Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Le ricorrenti indicate in rubrica ricorrono per cassazione, sulla base di due motivi, nei confronti del Ministero della Giustizia avverso il decreto in data 8 novembre 2006, con il quale la Corte di appello di Torino – pronunciando in sede di giudizio di rinvio in seguito all’annullamento da parte della Corte di cassazione, con sentenza n. 15488 del 22 luglio 2005, di precedente decreto in data 13 giugno 2002 della medesima Corte di merito – ha condannato detto Ministero al pagamento in loro favore, nella loro qualità di eredi di Z.P., della somma di Euro 5.000,00 per violazione del termine ragionevole di durata di un giudizio civile promosso dal loro dante causa davanti al Tribunale di Genova con citazione del 31 dicembre 1992- 2 gennaio 1993 e non ancora definito alla data del 29 aprile 2000.
Il Ministero intimato ha resistito con controricorso.
Nell’odierna camera di consiglio il collegio ha deliberato che la motivazione della sentenza sia redatta in forma semplificata.
Motivi della decisione
Le ricorrenti censurano il decreto impugnato, proponendo due motivi di ricorso, con i quali lamentano:
– il calcolo dell’equo indennizzo solo con riferimento al periodo eccedente la ragionevole durata della causa e non all’intera durata del giudizio (primo motivo);
– l’entità dell’indennizzo, quantificato dalla Corte di merito nella misura di Euro 1.250,00 per ogni anno di ritardo, notevolmente e irragionevolmente inferiore ai parametri stabiliti dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (secondo motivo).
2. Il primo motivo è infondato, in quanto è vincolante per il giudice nazionale, il disposto della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), ai sensi del quale è influente solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole di durata del processo (Cass. 2005/21597; 2008/14). E’ inoltre manifestamente infondata la questione di costituzionalità della citata disposizione, non essendo ravvisabile alcuna violazione dell’art. 117 Cost., comma 1, in riferimento alla compatibilità con gli impegni internazionali assunti dall’Italia mediante la ratifica della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali. Infatti, qualora sia sostanzialmente osservato il parametro fissato dalla Corte EDU ai fini della liquidazione dell’indennizzo, la modalità di calcolo imposta dalla norma nazionale non incide sulla complessiva attitudine della legislazione interna ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto in argomento, non comportando una riduzione dell’indennizzo in misura superiore a quella ritenuta ammissibile dal giudice europeo; diversamente opinando, poichè le norme CEDU integrano il parametro costituzionale, ma rimangono pur sempre ad un livello subcostituzionale, dovrebbe valutarsi la conformità del criterio di computo desunto dalle norme convenzionali, che attribuisce rilievo all’intera durata del processo, rispetto al novellato art. 111 Cost., comma 2, in base al quale il processo ha un tempo di svolgimento o di durata ragionevole, potendo profilarsi, quindi, un contrasto dell’interpretazione delle norme CEDU con altri diritti costituzionalmente tutelati. Nè a conclusioni diverse perviene la stessa giurisprudenza della predetta Corte internazionale che – nei precedenti Martinetti e Cavazzuti c. Italia del 20 aprile 2010, Delle Cave e Corrado c. Italia del 5 giugno 2007 e Simaldone c. Italia del 31 marzo 2009 – ha osservato che il solo indennizzo, come previsto dalla Legge Italiana n. 89 del 2001, del pregiudizio connesso alla durata eccedente il ritardo non ragionevole, si correla ad un margine di apprezzamento di cui dispone ciascuno Stato aderente alla CEDU, che può istituire una tutela per via giudiziaria coerente con il proprio ordinamento giuridico e le sue tradizioni, in conformità al livello di vita del Paese, conseguendone che il citato metodo di calcolo previsto dalla legge italiana, pur non corrispondendo in modo esatto ai parametri enunciati dalla Corte EDU, non è in sè decisivo, purchè i giudici italiani concedano un indennizzo per somme che non siano irragionevoli rispetto a quelle disposte dalla CEDU per casi simili (Cass. 2009/10415; 2011/478).
Il secondo motivo è patimenti infondato, in quanto l’indennizzo liquidato dalla Corte di merito in ragione di Euro 1.250,00 per ciascun anno di ritardo è superiore quello calcolato in base ai parametri stabiliti dalla CEDU, come interpretati e recepiti dalla giurisprudenza di questa Corte. Infatti, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, i criteri di liquidazione applicati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo non possono essere ignorati dal giudice nazionale, il quale può tuttavia apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda, purchè motivate e non irragionevoli.
Peraltro, ove non emergano elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa comporta che la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a Euro 1000,00 per quelli successivi, in quanto l’irragionevole durata eccedente tale periodo da ultimo indicato comporta un evidente aggravamento del danno (Cass. 2010/17922).
Nel caso di specie le ricorrenti si sono limitate ad affermare genericamente che la liquidazione del danno compiuta dalla Corte di appello configura "una notevole ed irragionevole discrasia rispetto ai principi elaborati alla giurisprudenza di Strasburgo, che imporrebbero un indennizzo … pari a Euro 2.000,00 per ogni anno di durata del procedimento", ma non hanno fornito specifici elementi concreti di valutandone in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza nella fattispecie in esame del danno non patrimoniale.
Le considerazioni che precedono conducono al rigetto del ricorso e le spese del giudizio di cassazione, da liquidarsi come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido le ricorrenti al pagamento in favore del Ministero della Giustizia delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 900,00, oltre alle spese prenotate a debito.
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