Cass. civ. Sez. I, Sent., 18-05-2012, n. 7917 Prezzo Revisione dei prezzi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – La Ferrero Attilio Costruzioni spa, aggiudicatasi la gara d’appalto a licitazione privata indetta dalla Comunità montana Alta Val Tanaro, Mongia e Cevetta per la realizzazione delle canalizzazioni e dell’impianto di depurazione del Comune di (OMISSIS), convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Mondovì, le due Comunità montane Alta Val Tanaro e Valli Mongia, Cevetta e Langa Cebana (nelle quali la prima si era scissa) e ne chiese la condanna al pagamento del corrispettivo determinato nell’importo in L. corrispondente a Euro 304.299,62, oltre interessi, secondo il metodo del cosiddetto prezzo chiuso previsto nel contratto e consistente nel prezzo del lavoro al netto del ribasso d’asta, aumentato del 5% per ogni anno intero previsto per l’ultimazione dei lavori. Le due Comunità montane si costituirono chiedendo di dichiarare nulla la clausola di cui all’art. 9 che prevedeva il prezzo chiuso o di annullarla, in quanto sottoscritta dal presidente della Comunità senza un formale atto deliberativo dell’organo collegiale competente (la Giunta); in subordine, di determinarlo in misura inferiore, corrispondente a Euro 161.151,59, e di rigettare la domanda attorea di pagamento degli interessi moratori per il periodo successivo all’offerta, da giudicare valida, effettuata il 20 novembre 1998 dalla disciolta Comunità montana Alta Val Tanaro, Mongia e Cevetta, mediante deposito, ai sensi dell’art. 1210 c.c..

2.- Il tribunale adito, con sentenza del 31 marzo 2007, condannò le Comunità a pagare l’importo di Euro 203.326,52, oltre interessi, compensando parzialmente le spese di lite. Il tribunale ritenne che un difetto di legittimazione del presidente della Comunità montana a sottoscrivere la clausola controversa avrebbe potuto causare, in ipotesi, un vizio determinante l’annullabilità del contratto ad iniziativa esclusiva dell’ente pubblico da far valere nel termine quinquennale di prescrizione, con la conseguenza che, in mancanza, il contratto spiegava tutti i suoi effetti; inoltre applicò il metodo globale quale sistema di calcolo del prezzo chiuso, ritenne dovuti gli interessi moratori e giudicò l’offerta di pagamento formulata dalla Comunità inidonea ad interrompere gli effetti della mora del debitore.

3.- La Corte di appello di Torino, con sentenza del 25 novembre 2009, ha rigettato l’appello principale proposto dalle due Comunità montane e l’appello incidentale dell’appaltatrice, compensando integralmente le spese del grado.

5.- Avverso la predetta sentenza la Comunità montana Alto Tanaro Cebano Monregalese, subentrata alle due Comunità appellanti, propone ricorso per cassazione in via principale affidato a cinque motivi; la società appaltatrice ricorre in via incidentale.

Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo la ricorrente ravvisa, nella sentenza impugnata, violazione e falsa applicazione degli artt. 1441 e 1442 c.c., per avere ritenuto deducibili soltanto dall’amministrazione committente, ai fini dell’annullamento del contratto, i vizi concernenti la formazione della volontà della pubblica amministrazione, in particolare con riguardo alla clausola contrattuale che prevedeva il ricorso all’istituto del prezzo chiuso in difformità rispetto alla previsione del capitolato speciale d’appalto che invece lasciava all’amministrazione committente la facoltà di provvedere alla revisione prezzi, con conseguente erronea conferma della sentenza di primo grado che aveva dichiarato prescritta l’azione di annullamento non proposta dal soggetto legittimato. Ciò sarebbe contrario al principio secondo cui il difetto di legittimazione dell’organo stipulante non si traduce in un semplice difetto di capacità negoziale, ma è causa di caducazione automatica del contratto stipulato dalla pubblica amministrazione, allo stesso modo in cui lo è l’annullamento dell’aggiudicazione.

1.1- Il motivo è inammissibile.

