Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. T.M.D., M.A., M. e T. e il loro procuratore speciale Tr.St. hanno convenuto davanti al tribunale di Milano C.I., Tabita Tour S.r.l., rispettivamente conducente e proprietario del veicolo su cui viaggiava, come trasportato, il loro congiunto T.I., nonchè l’UCI – Ufficio Centrale Italiano chiedendo la loro condanna in solido al risarcimento dei danni subiti in conseguenza del decesso di T.I., avvenuto a seguito del sinistro stradale occorso in data 22 gennaio 2006. C.I. e Tabita Tour S.r.l. sono rimasti contumaci, mentre l’UCI ha chiesto: la declaratoria di improcedibilità o inammissibilità della domanda per violazione delle prescrizioni di cui all’artt. 145 e 148 del Codice delle Assicurazioni, quella di improcedibilità o inammissibilità della domanda formulata da Tr.St. sia in proprio, sia come rappresentante degli eredi T.; la reiezione nel merito della domanda e, in subordine, il contenimento del risarcimento richiesto.
Il Tribunale, con sentenza del 25 giugno 2009, dato atto che non vi era controversia sull’imputabilità del sinistro alla responsabilità esclusiva di C.I., ha parzialmente accolto la domanda risarcitoria, una volta disattesa la declaratoria di improcedibilità della domanda ex art. 145 e 148 del Codice delle Assicurazioni e dopo aver rilevato che il Tr. non aveva alcuna legittimazione ad agire "anche in proprio", per cui ogni sua domanda in proposito doveva essere respinta. I T. "e il loro procuratore speciale Tr.St." hanno proposto appello, chiedendo che venisse accordato il risarcimento del danno in misura maggiore. L’UCI ha chiesto la reiezione del gravame e, in via incidentale, l’accoglimento delle eccezioni formulate nel precedente grado e la riduzione del risarcimento.
2. Con la sentenza oggetto del presente giudizio, depositata il 23 febbraio 2010, la Corte di Appello di Milano:
2.a. esaminando preliminarmente alcuni motivi del gravame incidentale dell’UCI, rilevava che alcune delle doglianze, pur formalmente riproposte nelle conclusioni, non erano state sviluppate nelle difese, in violazione del disposto di cui all’art 345 c.p.c.;
riteneva, pertanto, di prendere in considerazione i soli motivi oggetto di specifiche argomentazioni difensive dell’UCI; A.1. con il primo motivo di gravame incidentale, l’UCI aveva lamentato, a torto, che il tribunale "con una motivazione succinta e non condivisibile" ne avrebbe erroneamente disatteso l’eccezione di improcedibilità o inammissibilità della domanda per violazione delle prescrizioni di cui agli artt. 145 e 148 Codice Assicurazioni. L’UCI infatti aveva formulato doglianze non congruenti con le motivazioni, condivise, che sorreggevano la decisione di primo grado; il primo giudice invero, dopo avere ricordato il contenuto della missiva raccomandata del (OMISSIS) inviata ai legali di controparte da Avus Italia (società delegata dall’UCI ad istruire stragiudizialmente il sinistro), aveva rilevato che "da tale raccomandata si desume che UCI richiedeva al legale dei ricorrenti documenti, cioè la procura in favore dello stesso legale, non espressamente previsti dall’art. 148 Codice Assicurazioni ai fini della formulazione di offerte risarcitorie e, dunque, non rilevanti sotto il profilo della condizione di proponibilità dell’azione di risarcimento dei danni ex art 145 Codice Assicurazioni". L’appellante incidentale UCI, in violazione del disposto di cui all’art. 345 c.p.c., che impone la specificità dei motivi di gravame, non aveva censurato le argomentazioni della sentenza, in quanto si era limitato ad evidenziare come le missive raccomandate in data 24.1.2006 e 20.3.2007, inviate ad essa UCI dai legali delle controparti, non contenessero "le informazioni previste dalla legge e come – con la missiva 28.2.2007 – Avus Italia avesse richiesto al difensore degli odierni ricorrenti "copie delle deleghe per la trattazione e definizione del danno… unicamente nell’interesse dei "medesimi "in considerazione dell’entità del risarcimento". A.2. Con il quinto motivo di appello incidentale l’UCI, pur rilevando a ragione l’omessa pronuncia sul punto da parte del tribunale, a torto aveva eccepito l’inesistenza della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio nei confronti dei resistenti stranieri Tabita Tour srl e C.I., perchè il ricorso risultava ritualmente notificato sia al responsabile civile che alla compagnia assicurativa straniera presso l’UCI, quale domiciliatario ex lege ai sensi della L. n. 990 del 1990, art. 6 come del resto riconosce la stessa appellante.
