Cass. civ. Sez. III, Sent., 11-05-2012, n. 7266 Contratti agrari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con contratto 25 settembre 1996 C.A.M., C. R. e la Edil Casparrini s.a.s. hanno concesso in comodato a L. G.F. alcuni fondi in agro di (OMISSIS).

Successivamente, con atto 11 aprile 1998 i comodanti hanno convenuto innanzi al pretore di Foggia il L.G. chiedendone la condanna al rilascio dei fondi nonchè al pagamento della penale di L. 10 mila per ogni giorni di ritardo, oltre rivalutazione e interessi, previa declaratoria di cessazione del contratto.

Costituitosi in giudizio il convenuto ha opposto, da un lato, che il contratto di comodato invocato ex adverso era fittizio atteso che i terreni in discussione erano condotti sotto forma di compartecipazione agraria o di vera e propria società di fatto, dall’ altro, che esso concludente aveva apportato migliorie ai fondi in discussione per L. 75 milioni, da ultimo, infine, che tutti gli incassi relativi alle coltivazioni effettuate tra il 1991 e il 1996 erano stati incamerati da C.R. mentre a esso concludente erano stati versati unicamente 80 milioni (anzichè il 50% degli utili).

Svoltasi la istruttoria del caso e succeduto al pretore il tribunale di Foggia quest’ultimo, con sentenza n. 927 del 2002 ha deciso parzialmente la controversia dichiarando cessato il contratto alla data del 31 dicembre 1996 con ordine al L.G. di rilasciare immediatamente i terreni.

Tale sentenza, peraltro, è stata totalmente riformata dalla Corte di appello di Bari che, con sentenza A n. 247 del 2004 ha dichiarato la competenza per materia della sezione specializzata agraria presso il tribunale di Foggia, cui ha rimesso la controversia.

Il giudizio è stato riassunto, innanzi al giudice dichiarato competente – con atto 13 dicembre 2004 – da C.A.M., C.R. e dalla Edil Casparrini s.a.s. richiamando gli argomenti e le conclusioni svolte in precedenza.

Costituitosi anche innanzi alla sezione specializzata agraria L. G.L. ha reiterato le difese già svolte chiedendo, in via principale, il rigetto di ogni avversa pretesa, in via riconvenzionale, la condanna delle controparti al pagamento di tutte le somme di cui esso concludente risultava creditore per il rapporto di compartecipazione inter partes nonchè, in caso di eventuale accoglimento della domanda di rilascio, anche delle indennità spettantegli per i miglioramenti apportati al fondo.

Svoltasi la istruttoria del caso l’adita sezione con sentenza 17 gennaio 2007 ha dichiarato cessato, alla data del 31 dicembre 1996, il contratto di comodato inter partes e condannato il L.G. al rilascio del fondo, disponendo, con separata ordinanza, la rimessione della causa in istruttoria per l’esame sia dell’altro capo della domanda principale, risarcitoria, sia della riconvenzionale.

Impugnata la sentenza non definitiva (del 17 gennaio 2007) dal soccombente L.G., nel contraddittorio di C.A. M., C.R. e della Edil Casparrini s.a.s. che, costituitisi anche in grado di appello hanno chiesto il rigetto dell’avverso gravame, la Corte di appello di Bari, sezione specializzata agraria, con sentenza 28 gennaio – 22 dicembre 2009 ha accolto l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza del primo giudice ha rigettato la domanda proposta da C.A. M., C.R. e della Edil Casparrini s.a.s. nei confronti del L.G. e condannato gli appellati al pagamento delle spese del grado in favore dell’appellante.

Per la cassazione di tale ultima sentenza, non notificata, hanno proposto ricorso, con atto 9 settembre 2010 C.A.M., C.R. e della Edil Casparrini s.a.s. affidato a tre motivi.

Resiste, con controricorso L.G.L..

Motivi della decisione

1. Come accennato in parte espositiva – andando di contrario avviso rispetto a quanto ritenuto dal primo giudice – la sentenza ora oggetto di ricorso per cassazione ha rigettato la domanda, proposta dai C. e dalla Edil Casparrini s.a.s., di rilascio dei fondi oggetto di controversia a seguito della cessazione del contratto di comodato inter partes 25 settembre 1996.