E’ principio costante che, ove la sentenza di merito, impugnata in sede di legittimità, sia sorretta da plurime rationes decidendi, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, il ricorso deve rivolgersi contro tutte: l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza che resterebbe ferma in quanto fondata sulle ragioni non censurate (Cass, n. 22753/2011, n. 13070/2007, n. 12372/2006, n. 16602/2005).

La sentenza impugnata ha ritenuto inattaccabile la clausola (art. 9) del contratto stipulato il 28 settembre 1992 che aveva stabilito il metodo del cosiddetto prezzo chiuso (superando la diversa previsione contenuta nel capitolato speciale, il quale, nel novembre 1990, riconosceva all’amministrazione appaltante la facoltà di procedere alla revisione dei prezzi, medio tempore soppressa dal D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 3 conv., con modif., nella L. 8 agosto 1992, n. 359) per una duplice ratio decidendi: quella, qui censurata dalla Comunità ricorrente, riguardante l’asserito difetto di capacità negoziale della medesima, con i conseguenti riflessi sul piano della annullabilità o inefficacia della clausola contrattuale; e quella contenuta nell’affermazione che "il doppio annullamento giurisdizionale dell’atto di annullamento della clausola contrattuale n. 9 da parte della Comunità, ha determinato l’effetto della piena validità di essa, rimasta indenne dai tentativi di eliminazione effettuati". In tal modo la Corte di appello ha fatto riferimento, invero, a due vicende narrate dalle parti: in una il Coreco aveva annullato due deliberazioni con cui la Comunità montana aveva annullato la suddetta clausola contrattuale e, in un’altra, il giudice amministrativo (con sentenza del Tar Piemonte 26 giugno 1997 n. 467) aveva annullato la determinazione della Comunità di non riconoscere all’appaltatrice il corrispettivo previsto dalla medesima clausola. Questa seconda ratio decidendi non è stata specificamente censurata dalla ricorrente e ciò rende inammissibile il motivo.

Inoltre, che il corrispettivo dovesse determinarsi secondo la modalità del prezzo chiuso risulta dal giudicato interno, che è rilevabile d’ufficio in sede di legittimità, costituito dalla sentenza parziale d’appello (20 ottobre 2006 n. 1654), il cui contenuto è stato illustrato dalle parti, con cui la medesima Corte torinese, confermando la impugnata sentenza parziale del tribunale, ha in tal modo interpretato la controversa clausola n. 9 del contratto.

2.- Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1363 e 1366 c.c. e della L. 28 febbraio 1986, n. 41, art. 33, comma 4, (applicabile nella fattispecie ratione temporis), per avere calcolato il prezzo chiuso secondo il metodo globale, anzichè a scalare, sull’importo dei lavori ancora da eseguire per ogni anno intero previsto per l’ultimazione dei lavori, come invece avrebbe previsto il legislatore successivo (L. 11 febbraio 1994, n. 109, art. 26, comma 4, e del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, art. 133, comma 3) in modo asseritamente più adeguato alle finalità proprie dell’istituto del prezzo chiuso, così male interpretando la clausola contrattuale.

2.1- Il motivo è infondato.

Al fine di ridimensionare la valenza meramente negoziale attribuita dalla ricorrente alla predetta clausola, è opportuno ribadire quanto già affermato da questa Corte nel senso che la norma posta dalla citata L. del 1986, prevedendo una opzione per il sistema del prezzo fisso con percentuale di incremento e tempi di operatività predeterminati, esplicita essa stessa una valutazione legislativa circa il parametro di contemperamento tra diritti dell’appaltatore ed esigenze del committente; che pertanto l’alternativa è tra due discipline legali, quella della revisione del prezzo e quella del prezzo chiuso, sì che, escludendosi la prima, si finisce per ricadere nella seconda "secondo un percorso disegnato in modo vincolante dalla legge", con conseguente imperatività delle disposizioni regolanti percentuale e tempi dell’incremento del prezzo chiuso, una volta che tale sistema sia stato scelto, posto che la diretta ed espressa previsione legale "di per sè attesta l’intento del legislatore di sottrarre all’autonomia negoziale gli effetti della scelta medesima, una volta che sia presa" (Cass. n, 13488/2002, n. 10850/2003).