2.b. Con il secondo motivo di gravame incidentale, l’UCI aveva censurato la sentenza nella parte in cui non aveva ritenuto applicabile, ai fini della liquidazione del danno, la Legge Rumena ex L. n. 218 del 1995, art. 62, n. 2 laddove prevede che "qualora il fatto illecito coinvolga soltanto cittadini di un medesimo stato in esso residenti, si applica la legge di tale stato". Il primo giudice avrebbe errato laddove aveva ritenuto che" la presente controversia non coinvolge solo cittadini stranieri della medesima nazionalità rumena, bensì anche UCI società di diritto italiano", quando invece essa UCI sarebbe "un mero rappresentante processuale della parte sostanziale individuabile nella Compagnia straniera Allianz Tiriac Asigurari", per cui "tutte le partì implicate" sarebbero rumene, con conseguente applicabilità del diritto romeno. Ne deriverebbe, secondo l’UCI A) che il massimale minimo per la RCA applicabile in ipotesi di indennizzo per lesioni o decesso sarebbe stato quello previsto dall’ordinamento della Romania, che nel (OMISSIS) (anno in cui si è verificato il sinistro) sarebbe stato pari a circa Euro 56.000,00 per persona e a circa 285.000,00 Euro per sinistro – che avrebbero dovuto applicarsi i criteri giurisprudenziali della Romania, dove – non esistendo "tabelle … per il calcolo del danno morale" – il danno per la morte di un congiunto verrebbe quantificato a partire da un minimo di Euro 500,00 sino ad un massimo di Euro 30.000,00. Il motivo era infondato, nonostante – a ragione – l’UCI avesse eccepito di essere un mero rappresentante processuale della compagnia assicurativa straniera, per cui effettivamente "tutte le parti implicate" erano rumene. La L. n. 218 del 1995, art. 62 si limita a disciplinare, secondo la Corte territoriale, la "responsabilità per fatto illecito", vale a dire l’an della responsabilità e cioè ì presupposti (in ipotesi difformemente regolati dall’ordinamento straniero richiamato) in forza dei quali essa sorge. Dal suo ambito applicativo esulava invece la determinazione del quantum del risarcimento che, a norma della L. n. 218 del 1995, art. 61 quale obbligazione nascente dalla legge, viene regolata dalle norme dello stato in cui si è verificato il fatto da cui deriva l’obbligazione, vale a dire nella specie, lo stato italiano. In ogni caso: l’UCI si era limitato ad allegare l’entità dei massimali assicurativi "minimi" per la RC vigenti in Romania, senza però dimostrarli e senza, soprattutto, dimostrare e neppure allegare quali fossero in concreto i massimali contrattuali; il giudice italiano non poteva essere vincolato all’interpretazione che, della normativa applicabile, avesse in ipotesi dato il giudice straniero.
2.c. Erano infondate le rispettive censure sul danno non patrimoniale, con le quali mentre i T. lamentavano che il Tribunale di Milano si fosse attestato sui valori minimi delle tabelle in uso presso il medesimo, l’UCI chiedeva che l’importo venisse ridotto in proporzione al minor costo della vita in Romania:
l’UCI si era limitato a riproporre le difese del primo grado senza censurare in modo specifico le corrette argomentazioni con cui il primo giudice le aveva disattese, rilevando che "il luogo in cui vive il danneggiato alla data di liquidazione del danno in sentenza è una circostanza irrilevante rispetto alla personalizzazione del danno non patrimoniale, da effettuare ex art. 2059 c.c. sulla base di profili attinenti alla situazione personale e familiare del danneggiato che possono contribuire a delineare l’entità della lesione del rapporto parentale e delle conseguenti sofferenze per la perdita del prossimo congiunto". Nè l’UCI aveva riproposto, nella parte motiva della sua comparsa di risposta, pur avendola formalmente riprodotta nelle conclusioni, l’eccezione di incostituzionalità "per contrasto con l’art. 3 Cost., degli artt. 2056, 2057, 2058 e 2059 c.c. e art. 158 c.p. nella parte in cui non prevedono che risarcimento quantificato alla stregua della normativa italiana debba essere ragguagliato alla realtà socio-economica in cui vive il danneggiato". Dall’altro lato, esattamente il Tribunale si era attenuto nella liquidazione del danno ai valori minimi tabellari, in mancanza di qualsivoglia elemento, neppure allegato (nemmeno nella fase del gravame) dai T. in merito alle peculiari circostanze che avrebbero potuto consentire di diversamente valorizzare l’entità della lesione del rapporto parentale subita e consentire un’adeguata personalizzazione del danno, essendosi limitati a sottolineare l’età dei figli e del coniuge al momento del decesso del congiunto e, per quanto concerne il fratello, neppure deducendo se il medesimo fosse o meno convivente o fosse legato alla vittima da un particolare vincolo affettivo.
2.d. Era infondata anche la doglianza dei T. circa l’immotivato rigetto della domanda di risarcimento del danno patrimoniale: 1. L’invocata norma di cui all’art. 137 Codice assicurazioni (laddove, in mancanza di qualsivoglia prova del reddito, parametra il risarcimento del danno al criterio sussidiario del triplo dell’ammontare annuo della pensione sociale) trova applicazione nell’ipotesi di risarcimento del danno da inabilità temporanea o permanente della vittima del sinistro, e non già nel diverso caso – che qui ricorre – del danno patrimoniale subito dai congiunti a causa del suo decesso.
2.1 T. non hanno neppure allegato: – se il loro congiunto fosse percettore di reddito – quale tipo di attività lavorativa in ipotesi svolgesse, nè tantomeno quale quota del suo reddito destinasse alle esigenze del nucleo familiare – quali fossero le condizioni economiche della famiglia e, in particolare, se il coniuge e i due figli lavorassero, ovvero fossero a carico del defunto. In mancanza della prova relativa all’an non poteva dunque farsi luogo alla invocata liquidazione equitativa ex art. 1226 c.c..
2.e. L’UCI a ragione aveva lamentato che il primo giudice, pur avendo respinto la "domanda formulata da Tr.St. in proprio", non lo avesse condannato al pagamento delle spese di lite. Il Tr.
(che è uno dei cinque soggetti che hanno agito "in proprio" per ottenere il risarcimento dei danni) andava dunque condannato al pagamento in favore dell’UCI di 1/5 delle spese processuali.
3. I T. ricorrono per cassazione sulla base di tre motivi. l’UCI resiste con controricorso, nel quale propone anche ricorso incidentale sulla base di quattro motivi.
Nel proprio ricorso principale, i T. deducono le seguenti censure.