I giudici di secondo grado sono pervenuti alla riferita conclusione osservando, in sintesi, che:

– il rapporto, tra le parti è iniziato il 10 marzo 1991 con la sottoscrizione di un contratto di compartecipazione agraria, nel quale venivano dettagliatamente stabilite le obbligazioni a carico delle parti stesse;

– tale contratto prevedeva originariamente una durata limitata all’annata agraria, ma il rapporto si è protratto nel tempo e si è ampliato, nel suo contenuto (nel senso – precisa la sentenza impugnata – che venivano prelevati in affitto altri terreni che pure venivano coltivati in partecipazione unitamente agli altri);

– i testi ascoltati … non solo hanno tutti riferito che la conduzione associata dei terreni, da parte del L.G. (e della sua famiglia) si è protratta, senza interruzione dal 1991 al 1996 ed ha riguardato la coltivazione manuale dei campi a grano duro ed ortaggi vari, ma hanno anche confermato l’avvenuta esecuzione a cura e spese dello stesso L.G., di lavori di bonifica, con la realizzazione di un impianto irriguo fisso, di un pozzo artesiano e di un vascone per l’accumulo di acque destinate alla irrigazione dei campi;

– non solo le coerenti ed inequivocabili deposizioni testimoniali, ma anche la riconosciuta continuità del rapporto negli anni … e il tipo di coltivazione praticata nei fondi stanno a dimostrare la natura non stagionale della compartecipazione agraria;

– ne consegue che, ai sensi della L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 27, essendo il rapporto insorto successivamente all’entrata in vigore della legge citata e proseguito nel tempo, esso va ricondotto sin dall’ origine alla fattispecie legale dell’affitto e sottoposto alla relativa disciplina;

– così ricostruita e inquadrata la vicenda negoziale appare chiaro che, come ha tempestivamente e giustamente eccepito il convenuto, odierno appellante, il contratto di comodato stipulato in data 25 settembre 1996 (posto a base della domanda di rilascio del fondo) è quantomeno affetto da nullità ai sensi della L. n. 203 del 1982, art. 58. 2. Il ricorrente censura la riassunta pronunzia denunziando, nell’ordine:

– da un lato, violazione e falsa, applicazione della L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 58 e dell’art. 1803 cod. civ. ( art. 360 cod. proc. civ., n. 3), atteso che in assenza di apposita istanza di simulazione o di annullamento il contratto di comodato deve considerarsi valido e efficace in quanto indipendente dalle eventuali pregresse vicende contrattuali intercorse tra le parti (primo motivo);

– dall’altro, illogicità, carenza ed insufficienza della motivazione su un punto decisivo della controversia ( art. 360 cod. proc. civ., n. 5) per avere i giudici del merito malamente valutato le risultanze di causa, atteso che sia dall’interrogatorio formale di C. R., sia dalle deposizioni raccolte non è dato ritenere che il rapporto associativo si sia protratto sino al 1996 e tenuto presente, altresì, che non sussiste alcuna inconciliabilità tra le prestazioni onerose del precedente rapporto agrario con la gratuità del successivo rapporto di comodato nè che non possano ricavarsi argomenti per ritenere sciolto per mutuo consenso il primo (associativo) con la contestuale instaurazione del secondo (di comodato gratuito) (secondo motivo);

– da ultimo, violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. ( art. 360 cod. proc. civ., n. 3) atteso che accogliendo l’appello i giudici di secondo grado dovevano statuire sulla domanda proposta da essi concludenti di cessazione del contratto inter partes e di rilascio del terreno (terzo motivo).

3. I riferiti motivi, per più aspetti inammissibili, per altri manifestamente infondati non possono trovare accoglimento.

Alla luce delle considerazioni che seguono.

3.1. A conclusione del primo e del terzo motivo del proprio ricorso il ricorrente ha formulato un quesito di diritto, mentre al termine del secondo ha indicato quello che a suo avviso è il fatto decisivo e controverso in ordine al quale è denunziata la illogica, incongrua o comunque erronea motivazione, in applicazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ..

Osserva, al riguardo, il collegio che la L. 18 giugno 2009, n. 69 (Gazz. Uff. n. 140 del 19 giugno 2009, s.o. n. 95/L) mentre all’art. 47 ha abrogato l’ art. 366-bis cod. proc. civ. al successivo art. 58, comma 5, ha previsto che le disposizioni di cui all’art. 47 si applicano alle controversie nelle quali il provvedimento impugnato con il ricorso per cassazione è stato pubblicato … successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge, cioè dopo il 4 luglio 2009.