L’istituto del prezzo chiuso è stato introdotto dalla L. n. 41 del 1986, art. 33, comma 4, dapprima abrogato dalla L. 23 dicembre 1992, n. 498, art. 15, comma 5, poi reintrodotto dall’art. 26, comma 4 (applicabile solo ai contratti stipulati o affidati a decorrere dalla data di entrata in vigore) della L. n. 109 del 1994, succ. mod. e integr., e infine riprodotto nel D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 133, comma 3, anche se in forma anomala rispetto alla configurazione primitiva (cioè in misura corrispondente al prezzo dei lavori al netto del ribasso d’asta aumentato di una percentuale, fissata annualmente con decreto ministeriale, da applicarsi nella misura eccedente la percentuale del 2 per cento pari all’eventuale differenza tra il tasso di inflazione reale e il tasso di inflazione programmato nell’anno precedente).

La giurisprudenza di questa Corte (a partire dalla sentenza n. 4181/1997, confermata dalla n. 4547/1998) ha ritenuto che:

– l’istituto della revisione prezzi tende a ristabilire l’iniziale equilibrio economico fra le prestazioni, ovvero il rapporto sinallagmatico tra prestazione dell’appaltatore e controprestazione dell’amministrazione, adeguando il corrispettivo alle variazioni dei prezzi di mercato qualora superino la soglia prevista dall’alea contrattuale ed annullando così gli effetti della sopravvenuta onerosità della prestazione a carico di una delle parti;

– l’istituto del prezzo chiuso, invece, è volto alle finalità di assicurare alla pubblica amministrazione beni e prestazioni alle migliori condizioni nonchè di soddisfare l’esigenza della certezza dell’impegno finanziario e di risanare le finanze pubbliche, soprattutto nei periodi in cui la dinamica inflazionistica risulti accentuata e conseguentemente foriera di effetti revisionali particolarmente onerosi;

– esso è ispirato ad un meccanismo di rivalutazione del tutto diverso (ed in questo senso derogatorio) rispetto a quello della revisione prezzi, secondo il criterio di un’alea convenzionale forfetizzata per entrambi i contraenti, mediante un sistema di automatico computo degli aumenti sganciato da un preciso collegamento con l’inflazione reale.

La Corte, nella sentenza n. 17199/2003, ha ribadito che il sistema del prezzo chiuso "soddisfa l’esigenza di predeterminazione dell’impegno finanziario assunto dalla p.a., garantita grazie al criterio dell’alea convenzionale, forfetizzata per entrambi i contraenti, in virtù di un sistema di computo automatico degli aumenti, sganciato dal collegamento con l’inflazione reale e caratterizzato dalla predeterminazione ex ante degli incrementi di costo; conseguentemente, qualora il contratto di appalto preveda l’applicabilità del prezzo chiuso, allo stesso non è applicabile la disciplina in materia di revisione dei prezzi". Inoltre, "tenuto conto del rilievo secondo cui il cinque per cento annuo rappresenta sostanzialmente una previsione convenzionale di indicizzazione del prezzo dell’appalto in relazione al tempo fissato per il compimento dei lavori", la Corte, nella medesima sentenza poc’anzi richiamata, ha stabilito che "la relativa maggiorazione va quindi applicata, per un verso, tenendo conto dell’intera durata contrattualmente prevista per l’ultimazione dei lavori medesimi, nonchè, per altro verso, prendendo a base il prezzo (intero) dei lavori anzidetti al netto del ribasso d’asta, ovvero senza applicare il metodo cosiddetto a scalare (il quale consiste nel calcolare l’aumento del cinque per cento, per il primo anno, sul valore complessivo del contratto e, per gli anni successivi, sul valore residuo dei lavori ancora da eseguire, non computando nel conteggio annuale le somme già corrisposte all’imprenditore per le prestazioni effettuate), ma semplicemente moltiplicando l’importo netto dei richiamati lavori di tanti cinque per cento per quanti sono gli anni previsti per i lavori medesimi (così che l’aumento percentuale in parola venga ad incidere su tutto il corrispettivo contrattuale entrando a far parte dello stesso), anche in ragione del fatto che la diversa formula dell’interesse composto (capitalizzazione del primo cinque per cento in occasione del computo del cinque per cento del secondo anno) appare contraria al principio generale del nostro ordinamento secondo cui gli interessi non sono produttivi di interessi (artt. 1282 e 1283 c.c..)".

