Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
M.C. e B.R. con ricorso del 6-10-2000, proponevano innanzi al Tribunale di Catania opposizione allo stato passivo del fallimento di S.U. per lamentare l’esclusione dallo stato passivo del credito di L. 71.000.000, da essi vantato a titolo di restituzione dell’acconto versato al fallito in esecuzione del preliminare di vendita di un alloggio di proprietà di quest’ultimo, debitamente registrato, dal quale il curatore fallimentare si era sciolto ai sensi dell’art. 72, L. Fall.. Il giudice delegato aveva accolto la domanda d’insinuazione nel limitato importo di L. 16.000.000 quietanzato nel preliminare, ritenendo inopponibili alla massa i titoli di credito prodotti dagli istanti, attestanti il pagamento allo S. del prezzo residuo, oggetto di contestazione, seppur riscontrato nelle scritture contabili e quietanzato nello stesso contratto preliminare.
Nel contraddittorio del curatore, che aveva ribadito 1’irrilevanza probatoria dei titoli di credito prodotti, attesa la loro astrattezza, il Tribunale con sentenza n. 2135/2005 rigettava l’opposizione e i creditori impugnavano la decisione innanzi alla Corte d’appello di Catania che, con sentenza n. 1290 depositata il 22 settembre 2009, ne ha disposto parziale riforma, ammettendo allo stato passivo fallimentare parte del credito in contestazione nell’importo di Euro 18.076,00. Contro questa pronuncia il curatore fallimentare ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, ulteriormente illustrate con memoria difensiva depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c. e resistiti dagli intimati con controricorso.
Motivi della decisione
Col primo motivo il ricorrente denuncia vizio di omessa e/o insufficiente motivazione riguardo alla all’affermata anteriorità non già del rilascio dei titoli, pacificamente precedente al fallimento, ma della loro riscossione prima di tale momento, le cui ragioni sottostanti non emergerebbero dal tessuto argomentativo della decisione impugnata. Laddove siffatto convincimento si ritenesse implicitamente riferito alle annotazioni e stampigliature apposte dalla banca sui titoli, analogamente immotivata sarebbe l’attribuzione del requisito della data certa.
Col secondo motivo si deduce violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4.
Il vizio ascritto alla decisione la investirebbe in relazione al medesimo passaggio argomentativo.
Col terzo motivo si assume violazione dell’art. 2704 c.c.. Il vizio si anniderebbe nell’attribuzione del requisito della data certa alla stampigliatura apposta sui titoli dalla banca, non supportata da autenticazione e/o certificazione di un pubblico ufficiale. I resistenti deducono l’inammissibilità dei motivi in quanto espongono questione non dibattuta nelle sede di merito, sostenendo che, a fronte della loro allegazione circa il pagamento con gli assegni, nulla replicò il curatore che non ne contestò la riscossione. Ad ogni buon conto la Corte del merito si sarebbe attenuta a principio di diritto enunciato dalla sentenza della cassazione n. 17749/2009, secondo cui "in caso di pagamento effettuato mediante assegni di conto corrente, l’effetto liberatorio si verifica con la riscossione della somma portata dal titolo, in quanto la consegna del titolo deve considerarsi effettuata, salva diversa volontà delle parti, pro solvendo; tuttavia, poichè l’assegno, in quanto titolo pagabile a vista, si perfeziona, quale mezzo di pagamento, quando passa dalla disponibilità del traente a quella del prenditore, ai fini della prova del pagamento, quale fatto estintivo dell’obbligazione, è sufficiente che il debitore dimostri l’avvenuta emissione e la consegna del titolo, incombendo invece al creditore la prova del mancato incasso, la quale, pur costituendo una prova negativa, non si risolve in una probatio diabolica, in quanto, avuto riguardo alla legge di circolazione del titolo, il possesso dello stesso da parte del creditore che lo ha ricevuto implica il mancato pagamento", che i motivi neppure mettono in discussione.
Ne deducono comunque l’infondatezza, rilevando non solo che i titoli furono quietanzati dallo S., ma che comunque ne era ammesso l’accertamento della data certa sulla base di atto equipollente, tale ritenuta dal giudice quell’annotazione.
Il ricorso esprime nel suo complessivo articolato censure prive di pregio.
La sentenza impugnata ammette allo stato passivo del fallimento S. la parte credito in contestazione nell’importo di Euro 18.076,00, del cui versamento, ad integrazione del prezzo d’acquisto dell’immobile, vi era dichiarazione sottoscritta dallo stesso S. nell’ultimo foglio del contratto preliminare, anteriore al fallimento, recante l’indicazione delle date di ricezione dei relativi titoli di credito. A fronte di tale dichiarazione, certamente anteriore al fallimento in quanto parte integrante del preliminare, la dazione dei pagamenti risulta anteriore al fallimento e la stessa ha integrato il pagamento, per la parte documentata pur esso anteriore al fallimento. La riscossione è dunque provata, e il collegamento tra gli assegni, il preliminare e le dichiarazioni di S. in esso contenute risulta da testo del medesimo contratto.
I primi due motivi, accomunati da medesima impostazione e quindi congiuntamente esaminabili, introducono questione nuova. Secondo quanto emerge dalla narrativa dello stesso ricorso nonchè dalla sintesi della vicenda processuale esposta in sentenza, la prova della riscossione dei titoli indicati nel preliminare non fu oggetto di contestazione da parte del curatore fallimentare, nè venne esaminata dal giudice di primo grado, sollecitato a verificare gli effetti della loro eccepita astrattezza, che di certo non assorbiva la questione circa l’anteriorità della loro riscossione, mai posta in dubbio e dunque data per pacifica in quanto logicamente concomitante col rilascio dei titoli stessi. Su questa falsariga la Corte d’appello ha condotto la propria indagine cercando il collegamento concreto tra i titoli ed il preliminare, indi dandone per scontata la riscossione a lume del principio evocato dai resistenti, di cui, benchè non ne abbia fatto richiamo, ha nondimeno fatto corretta applicazione. I motivi deducono ora un difetto di motivazione su questione che, secondo quanto riferito, non risulta esser stata introdotta dalla curatela fallimentare nel thema decidendum sottoposto ai giudici del merito, senza riferire se effettivamente e in quali termini essa venne sollevata in quella sede. Sono pertanto inammissibili.
Il terzo motivo espone censura priva di pregio. La Corte territoriale ha attribuito il requisito della data certa ai titoli in discussione desumendola dalla certezza della data attribuita al preliminare, registrato in data anteriore al fallimento e perciò opponibile alla procedura, che ne faceva espressa e dettagliata menzione. Discutere ora di idoneità di stampigliature o annotazione apposte dalla banca sugli assegni ai fini del requisito postulato dal richiamato art. 2704 c.c., significa introdurre un tema d’indagine estraneo all’economia della decisione impugnata, pertanto privo di rilievo.
Tutto ciò premesso il ricorso deve essere rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidandole in Euro 1.500,00 oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali ed accessori legge.
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