La pacifica giurisprudenza di questa Corte regolatrice interpreta le sopra ricordate norme nel senso che ove sia oggetto di ricorso per cassazione un provvedimento pubblicato – come la sentenza ora investita di ricorso, pubblicata il 22 dicembre 2009 successivamente al 4 luglio 2009 i vari motivi del ricorso stesso, soggetto alla nuova disciplina introdotta dalla L. n. 69 del 2009, non devono concludersi con la formulazione di un quesito di diritto (in caso di ricorso proposto ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., nn. 1, 2, 3 e 4), nè con la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione (in caso di ricorso ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5).

E’ palese, di conseguenza, che i quesiti, sopra ricordati devono ritenersi tamquam non essent e nell’esame dei vari motivi si prescinderà totalmente dagli stessi.

3.2. A seguito del D.Lgs. n. 40 del 2006, il novellato art. 366 cod. proc. civ., n. 6, oltre a richiedere la specifica, indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto.

Tale specifica indicazione,quando riguardi un documento prodotto in giudizio postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito e – in ragione dell’art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4 – anche che esso sia prodotto in sede di legittimità.

In altri termini il ricorrente per cassazione ove intenda dolersi della omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice del merito ha il duplico onere di produrlo agli atti e di indicarne il contenuto.

Il primo onere va adempiuto indicando esattamente in ricorso in quale fase processuale e in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione.

Il secondo deve essere adempiuto trascrivendo o riassumendo nel ricorso il contenuto del documento.

La violazione anche di uno solo di tali oneri rendere il ricorso inammissibile (in termini, ad esempio, Cass. 13 ottobre 2011, n. 21219).

Pacifico quanto precede si osserva che ancorchè il ricorrente abbia trascritto (alle pp. 2 e 3 del ricorso) il contratto di comodato intervenuto tra le parti il 25 settembre 1996, lo stesso ha omesso:

– totalmente, di indicare quale delle parti in causa, e in quale occasione, nel corso del giudizio di merito, abbia prodotto tale documento e ove lo stesso sia rinvenibile tra le produzioni di questo giudizio di legittimità;

– di trascrivere, o di indicare in quale occasione sia stato prodotto (e da chi e ove sia rinvenibile) l’ altro documento su cui si articolano tutte le argomentazioni difensive e, in particolare, il contratto associativo 10 marzo 1991.

E’ palese, sotto i riferiti profili, la inammissibilità dei motivi.

3. 3. Oltre che inammissibile sotto il profilo sopra evidenziato – comunque – il primo motivo è – altresì – manifestamente infondato.

Come evidenziato sopra i giudici del merito hanno ritenuto:

– che il contratto – apparentemente stipulato per una sola annata agraria – il 10 marzo 1991 si è ininterrottamente protratto nel tempo;

– che tale contratto, ancorchè qualificato di compartecipazione agraria, ha a oggetto la concessione di un fondo rustico e, di conseguenza – a norma della L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 27 – deve essere ricondotto all’affitto è, cioè, soggetto alla disciplina de le norme regolatrici dell’affitto di fondi rustici;

– che con il contratto apparentemente di comodato 25 settembre 1996 le parti hanno inteso privare di effetti il contratto del 10 marzo 1991 che non era mai cessato.

Pacifico quanto sopra è evidente che non vi è stata – da parte dei giudici del merito – alcuna violazione o falsa applicazione della L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 58, certo essendo che i rapporti tra le parti sono disciplinati unicamente dal contratto, di affitto, del 10 marzo 1991 e che la convenzione del 25 settembre 1996 è nulla, perchè in violazione delle norme indisponibili di cui alla L. n. 203 del 1982. 3.4. A norma dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 – nel testo applicabile nella specie ratione temporis (è stata impugnata con ricorso per cassazione una sentenza pubblicata successivamente al 2 marzo 2006) – le sentenze pronunciate in grado di appello o in un unico grado possono essere impugnate con ricorso per cassazione, tra l’altro "per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio".

E’ palese, pertanto, che i detti vizi – salvo che non investano distinte proposizioni contenute nella stessa sentenza, cioè diversi fatti controversi – non possono concorrere tra di loro, ma sono alternativi.