Alla suddetta interpretazione della disciplina del prezzo chiuso si deve dare continuità, non essendo stati forniti elementi che consentano fondatamente di seguire il metodo di calcolo a scalare.

3.- Con il terzo motivo si deduce violazione della L. n. 41 del 1986, art. 33, comma 4, nonchè contraddittorietà della motivazione per avere ritenuto che il sistema del prezzo chiuso introduca un meccanismo per cui il prezzo è fissato ex ante, cioè fin dalla stipulazione del contratto, allo stesso tempo però individuando l’importo contrattuale di riferimento in quello liquidato nel conto finale, cioè comprensivo dei lavori previsti in perizia di variante.

La base di calcolo dovrebbe essere individuata, invece, nel prezzo posto a base d’asta al netto del ribasso offerto in sede di gara dall’impresa aggiudicataria, con esclusione dei maggiori importi riconosciuti a seguito della variante suppletiva, ancorchè si tratti di appalto a misura.

3.1- Il motivo è infondato.

La tesi della ricorrente non è giustificata alla luce della lettera della L. n. 41 del 1986, art. 33, comma 4, che si limita a individuare il prezzo chiuso in quello "del lavoro al netto del ribasso di asta, aumentato del 5 per cento per ogni anno intero previsto per l’ultimazione dei lavori".

In effetti, poichè il corrispettivo cui si applica il meccanismo revisionale in questione è quello contrattuale, non v’è ragione di non comprendere in questo anche le successive variazioni intervenute legittimamente in corso di rapporto. Se ne ha conferma nel rilievo che l’obbligo dell’appaltatore di eseguire i lavori aggiuntivi nel limite di un quinto del prezzo dell’importo dell’appalto ha una base legale (L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, art. 344 e D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 14, comma 1,) avente valore integrativo del contratto (art. 1374 c.c.), come si desume dalla previsione secondo cui "l’importo dell’appalto è formato dalla somma risultante dall’aggiudicazione o dal contratto, aumentata dell’importo degli atti di sottomissione per varianti o lavori suppletivi quando non sia pattuito diversamente…" (D.P.R. cit., art. 14, comma 6). Pertanto, come correttamente rilevato dai giudici di appello, "il prezzo effettivo finale costituisce il prezzo contrattuale pattuito ab origine".

Ciò vale anche negli appalti a misura nei quali solo a posteriori è possibile conoscere le quantità cui rapportare i prezzi unitari pattuiti, cioè al momento della conclusiva determinazione del direttore dei lavori. Sebbene il principio della invariabilità dei prezzi valga anche per questa categoria di appalti (la L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 326, comma 3, stabilisce che "per l’esecuzione loro sono fissati nel capitolato di appalto prezzi invariabili per unità di misura e per ogni specie di lavoro"), la somma prevista in contratto può variare non solo in più ma anche in meno (Cass. n. 24303/2011), in rapporto alla quantità effettiva delle opere eseguite (nella terminologia dell’attuale D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, art. 53, comma 4, "per le prestazioni a misura, il prezzo convenuto può variare, in aumento o in diminuzione, secondo la quantità effettiva della prestazione"). E’ una conclusione coerente con la ratio dell’istituto configurato dal legislatore del 1986 che, oltre ad essere di contenimento della spesa pubblica, è anche di realizzare un meccanismo di rivalutazione automatica del credito avente ad oggetto un corrispettivo che è necessariamente unitario, senza possibilità di distinguerne la fonte genetica (nel contratto o in atti aggiuntivi), al fine di mantenere inalterato nel tempo il potere di acquisto della moneta.