3.1. Insufficiente liquidazione del danno non patrimoniale (danno morale), omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, per avere la Corte territoriale: 3.1.A. confermato la quantificazione di primo grado omettendo ogni argomentazione sulla doglianza proposta perchè il Tribunale, nel liquidare detta voce di danno, pur avendo fatto dichiaratamente riferimento ai criteri orientativi applicati dal Tribunale stesso "alla data della pronuncia della sentenza" (emessa il 25.6.2009), ma aveva impiegato le tabelle del 2008, mentre il precedente 22 maggio erano state approvate le tabelle 2009 (che prevedevano limiti minimi e massimi superiori rispetto a quelli del 2008). Il giudice del gravame avrebbe dovuto dapprima fornire idonea motivazione sulla decisione del Tribunale di adottare una tabella non più in uso e poi motivare sulla mancata applicazione dei valori medi (anzichè di quelli minimi) della stessa; 3.1.B. incorsa in difetto di motivazione perchè da un lato aveva riconosciuto la necessità di personalizzare il danno, dall’altro ritenuto irrilevante l’età della vittima e dei congiunti ai fini della personalizzazione del risarcimento, non apparendo congrue le conclusioni immotivate dei giudici di merito, mentre sarebbero congrue le somme pretese dai ricorrenti (v. pag. 8 e 9 del ricorso).
3.2. Violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2056 e 1226 c.c. e D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 137 in ordine alla omessa liquidazione del danno patrimoniale, che i congiunti superstiti avrebbero subito a causa del venir meno del futuro sostengo economico da parte della vittima del sinistro. I ricorrenti contestano le affermazioni della Corte territoriale secondo cui l’art. 137 citato non sarebbe applicabile al caso di specie e gli eredi T. non avrebbero fornito alcuna prova del reddito da parte della vittima e sulla condizione economica del nucleo familiare. Invocano la giurisprudenza di questa S.C. secondo cui detto danno andrebbe riconosciuto alla stregua di valutazione compiuta sulla scorta di dati ricavabili dal notorio e dalla comune esperienza e competerebbe anche quando si prospetti come effettivamente probabile sulla scorta di parametri di regolarità causale, in base a oggettivi e ragionevoli criteri rapportati alle circostanze del caso concreto.
Secondo l’id quod plerunque accidit, il T. faceva confluire nell’ambito del suo nucleo familiare le proprie risorse economiche al fine di provvedere al sostentamento della moglie e dei due figli (di anni venti e ventuno all’epoca del sinistro), circostanza che assume non contestata dalla controparte, sicchè il giudice avrebbe avuto a disposizione tutti gi elementi per disporre il risarcimento.
Pertanto, i giudici del merito avrebbero potuto e dovuto dapprima stabilire la risarcibilità del danno patrimoniale e poi, ai soli fini della quantificazione, avrebbero potuto ricorrere al criterio del triplo della pensione sociale, oppure liquidarlo in via equitativo, secondo il loro prudente apprezzamento.
3.3. Violazione o falsa applicazione art. 92 c.p.c., in ordine alla erronea condanna alle spese di Tr.St., perchè nonostante questi fosse intervenuto anche in proprio, quale procuratore speciale, la sua posizione processuale avrebbe dovuto interpretarsi alla stregua di un intervento adesivo dipendente; ma avrebbe dovuto essere considerato soccombente in quanto la sua posizione processuale è la medesima dei ricorrenti, come in sostanza ritenuto dal Tribunale che aveva affermato che il predetto aveva agito "in proprio in quanto procuratore speciale dei ricorrenti e non in quanto titolare di diritti e pretese comunque escluse dalle stesse conclusioni del ricorso". 4. Nel ricorso incidentale, illustrato con memoria, l’UCI lamenta:
4.1. Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto la domanda proponibile, nonostante la mancata concessione dello spatium deliberandi di cui all’art. 145 e dell’art. 148 Codice delle Assicurazioni, e non ha tenuto conto della necessità dell’impresa assicuratrice di ottenere una copia delle procure e della documentazione medica attestante la "chiusura" della malattia, senza che sussistesse, in relazione ai relativi motivi di appello, la violazione di cui all’art. 345 c.p.c. per mancata specificità degli stessi.
4.2. Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per error in indicando della sentenza nella parte in cui non ha dichiarato l’inesistenza della notifica ai resistenti stranieri in relazione all’azione ex art. 2054 c.c. e per omesso rispetto dell’art. 142 c.p.c.. La Corte d’appello, non avrebbe tenuto conto che, con la richiesta di condanna, oltre che dell’UCI anche dell’assicurato e del responsabile civile i ricorrenti avevano inteso proporre sia l’azione diretta nei confronti dell’UCI, sia quella ai sensi dell’art. 2054 c.c. nei confronti del responsabile civile e del proprietario: se è vero che era valida la notificazione eseguita presso il domiciliatario ex le gè, ai fini della integrazione del contraddittorio quanto all’azione nei confronti dell’U.C.I. stesso, avrebbe dovuto per converso ritenersi inesistente la notificazione relativamente all’azione ex art. 2054 c.c., (Cass. n. 10546 del 2007).
4.3. Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, e 5, per erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto applicabile la legge rumena solo per quel che concerne l’an debeatur;
mentre L. n. 218 del 1995, ex art. 62, comma 2 avrebbe dovuto considerarla applicabile anche per quanto concerne la quantificazione del risarcimento richiesto dai ricorrenti; nonchè per violazione dell’obbligo del giudice di accertare d’ufficio il diritto straniero applicabile. La L. n. 218 del 1995, art. 62, n. 2 prevede che, qualora l’illecito coinvolga soltanto cittadini di un medesimo Stato in esso residenti, si applica la legge di tale Stato. La ratio della disposizione è chiara: in siffatte ipotesi la sola realtà economico- giuridica interessata è quella del paese al quale si riferiscono nazionalità e residenza dei soggetti coinvolti.