Non essendo logicamente concepibile che una stessa motivazione sia, quanto allo stesso fatto controverso, contemporaneamente omessa, nonchè insufficiente e, ancora contraddittoria è evidente che è onere del ricorrente precisare quale sia – in concreto – il vizio della sentenza, non potendo tale scelta (a norma dell’art. 111 Cost. e del principio inderogabile della terzietà del giudice) essere rimessa al giudice (recentemente, in termini, ad esempio, Cass. 27 settembre 2011, n. 19748, nonchè Cass. 10 marzo 2011, n. 5701, e Cass. 13 dicembre 2010, n. 25127, specie in motivazione).

Pacifico quanto sopra, è palese, anche sotto tale aspetto, la inammissibilità del secondo motivo di ricorso.

3.5. Anche a prescindere da quanto precede si osserva che – contrariamente a quanto suppone la difesa del ricorrente – il motivo di ricorso per cassazione con il quale alle sentenza impugnata venga mossa censura per vizi di motivazione, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, deve essere inteso a far valere – a pena di inammissibilità in difetto di loro specifica indicazione – carenze o lacune nelle argomentazioni, ovvero illogicità nella attribuire agli elementi di giudizio un significato fuori dal senso comune, o ancora, mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi.

Non può, invece, essere inteso a far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggetto della parte e, in particolare, non vi si può proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti.

Tali aspetti del giudizio, infatti, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento, rilevanti ai sensi della norma in esame.

Diversamente il motivo di ricorso per cassazione si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, id est di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura e alle finalità del giudizio di legittimità (cfr. Cass. 2 novembre 2010, n. 25127; Cass. 13 ottobre 2010, n. 22298; Cass. 26 aprile 2010, n. 9908; Cass. 30 marzo 2010, n. 7626; Cass. 26 marzo 2010, n. 7394, tra le tantissime).

Pacifico quanto precede è palese la inammissibilità del secondo motivo del ricorso nella parte in cui si limita a contrapporre, alla interpretazione data dai giudici del merito delle risultanze istruttore, una diversa – soggettiva – interpretazione delle stesse.

3.6. Anche il terzo motivo è, sotto più profili inammissibile.

3.6.1. In primis, deve ribadirsi – ulteriormente – in conformità a quanto assolutamente pacifico nella giurisprudenza decisamente maggioritaria di questa Corte regolatrice, che allorchè si denunzia, in sede di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e, quindi, una violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, la stessa deve essere fatta valere – come in ogni altra occasione in cui si imputino al giudice errores in procedendo – esclusivamente a norma dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 4 (nullità della sentenza e del procedimento) e non come violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360, n. 3, nè, a maggior ragione, come vizio motivazionale, a norma dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, attenendo questo ultimo esclusivamente all’accertamento e valutazione di fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. 9 giugno 2011, n. 12716; Cass. 24 maggio 2011, n. 11382; Cass. 18 maggio 2011, n. 10921).

3.6.2. Anche a prescindere da quanto precede, si osserva che parte concedente aveva chiesto, da un lato, che fosse accertato che il L. G. deteneva i terreni per cui è controversia in forza di un contratto di comodato, dall’altro, che fosse dichiarato che tale contratto era cessato il 31 dicembre 1996 e che di conseguenza il L. G. fosse condannato alla restituzione dei terreni.

E’ palese – di conseguenza – che correttamente la sentenza impugnata, dichiarata la nullità del contratto di comodato 25 settembre 1996, e accertato che lo stesso L.G. deteneva il fondo in forza di contratto di locazione del 10 marzo 1991, si è limitata a rigettare la domanda attrice.

Non risulta – in alcun modo – infatti, che i concedenti, con riguardo all’eventualità fosse stata ritenuta la sussistenza tra le parti di un contratto di affitto avessero chiesto il rilascio del fondo per cessazione, alla fine del 2006 del contratto 10 marzo 1991, a seguito di tempestiva disdetta.

Deriva da quanto sopra, quindi, che i giudici del merito non sono incorsi in omessa pronunzia per non avere indicato la data di cessazione del rapporto di affitto con condanna del conduttore al rilascio del fondo facendo difetto una domanda in tali termini (ed essendo stato chiesto il rilascio per la cessazione del, diverso, contratto di comodato, cioè in forza di una diversa causa petendi).

4. Risultato infondato in ogni sua parte il proposto ricorso, in conclusione, deve rigettarsi, con condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso;

condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00, oltre Euro 3.000,00 per onorari e oltre spese generali e accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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