Deve quindi ritenersi che, negli appalti di opere pubbliche, ai fini della determinazione del cosiddetto prezzo chiuso, così come disciplinato dalla L. n. 41 del 1986, art. 33, comma 4, (applicabile ratione temporis), "consistente nel prezzo del lavoro al netto del ribasso di asta, aumentato del 5 per cento per ogni anno intero previsto per l’ultimazione dei lavori", nel caso in cui il prezzo abbia subito una maggiorazione in corso di rapporto per effetto di valide perizie di varianti, se ne deve tenere conto secondo il sistema di calcolo globale.

4.- Con il quarto motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1224 c.c., della L. 10 dicembre 1981, n. 741, art. 4 e del D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, artt. 35 e 36 per avere la sentenza impugnata riconosciuto sull’importo dovuto a titolo di prezzo chiuso, anzichè gli interessi legali, quelli moratori stabiliti annualmente con decreto ministeriale, in mancanza di una previsione di legge o di una specifica pattuizione contrattuale. Infatti, il richiamo contenuto nel capitolato speciale d’appalto al capitolato generale di cui al D.P.R. n. 1063 del 1962 non consentirebbe l’applicazione degli interessi moratori ex artt. 35 e 36 in caso di ritardo nel pagamento del compenso revisionale a titolo di prezzo chiuso, trattandosi di norme insuscettibili di interpretazione analogica.

4.1- Il motivo è infondato.

E’ principio consolidato che il capitolato generale d’appalto per le opere pubbliche, approvato con D.P.R. n. 1063 del 1962, ha valore normativo vincolante soltanto per gli appalti stipulati dallo Stato e non per quelli stipulati dagli altri enti pubblici, tranne quando l’applicabilità dello stesso sia prevista da espressa e specifica disposizione di legge o le parti lo abbiano espressamente richiamato per regolare il singolo rapporto contrattuale, nel quale ultimo caso le previsioni del capitolato costituiscono clausole negoziali, operanti per volontà pattizia, e assumono efficacia obbligatoria nei limiti in cui le parti le abbiano richiamate per regolare il rapporto contrattuale (Cass. n. 3648/2009, n. 17635/2007, n. 6100/2006).

L’art. 56 del capitolato speciale d’appalto, il cui testo è stato riprodotto in ricorso, prevedeva "l’esatta osservanza di tutte le condizioni stabilite dal Capitolato generale per gli appalti delle opere dipendenti dal Ministero dei Lavori Pubblici approvato con D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 in tutto ciò che non sia in opposizione alle condizioni espresse nel presente Capitolato".

Stabilire se in tale disposizione negoziale sia implicito il richiamo anche alle norme di cui agli artt. 35 e 36 sugli interessi, involge una questione di interpretazione negoziale della medesima clausola, che è attività riservata al giudice di merito e non specificamente censurata quanto ad adeguatezza e logicità della motivazione (v. sul punto Cass. n. 4036/2003).

5.- Con il quinto motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., degli artt. 1206, 1208, 1219 e 1220 c.c., avendo la Corte di appello erroneamente ritenuto generica la censura mossa alla sentenza di primo grado, mentre la società appaltatrice, nell’atto di appello, aveva specificamente individuato l’errore del tribunale nell’avere escluso l’interruzione degli effetti della mora del debitore sul presupposto che l’offerta non avesse i requisiti prescritti dalla legge per la costituzione in mora del creditore, in tal modo confondendo l’istituto di cui all’art. 1206 c.c. con quello di cui all’art. 1220 c.c.. Inoltre, sebbene l’offerta non formale della Comunità montana in data 28 novembre 1998 fosse seria e per un importo (corrispondente a Euro 161.151,58) determinato secondo il metodo a scalare allora generalmente condiviso, la sentenza impugnata l’aveva erroneamente giudicata inidonea a interrompere la mora del debitore, anche perchè non specificava le singole voci che la componevano. Alla società, pertanto, dovevano essere riconosciuti gli interessi legali soltanto per il periodo dal 26 giugno 1994 al 20 novembre 1998. 5.1- Il motivo è infondato.