4.4. In via meramente subordinata, qualora questa Corte non ritenga di applicare il diritto romeno, ma la legge italiana, il ricorrente eccepisce l’erroneità della decisione impugnata (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5) nella parte in cui non ha equiparato il criterio risarcitorio al costo della vita in Romania, Questione di legittimità costituzionale degli artt. 2056, 2057, 2058 e 2059 c.c., art. 158 c.p.. La Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto che il luogo in cui vive il danneggiato alla data di liquidazione del danno in sentenza sia una circostanza irrilevante rispetto alla personalizzazione del danno non patrimoniale; mentre in detta liquidazione il giudice non potrebbe omettere di considerare la realtà sociale in cui vive il soggetto leso, altrimenti, il medesimo importo potrebbe rivelarsi insufficiente per chi viva in contesti economici con prezzi medi superiori ed eccessiva per chi viva in contesti economici con prezzi inferiori. Secondo il ricorrente, lo stipendio medio percepito nel 2007 dai lavoratori nello stato romeno, secondo i dati della Commissione Nazionale di Previsioni (C.N.R.) della Romania, era pari a Euro 368,00. Gli importi liquidati erano sproporzionati rispetto al contesto socio-economico esistente in Romania e, di conseguenza, il risarcimento si rivelerebbe ai limiti della ridondanza e non avrebbe più una funzione riparatoria, ma meramente sanzionatoria, fattispecie non riconosciuta dal nostro Ordinamento.
5. La decisione riguarda i ricorsi riuniti, essendo stati proposti avverso la medesima sentenza (art. 335 c.p.c). Secondo l’ordine logico delle questioni, vanno preliminarmente esaminati i motivi del ricorso incidentale.
Preliminarmente, rileva il Collegio che è inammissibile in sede di legittimità la richiesta di sospensione del giudizio civile in attesa dell’esito di quello penale pendente innanzi al Tribunale di Latina (n. 6673/09), ostandovi, oltre che l’assoluta genericità e non autosufficienza della deduzione, la preclusione alla produzione dei documenti riguardanti detta pendenza, con conseguente impossibilità di invocare e disporre detta sospensione in questa sede (Cass. n. 5108/1978; 1524/1975).
5.1. Va preliminarmente esaminato il secondo motivo del ricorso incidentale. La Corte non ignora, in punto di diritto, che – nel regime di cui alla L. n. 990 del 1969, art. 6 – ove i danneggiati avessero proposto contestualmente azione diretta contro l’UCI, quale domiciliatario ex lege solo del proprietario del veicolo e del suo assicuratore, ed azione di responsabilità aquiliana contro il conducente e lo stesso proprietario, cittadino e società stranieri, la notificazione della citazione nei confronti di questi ultimi avrebbe dovuto eseguirsi con le modalità prescritte dall’art. 142 cod. proc. civ.. Ne sarebbe conseguito che l’inesistenza della notificazione della citazione – perchè effettuata solo presso l’UCI e nei confronti dei predetti domiciliati – avrebbe comportato l’impossibilità di decidere la causa promossa ex art. 2054 c.c. contro il conducente e la società proprietaria stranieri, non anche quella promossa contro l’UCI, per la quale è, comunque, integro il contraddittorio, con l’ulteriore conseguenza, trattandosi di cause scindibili, di dover dichiarare la nullità della sentenza impugnata limitatamente all’azione di responsabilità promossa ex art. 2054 c.c., mentre l’altra sarebbe risultata ritualmente decisa in appello (Cass. n. 8080/2007; 259/1999; v. anche Cass. n. 3547/2009;
10564/2007 e 4606/1997). Infatti, la notificazione dell’atto introduttivo del giudizio deve considerarsi inesistente quando sia eseguita in luogo diverso da quello di residenza o di lavoro del destinatario a meno che non vi sia, nel caso concreto, una qualche relazione tra il destinatario e il luogo in cui la notifica è stata eseguita che consenta di riconoscere che una notifica, benchè viziata, vi sia comunque stata. L’inesistenza della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado impedisce l’instaurazione di un rapporto processuale fra le parti e comporta la nullità radicale del procedimento e della sentenza del giudice, oltre che l’impossibilità per il giudice di appello di rimettere la causa al primo giudice – dato che l’inesistenza della notifica dell’atto introduttivo non è prevista tra le ipotesi tassative di rimessione ai sensi degli artt. 353 e 354 cod. proc. civ. – o di decidere la causa nel merito (Cass. n. 8608/2006; 19358/2007). La questione oggetto della censura, essendo rilevabile d’ufficio, avrebbe determinato la cassazione senza rinvio (art. 382 c.p.c., ultima parte) della sentenza in ordine all’azione risarcitoria ex art. 2054 c.c. nei confronti del conducente e della società proprietaria del veicolo; ma non avrebbe inficiato la sentenza emessa in ordine all’azione diretta spiegata nei confronti della società proprietaria medesima e del suo assicuratore straniero, domiciliati ex lege presso l’UCI. Tuttavia, diversamente da quanto dedotto dall’UCI, nella fattispecie i prossimi congiunti del T., come emerge dall’esame dell’originario atto Introduttivo (operabile in questa sede, stante il carattere processuale del vizio dedotto) hanno chiesto la condanna al risarcimento dei danni dell’UCI e degli altri convenuto, anche "in solido tra loro e ciascuno per i rispettivi titoli", senza mai menzionare nelle premesse in fato ed in diritto l’art. 2054 c.c. e notificando l’atto Introduttivo sia al conducente che all’assicurato presso l’UCI. La Corte territoriale, di fronte a tale domanda, ha ritenuto infondata l’eccezione d’inesistenza della notifica ai resistenti stranieri, essendo stato il ricorso Introduttivo ritualmente notificato sia al responsabile civile che alla compagnia straniera preso l’UCI, quale domiciliatario ex lege.
