili e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate in complessivi Euro 600 oltre accessori come per legge.
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