I giudici d’appello, con motivazione non specificamente censurata dalla ricorrente, hanno giustificato la conclusione raggiunta in considerazione della natura transattiva della somma offerta e della sua oggettiva inferiorità rispetto a quella dovuta. E’ una decisione conforme a diritto. L’offerta non formale è, infatti, idonea ad escludere la mora del debitore solo se tempestiva, seria e completa:

l’offerta di una somma inferiore a quella pattuita o comunque dovuta non produce l’effetto previsto dall’art. 1220 c.c. di escludere la mora del debitore (Cass. n. 11878/1993, n. 2283/1991) e l’indagine circa la sussistenza o meno di tali elementi è riservata al giudice di merito, il cui accertamento è insindacabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato (Cass. n. 4449/1981, n. 4896/1979).

6. Il ricorso incidentale della Ferrero Attilio Costruzioni è articolato in due motivi.

Con il primo la società appaltatrice deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 41 del 1986, art. 3, comma 4, nonchè insussistenza e contraddittorietà della motivazione per non avere il giudice di appello, ai fini della maggiorazione del prezzo, tenuto conto dei periodi di sospensione dei lavori disposti tra il 1992 e il 1994, tanto più che la sospensione relativa ad un periodo (dal 7 settembre 1992 all’8 agosto 1993) era stata solo parziale.

6.1- Il motivo è fondato.

Il riferimento della L. n. 41 del 1986, art. 33, comma 4 al tempo "previsto per l’ultimazione" potrebbe lasciare intendere che, così come il prezzo sul quale applicare la maggiorazione dovrebbe essere solo quello stabilito in sede di aggiudicazione (escludendo ad esempio rilevanza agli aumenti provocati da successive perizie di varianti), allo stesso modo gli anni cui applicare la maggiorazione del 5 per cento dovrebbero essere solo quelli che, in quella medesima sede ovvero nel contratto, sono stati previsti per l’ultimazione dei lavori, con conseguente irrilevanza degli eventuali successivi slittamenti del termine finale di ultimazione provocati da sospensioni. Questa conclusione, come già detto a proposito della perizia di variante (v. terzo motivo principale), non è convincente.

La finalità dell’istituto del prezzo chiuso di fare sì che il prezzo del contratto rimanga sterilizzato dalle possibili influenze esterne, onde assumere una rigidità predeterminata per questo aspetto, non comporta la irrilevanza di quegli eventi formalizzati nel rapporto contrattuale, come le sospensioni dei lavori disposte dal committente e comunque non imputabili all’appaltatore, le quali indubbiamente incidono sui tempi di quella ultimazione dei lavori che costituisce parametro di riferimento ai fini del calcolo della maggiorazione del 5 per cento. L’espressione usata dal legislatore (a proposito del tempo "previsto per l’ultimazione") si spiega non già per escludere, sempre e comunque, la incidenza sul costo dell’appalto dei tempi effettivi di esecuzione, ma solo perchè, essendo la maggiorazione del 5 per cento una componente del prezzo da calcolare al momento della stipulazione del contratto in base alla sua durata, questa non può che essere quella in quel momento "prevista". La lettera della norma non consente però di escludere la rilevanza di talune situazioni, come appunto le sospensioni (totali) dei lavori non imputabili all’appaltatore, che determinano uno slittamento dei tempi di ultimazione dei lavori necessariamente conoscibili solo ex post. Ciò non tradisce la ratio dell’istituto del prezzo chiuso che rimane quella di forfetizzare convenzionalmente il rischio contrattuale rispetto a variazioni eccessive dei prezzi dei materiali e della manodopera in corso di rapporto, mediante un sistema di computo degli aumenti automatico e sganciato da un preciso collegamento con l’inflazione reale.

Il motivo va quindi accolto, non essendo conforme a diritto la conclusione della sentenza impugnata la quale, per escludere la rilevanza delle sospensioni, ha ritenuto che queste "quale che ne sia la causa, non mutano minimamente la durata del contratto di appalto, semplicemente ne differiscono il termine finale, che normativamente è irrilevante". Ne consegue l’accoglimento del secondo motivo di ricorso incidentale e l’affermazione del seguente principio di diritto: "Negli appalti di opere pubbliche, ai fini della determinazione del prezzo chiuso e, in particolare, della maggiorazione del 5 per cento del prezzo del lavoro al netto del ribasso di asta per ogni anno intero previsto per l’ultimazione dei lavori, a norma della L. 28 febbraio 1986, n. 41, art. 41, comma 4, (applicabile ratione temporis), si deve tenere conto dei periodi di sospensione totale dei lavori per fatti non imputabili all’appaltatore". 7. Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 1063 del 1962, artt. 35 e 36 sotto il profilo della decorrenza degli interessi dal 26 giugno 1994, data della prima richiesta di pagamento, anzichè dal 28 settembre 1993, data di scadenza del primo anno di esecuzione dei lavori in cui il prezzo doveva essere corrisposto.