Ritiene la Corte che, in tale contesto, la censura dell’UCI – peraltro inidonea ex se ad inficiare la costituzione del rapporto processuale nei confronti dell’Ufficio ed inammissibile per difetto di interesse, in quanto la sua obbligazione solidale deriva dal ruolo di rappresentante degli interessi dell’assicuratore estero – non colga nel segno, neanche per i profili in cui delinea la questione dell’inesistenza della notificazione nei confronti degli altri soggetti, sia perchè con l’art. 126, comma 2, lett. b. Cod. assicurazioni, l’UCI assume nell’azione risarcitoria in questione la qualità di domiciliatario, non solo dell’assicurato e della sua assicurazione (come previsto dalla L. n. 990 del 1969, art. 6, comma 6) ma anche del responsabile civile, sia perchè, nel caso in esame, l’UCI non ha specificamente contestato i motivi posti dalla Corte d’appello alla base della ritenuta qualificazione della domanda introduttiva (Cass. a 5876/2011). Infatti, si deve ribadire che, in sede di legittimità, occorre tenere distinta l’ipotesi in cui si lamenti l’omesso esame di una domanda, o la pronuncia su una domanda non proposta, dal caso in cui si censuri l’interpretazione data dal giudice di merito alla domanda stessa: solo nel primo caso si verte propriamente in tema di violazione dell’art. 112 c.p.c., per mancanza della necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato, prospettandosi che il giudice di merito sia incorso in un error in procedendo, in relazione al quale la Corte di Cassazione ha il potere- dovere di procedere all’esame diretto degli atti giudiziali, onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini delle pronuncia richiestale; nel caso in cui venga invece in considerazione l’interpretazione del contenuto o dell’ampiezza della domanda, tali attività integrano un accertamento in fatto, tipicamente rimesso al giudice di merito, insindacabile in cassazione salvo che sotto il profilo della correttezza della motivazione della decisione impugnata sul punto (solo genericamente evocata nella censura in esame).
Senza contare che il sistema che prevede l’obbligazione solidale dell’UCI ed il suo ruolo di domiciliatario ex lege è previsto per semplificare lo svolgimento del processo e snellirne i tempi, in favore di tutte le parti che intervengono in esso, sicchè si rivela costituzionalmente coerente rispetto ai principi del giusto processo (art. 111 Cost.).
5.2. Il primo motivo del ricorso incidentale si rivela privo di pregio. Sul punto, la Corte territoriale ha affermato (v. precedente punto 2.a., sub A.1.), che l’UCI aveva formulato doglianze non congruenti con le motivazioni, condivise, che sorreggevano la decisione di primo grado; il primo giudice invero, dopo avere ricordato il contenuto della missiva raccomandata del 2/1/2008 inviata ai legali di controparte da Avus Italia (quale società delegata dall’UCI ad istruire stragiudizialmente il sinistro), aveva rilevato che "da tale raccomandata si desume che UCI richiedeva al legale dei ricorrenti documenti, cioè la procura in favore dello stesso legale,, non espressamente previsti dall’art. 148 Codice Assicurazioni ai fini della formulazione di offerte risarcitorie e, dunque, non rilevanti sotto il profilo della condizione di proponibilità dell’azione di risarcimento dei danni ex art 145 Codice Assicurazioni". L’appellante incidentale UCI, in violazione del disposto di cui all’art. 345 c.p.c. (recte: 342 c.p.c.) che impone la specificità dei motivi di gravame, non aveva censurato le argomentazioni della sentenza, in quanto si era limitato ad evidenziare come le missive raccomandate in data 24.1.2006 e 20.3.2007, inviate ad essa UCI dai legali delle controparti non contenessero "le informazioni previste dalla legge e come – con la missiva 28.2.2007- Avus Italia avesse richiesto al difensore degli odierni ricorrenti "copie delle deleghe per la trattazione e definizione del danno … unicamente nell’interesse dei "medesimi "in considerazione dell’entità del risarcimento".
Orbene, rispetto a tali argomentazioni, l’UCI avrebbe dovuto censurare un preteso error in procedendo, consistente nell’erronea valutazione della non specificità dell’appello in ordine all’esistenza ed all’idoneità della richiesta stragiudiziale di risarcimento ed avrebbe dovuto, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, riportare integralmente il tenore del motivo di appello incidentale formulato sul punto.
Avrebbe dovuto, comunque, anche riportare per esteso il tenore delle raccomandate della controparte, indicarle tra gli atti posti a fondamento del ricorso e fornire i dati necessari al reperimento di ciascuna di esse (da ultimo, cfr. Cass. S.U. 22726/2011). Invero, il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione va inteso in senso rigoroso, e deve essere rispettato, oltre che per consentire al giudice di legittimità di verificare la sussistenza di un eventuale difetto o carenza di motivazione, anche per consentirgli di verificare la presenza del vizio di violazione di legge (pur non propriamente dedotto nella specie); in particolare allorchè si controverta della scadenza di termini perentori e decadenziali, il ricorrente che censuri la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, quali quelle sullo spatium deliberandi e sull’idoneità degli atti di messa in mora, deve indicare anche gli elementi fattuali in concreto condizionanti gli ambiti di operatività della violazione. (Cass. n. 15910/2005 che ha ritenuto privo di autosufficienza il ricorso con cui il ricorrente rivendicava l’efficacia come atti interruttivi della prescrizione di due lettere raccomandate di cui non indicava esaustivamente il contenuto nè ne evidenziava in maniera certa gli estremi per valutarne la tempestività dell’esibizione).
Nella specie, il difetto di autosufficienza del motivo sussiste perchè, avendo ripetutamele i giudici del merito considerato idonei gli atti (raccomandate 24/1/2006 e 20/3/2007) con i quali i "danneggiati" reclamavano il risarcimento del danno rivolgendosi all’UCI s.c. a r.l. e scegliendo il foro italiano (legittimamente in base alla L. n. 218 del 1995. art. 4), la valutazione dell’idoneità costituisce questione di fatto, incensurabile in questa sede, e richiede l’allegazione, produzione, riproduzione e controllo dei documenti posti a base della censura.
La Corte territoriale, dal canto suo, ha fatto corretta applicazione della disposizione di cui all’art. 342 c.p.c. nella sentenza impugnata, con esatta percezione della portata di tale norma. Invero, il motivo di appello incidentale si rivelava carente dei minimi requisiti richiesti per la sua validità, dato che, conformemente al più recente orientamento di questa S.C, si deve ribadire che, nel giudizio di appello, che non è un novum iudicium, la cognizione del giudice resta circoscritta alle questioni dedotte dall’appellante attraverso specifici motivi e tale specificità esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logico- giuridico delle prime, non essendo le statuizioni della sentenza superabili dalle argomentazioni che le sorreggono. Ne consegue che nell’atto di appello alla parte volitiva deve sempre accompagnarsi, una parte argomentativa, che confuti e contesti le ragioni addotte dal primo giudice, al qual fine non è sufficiente che l’atto di appello consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate, ma è altresì necessario che le ragioni su cui si fonda il gravame siano esposte con sufficiente grado di specificità, da correlare peraltro con la motivazione della sentenza impugnata (cfr., tra le molte, Cass. 13 aprile 2010, n. 8771, in motivazione;
18.4.2007, n 9244; 31.5.2006 n. 12984). L’esame dell’atto di appello incidentale proposto dall’odierno ricorrente incidentale, che questa Corte ha il potere di compiere, essendo stato sostanzialmente prospettato un error in procedendo (Cass. 15.01.2009, n. 806;
13.09.2006, n. 19661), consente di rilevare che esso non permetteva d’individuare i motivi che contrastassero l’iter logico-argomentativo del primo giudice: l’appellante, dopo aver riproposto le medesime argomentazioni svolte in primo grado e richiamato il contenuto di alcune delle missive scambiate con i danneggiati in sede stragiudiziale ha illustrato il motivo di appello incidentale, affermando che la motivazione della sentenza di primo grado era erronea e superficiale nel rigetto dell’eccezione preliminare, senza specificare perchè sarebbe stata erroneamente ritenuta sussistente ed idonea la messa in mora e senza che altro fosse puntualmente argomentato per supportare la richiesta di riforma delle sentenza di primo grado sul punto. E’ evidente, quindi, che nel caso in esame, correttamente la Corte di Appello di Milano ha ritenuto a torto eccepita l’improcedibilità dell’atto introduttivo del giudizio in quanto, una simile esposizione del motivo di appello incidentale era assolutamente inidonea a soddisfare la specificità richiesta dall’art. 342 c.p.c., poichè l’indeterminatezza del mezzo si rivelava tale da non consentire all’appellante principale lo svolgimento di una difesa completa ed adeguata.
5.3. Infondato è anche il terzo motivo del ricorso incidentale. Pure in questo caso, si rivela decisivo il carattere dell’azione promossa nei confronti dell’UCI ed il ruolo da questi assunto nella causa in questione.
Rispetto alla domanda risarcitoria spiegata dai danneggiati, l’Ufficio si presenta quale garante ex lege, che, in tal modo, ha azione di rivalsa nei confronti della compagnia straniera (Cass. 25.9.2009 n. 20667. v. anche Cass. 3.6.1996 n. 5078, entrambe in motivazione). Quindi, l’UCI, non è solo un domiciliatario ex Lege, ma anche legittimato passivo diretto (art. 126, comma 4, lett. e, Cod. assicurazioni) e, sul piano sostanziale, garante ex Lege, tenuto in forza di un’obbligazione propria, che si aggiunge a quella dell’assicuratore straniero, nei confronti del quale potrà eventualmente agire in rivalsa. L’obbligazione risarcitoria dell’UCI nei confronti dei danneggiati si basa sul rapporto obbligatorio che si costituisce, in forza della convenzione tra i bureaux nazionali e poi della legge nazionale (nell’ipotesi, artt. 125 e 126 Cod. assicurazioni). Ciò significa che, nella specie, non ricorrono i presupposti per l’applicazione della L. n. 218 del 1995, art. 62, comma 2 perchè, pur avendo il fatto illecito coinvolto cittadini di un medesimo Stato (la Romania) ed in esso residenti, l’obbligazione dedotta nel presente giudizio trova la sua origine in un rapporto di natura legale, con conseguente applicazione della lex loci facti, individuata a norma della medesima L. n. 218 del 1995, art. 61 (così corretta e precisata la motivazione sul punto dell’impugnata sentenza). Senza contare che la fattispecie deve ritenersi regolata per la gran parte – inclusa la determinazione dell’ammontare del risarcimento, che sembra la questione sottesa a tutto quanto eccepito nel terzo e quarto motivo del ricorso incidentale – da norme di "applicazione necessaria", operanti, cioè, nonostante il richiamo della legge straniera (L. n. 218 del 1995, art. 17). Infatti, le previsioni contenute negli artt. 125 e 126 del Cod. assicurazioni (D.Lgs. n. 209 del 2005), circa l’obbligo di assicurazione per gli autoveicoli con targa estera che circolano in Italia e gli obblighi in capo all’UCI in caso di incidente in Italia causato da tali veicoli, presentano i connotati delle norme di applicazione necessaria, quanto meno nel senso che sono chiare le condizioni in presenza delle quali si applicano e i termini della loro disciplina, sia per l’an che per il quantum (rivelandosi opinabile e priva di fondamento giuridico e dogmatico la tesi della Corte territoriale, che distingue tra an e quantum del risarcimento ai fini internazionalprivatistici). Sussistendo le indicate condizioni, si rivela inutile ricorrere alle norme di diritto internazionale privato per avere indicazioni sul diritto applicabile. Invero, in casi del genere, non vengono in rilievo le "norme di conflitto", perchè assorbite dai meccanismi convenzionali internazionali, (sia pure, nell’ipotesi, di origine non statale, ma riconosciuti e caldeggiati dalla Decisione 2003/564/CE, che ha recepito la Convenzione di Rethymno del 2002, intrinsecamente strumento negoziale di diritto privato, concluso tra gli Uffici nazionali: Corte giust. 12.11.1992 causa 73/89), che sono direttamente recepiti dalla norme interne del Codice delle Assicurazioni ora citate, le quali vanno considerate di applicazione necessaria, proprio perchè rivolte naturalmente a regolare casi internazionali. Senza contare che la richiesta di cui al terzo motivo del ricorso incidentale è in stridente contrasto con lo scopo del "sistema della carta verde", che è, espressamente, quello "di facilitare la circolazione internazionale dei veicoli a motore permettendo che l’assicurazione di responsabilità civile relativa al loro uso risponda ai criteri imposti dal paese visitato e, quando accade un incidente, di garantire il risarcimento delle persone danneggiate conformemente alla legislazione di questi paesi" (considerando 4.a. del Regolamento generale dei bureaux, App. 1 alla Convenzione 30 maggio 2002, trasfusa nella Decisione 2003/564/CE, cit.), con chiaro riferimento, quindi, all’applicabilità – ed al reciproco riconoscimento – della legge del Paese visitato in cui si è verificato l’incidente.