7.1- Il motivo è fondato.

La sentenza impugnata, pur affermando in astratto che gli interessi avrebbero dovuto decorrere da data (indicata nel 9 novembre 2006 quando fu apposta la riserva all’ultimo s.a.l.) successiva a quella in cui, a lavori eseguiti, il prezzo chiuso poteva essere determinato, ha confermato la decisione del tribunale di farli decorrere dalla precedente prima richiesta di pagamento, sebbene non da data ulteriormente antecedente, trattandosi di una decisione comunque vantaggiosa per la società appaltatrice.

Tuttavia, ai fini della decorrenza degli interessi di mora, gli artt. 35 e 36 del D.P.R. cit. (applicati dai giudici di merito) non contengono alcun riferimento al momento della richiesta di pagamento ma solo alle scadenze ivi riferite ai diversi momenti di maturazione del diritto agli acconti e al saldo ed è noto che un’apposita domanda o riserva dell’appaltatore volta ad ottenerne il pagamento non è necessaria (L. 10 dicembre 1981, n. 741, art. 4 abrogato dal D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, art. 231 ma applicabile ratione temporis). Nè può sorgere dubbio in merito all’applicabilità dei predetti artt. 35 e 36 che garantiscono all’appaltatore il pagamento degli interessi di mora per il ritardato pagamento degli acconti e del saldo sia del prezzo contrattuale, a prescindere dalle modalità in cui questo è determinato, sia (per effetto della L. 21 dicembre 1974, n. 700, art. unico) della revisione prezzi (al riguardo, è significativo che Cass. sez. un. n. 19567/2011 abbia evidenziato la "contiguità" dell’istituto del prezzo chiuso con quello della revisione prezzi).

La motivazione della corte d’appello è anche contraddittoria in quanto, da un lato, esclude la maturazione di interessi in epoca antecedente all’esecuzione dei lavori e, dall’altro, ne prescinde facendoli decorrere dalla richiesta dell’appaltatore, anzichè secondo gli stati di avanzamento come previsto dai medesimi artt. 35 e 36. La precisazione secondo la quale la richiesta di pagamento dev’essere comunque "posteriore alla possibilità di calcolo del prezzo contrattuale" alimenta l’ambiguità del percorso motivazionale e non tiene conto che l’importo degli interessi di cui trattasi dev’essere calcolato e corrisposto in occasione del pagamento, in conto o a saldo, immediatamente successivo per lavori già eseguiti (seppur in parte) il cui prezzo unitario, negli appalti iva misura", è stabilito nel capitolato in modo fisso e invariabile per unità di misura e per tipologia di prestazione.

Ne consegue l’accoglimento del secondo motivo di ricorso incidentale e l’affermazione del seguente principio di diritto: "Negli appalti di opere pubbliche disciplinati dal capitolato generale delle opere pubbliche, di cui al D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 (abrogato dal D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, art. 231 ma applicabile ratione temporis nella fattispecie), gli interessi per il ritardato pagamento del prezzo sono dovuti in occasione del pagamento, in conto o a saldo, immediatamente successivo, secondo gli stati di avanzamento dei lavori e le modalità fissate dagli artt. 33, 35 e 36 del medesimo D.P.R., anche negli appalti a misura e nel caso di prezzo chiuso dovuto a norma della L. 28 febbraio 1986, n. 41, art. 33, comma 4, (applicabile ratione temporis)". 8.- In conclusione, il ricorso principale va rigettato e il ricorso incidentale accolto. Pertanto, la sentenza dev’essere cassata e rinviata alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale, accoglie i due motivi del ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia la causa alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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