Pertanto, oltre alle norme sulla circolazione dei veicoli del luogo di decadimento del sinistro stradale, alle quali il giudizio sull’ari va ragguagliato, devono considerarsi di applicazione necessaria – per restare alla fattispecie oggetto del presente giudizio – anche le regole sui presupposti ed i limiti di operatività della garanzia offerta dall’UCI secondo la legislazione dell’ordinamento territoriale, di cui lo straniero viene ad avvalersi. Ovviamente, le questioni relative al diritto al risarcimento (presunzioni di responsabilità, categorie di danni risarcibili, onere della prova ecc), nei rapporti danneggiato/danneggi ante – non agitate in questa sede – potrebbero restare disciplinate, ricorrendone i presupposti, della L. n. 218 del 1995, ex art. 62, comma 2. 5.4. Infondata si rivela anche la quarta censura di cui al ricorso incidentale. L’UCI, in sostanza, sostiene che il risarcimento del danno non patrimoniale (e tale è, ovviamente, il danno biologico) non avrebbe la funzione di ricostituire il bene perduto, ma solo quella di offrire alla vittima delle utilità alternative, in grado di compensare la sofferenza patita. Di conseguenza, nella aestimatio del danno dovrebbe tenersi conto della realtà economica e sociale in cui vive il danneggiato, per adeguare il potere d’acquisto della valuta in cui viene effettuata la liquidazione a quello del Paese di residenza della vittima. Il criterio della realtà socioeconomica ove vive il danneggiato – pur condiviso da una decisione di questa Corte, che ha ritenuto "non errato" tenerne conto nella liquidazione del danno non patrimoniale da morte del congiunto (Cass. n. 1637 del 2000) – non appare fondato in diritto. Nella liquidazione del danno non patrimoniale, il giudice deve procedere con valutazione equitativa, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto (Cass. 10996/2003; 8599/2001; 4733/2001; 4801/1999; 1474/1996). La fattispecie astratta dell’"illecito aquiliano" si compone di tre elementi essenziali, costituiti dalla condotta illecita (colposa o dolosa), dal danno e dal nesso causale tra la prima ed il secondo.
Questi sono, dunque, i tre elementi le cui circostanze sono suscettibili di incidere sulla aestimatio del danno; mentre il luogo dove il danneggiato abitualmente vive, e presumibilmente spenderà od investirà il risarcimento a lui spettante, è invece un elemento esterno e successivo alla fattispecie dell’illecito, un posterius, come tale ininfluente sulla misura del risarcimento del danno.
Inoltre, con specifico riferimento alla fattispecie in esame – il criterio invocato si rivela in palese antinomia con la ratio della disciplina, che pone come limite della garanzia legale prestata dall’ICI i massimali minimi italiani e quelli della polizza straniera solo se maggiori, così garantendo uno standard minimo per tutti i danneggiati nel territorio italiano, senza distinzioni di sorta.
Infatti, come si è visto in tema di legge applicabile, è la stessa "natura sovrannazionale" (accordo privatistico tra i bureaux, trasfuso nella decisione comunitaria del 2003 e recepito nelle norme nazionali degli Stati aderenti) del diritto al risarcimento, da parte dell’UCI, del cittadino di un altro Stato aderente al sistema. Con la conseguenza che anche risarcimenti eventualmente non proporzionati ai livelli di vita nei vari paesi sono giustificabili alla luce del meccanismo di riconoscimento (e di fiducia) reciproco dei sistemi di risarcimento nazionali, individuato e supportato dalla Decisione CE del 2003 (ragione per la quale ciascuno Stato aderente al sistema accetta l’applicazione della legge dell’altro in tema di liquidazione dei danni).
Ne deriva che la sollevata questione di legittimità costituzionale – al di là della sua generica formulazione e della sua inammissibilità, posto che potrebbe provvedere direttamente il giudice investito della domanda a valutare l’applicabilità del criterio secondo cui l’entità del risarcimento tenga conto della realtà socio economica in cui il danneggiato vive (come dimostra quanto sopra osservato) – è manifestamente infondata, perchè la prospettata ricostruzione di limiti al risarcimento si pone in contrasto con la disciplina comune europea, che tutela il diritto inviolabile della salute e della vita, pur lasciando agli Stati la determinazione del neminem leadere nella reintegrazione delle lesioni relative a fondamentali diritti umani. Infatti, nell’ipotesi, "entrano in gioco esigenze di carattere internazionale, che il legislatore, nella sua discrezionalità, può ritenere prevalenti" (v. Corte Cost. ord. n. 428 del 2000), quali quella di assicurare l’operatività del sistema di reciproco riconoscimento dei vincoli assicurativi e dei risarcimenti in parola, senza che sia configurabile, pertanto, alcuna disparità di trattamento. Si rivela, infine, inammissibile – in quanto non collegata ad alcuna censura inquadrabile nella tipologia di cui all’art. 360 c.p.c., nè specificamente riferita alla sentenza impugnata – la conclusione di merito di cui al ricorso incidentale, con cui l’UCI chiede, senza ulteriori puntualizzazioni, di essere dichiarato tenuto al risarcimento nei limiti del massimale residuo.
6.1. Passando all’esame del ricorso principale, si rivela fondato il primo profilo di censura del primo motivo.
Il valore del punto da porre a base della liquidazione è quello vigente al momento della liquidazione, in quanto il risarcimento deve avvenire con le regole vigenti al momento della aestimatio (a nulla rilevando l’epoca del danno). Ciò in applicazione di un risalente ed incontrastato principio, reiteratamente affermato con riferimento alle più diverse fattispecie (Cass. pen. sez. un., 09-05-2001, imp. Caridi, la quale ha ritenuto che nella liquidazione della riparazione per ingiusta detenzione debba trovare applicazione il "massimale" vigente all’epoca della liquidazione, anche quando la custodia cautelare sia stata sofferta in epoca antecedente all’entrata in vigore di esso; Cass., 20-08-1991, n. 8965, secondo cui nella liquidazione del danno patrimoniale futuro da riduzione della capacità di guadagno occorre porre a base del calcolo il reddito della vittima al momento della liquidazione, e non quello (minore) percepito al momento del sinistro).
Lamentano i danneggiati la sottovalutazione del danno, in quanto, pur essendo la decisione del 25 giugno 2009, le tabelle attuariali applicate dalla Corte di appello in detto momento, sono quelle del 2008, senza tener conto della nuova elaborazione delle stesse operata a partire dal 22 maggio 2009, non tenendo conto, quindi, dell’incremento degli importi nel frattempo rilevati.
Sussiste pertanto, il dedotto errore di diritto, poichè il credito da illecito è credito di valore, e la natura del danno non patrimoniale è di menomazione permanente, onde la parte lesa ha diritto al risarcimento integrale del danno reale, ai valori attuali, specie quando i responsabili civili e l’assicurazione ritardino il pagamento. Proprio in considerazione degli efficienti calcoli matematici e delle periodiche rivalutazioni delle tabelle attuariali della sede giudiziaria milanese, che operano la trasformazione del danno biologico in equivalente economico, non può essere indifferente alla valutazione, sia pure equitativa, della Corte territoriale l’applicazione di calcoli aggiornati, specie se il mancato adeguamento determina una sensibile minore quantificazione del danno che nella specie è grave (Cass. n. 5795 del 2008, in motivazione), essendo relativo alla morte di familiare, e che ammonta quantitativamente a circa il 30 per cento.
6.2. Sono, invece, manifestamente infondati il secondo profilo di cui al primo motivo, che lamenta la liquidazione al minimo del danno morale, senza personalizzazione, ed il terzo motivo, secondo cui vi sarebbe error in indicando per omessa liquidazione del danno patrimoniale futuro, in relazione al venir meno del contributo al mantenimento della vedova e dei due figli (di venti e di ventuno anni), non avendo la Corte applicato neanche il parametro del triplo della pensione sociale. Infatti, le censure sono assolutamente generiche e non forniscono alcun elemento idoneo a contrastare la congrua e corretta motivazione della Corte territoriale, che ha ritenuto che i danneggiati non avessero fornito alcun elemento in ordine alle circostanze a base dell’invocata personalizzazione (secondo profilo del primo motivo: v. precedente punto 2.e), nè degli elementi in ordine alìan del danno patrimoniale futuro (precedente punto 2.d.), indefettibile presupposto per la liquidazione in via equitativa dello stesso. Si deve, invero, ribadire che, in caso di lesione di un diritto fondamentale della persona, la regola, secondo la quale il risarcimento deve ristorare interamente il danno subito, impone di tenere conto dell’insieme dei pregiudizi sofferti, purchè sia provata nel giudizio l’autonomia e la distinzione degli stessi, dovendo il giudice provvedere all’integrale riparazione secondo un criterio di personalizzazione del danno (Cass. n. 9238/2011). Nell’accertamento e nella liquidazione dei danni spettanti ai congiunti a seguito della morte di una persona del ristretto cerchio familiare, causata da un sinistro stradale, nella liquidazione del danno patrimoniale non si può utilizzare il criterio previsto dal D.L. n. 857 del 1976, art. 4 (reddito più elevato fra quelli dichiarati nell’ultimo triennio ai fini dell’imposta sul reddito), trattandosi di disposizione speciale relativa alla persona che ha subito direttamente il danno, quindi inapplicabile analogicamente, mentre va tenuto conto del reddito della vittima al momento del sinistro e dei probabili incrementi futuri connessi al favorevole sviluppo della sua attività da valutare con un apprezzamento anticipato e seguendo il criterio dell’id quod plerunque accidit (Cass. n. 3758/2007), ma è ovviamente onere dei congiunti istanti allegare e provare che il parente deceduto avrebbe verosimilmente contribuito ai bisogni della famiglia, fornendo la relativa prova sulla scorta di apposite circostanze di fatto collegate al caso di specie (Cass. n. 1817772007), nell’ipotesi non dedotte.
6.3. E’ infondato anche il terzo motivo del ricorso principale. Il Tr. non si è limitato a sostenere le domande e le ragioni dei T. ed ha agito anche in proprio, assumendo un’attiva posizione di contrasto nei confronti dell’UCI e restando soccombente.
Decidendo nel senso contestato con detto mezzo, la Corte territoriale ha fatto buon governo dei canoni consolidati in tema di applicazione del criterio della soccombenza ai fini del governo delle spese di lite.
7. Pertanto, va accolto il primo profilo del primo motivo del ricorso principale; respinto ogni altro mezzo del ricorso principale e di quello incidentale. Cassa la sentenza impugnata, in relazione al profilo di censura accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, che provvederà a nuova determinazione dell’importo del risarcimento alla luce di quanto stabilito al punto 6.1. ed alla pronuncia in ordine alle spese anche relativamente a quelle del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il primo profilo del primo motivo del ricorso principale, respinta ogni altra censura di cui allo stesso ed al ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata, in relazione al profilo di censura accolto e invia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 5 aprile 2012.
Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2012
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