Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con provvedimento deliberato dal Consiglio di Amministrazione della Banca Popolare di Marostica soc.coop. a r.l. in data 18 settembre 2001, P.C. e D.P.D. vennero esclusi dalla compagine sociale. Ricevuta generica comunicazione della emissione del provvedimento l’11 ottobre successivo, con ricorso ex art. 700 c.p.c., gli esclusi chiesero al Tribunale di Bassano del Grappa la sospensione dell’efficacia della delibera, proponendo nel contempo anche ricorso al Collegio dei Probiviri della società. Il ricorso ex art. 700 c.p.c., venne notificato (unitamente al provvedimento di fissazione dell’udienza) il 14 novembre 2001, e lo stesso giorno la società inviò ai ricorrenti un estratto del verbale della seduta del Consiglio – non incluso nella precedente missiva – dal quale risultava che la ragione della esclusione risiedeva nel pregiudizio all’interesse ed al prestigio della banca derivante dall’avere i ricorrenti attribuito alla stessa, in una causa in corso ed anche all’esterno, un comportamento illecito consistito nell’aver dirottato ad un cliente – il defunto P.L., padre e suocero dei predetti – titoli obbligazionari, che erano stati acquistati dalla banca in proprio, al fine di scaricare il danno economico derivante dall’improvvisa perdita di valore dei titoli stessi.
In accoglimento del ricorso cautelare, il Tribunale, con provvedimento confermato in sede di reclamo, sospese gli effetti della delibera in questione. Quindi, con citazione notificata il 19 dicembre 2001, P. e D.P. diedero inizio al giudizio di merito diretto ad ottenere la declaratoria della illegittimità della delibera di esclusione, nel quale la società si costituì eccependo la decadenza e deducendo comunque l’infondatezza della domanda, anche alla stregua della delibera del Collegio dei Probiviri del 20 dicembre 2001 che nel frattempo aveva rigettato il ricorso dei soci esclusi. Il Tribunale dichiarò l’illegittimità della delibera oggetto di opposizione, con le consequenziali pronunce di accertamento richieste dagli esclusi in due giudizi riuniti al primo.
La Corte di Appello di Venezia, adita dalla Banca Popolare, confermava la sentenza di primo grado, osservando: a)che le questioni relative all’inammissibilità del ricorso alla cautela apprestata in via residuale dall’art. 700 c.p.c., (in luogo di quella tipica prevista dall’art. 2527 c.c., comma 3, nel testo all’epoca vigente) ed al temporaneo difetto di competenza del giudice della cautela derivante dalla proposizione del ricorso dinanzi al Collegio dei Probiviri, non rilevavano ormai che ai fini del regolamento delle spese – stante l’intervenuto assorbimento del provvedimento cautelare nella sentenza di merito -, ed erano comunque entrambe prive di fondamento; b)che, quanto al rigetto dell’eccezione di decadenza dalla facoltà di opposizione, del quale l’appellante si doleva evidenziando che la notifica del ricorso cautelare – avvenuta il 14 novembre 2001 – era successiva al termine di 30 giorni decorrente dalla data (11 ottobre) di comunicazione del provvedimento, l’appello era inammissibile per difetto di specificità, non avendo la Banca prospettato chiare e specifiche censure nei riguardi della statuizione decisiva del primo giudice secondo la quale, non essendo la comunicazione dell’11 ottobre idonea – per la sua genericità – a far decorrere il termine in questione, questo iniziò a decorrere solo con la successiva comunicazione del 14 ottobre, lo stesso giorno in cui venne notificato il ricorso cautelare, che impedì ogni decadenza; e)che, quanto al merito, l’appello era del pari inammissibile per non avere la Banca proposto specifica censura nei riguardi della prima delle due autonome rationes deciderteli della statuizione di accoglimento della opposizione, costituita dalla ritenuta nullità, per genericità e indeterminatezza del suo oggetto, della clausola dello statuto della società (art. 15, lett. b) in base alla quale era stata deliberata l’esclusione.
Avverso tale sentenza, depositata il 9 luglio 2009, la Banca Popolare di Marostica ha proposto ricorso a questa Corte con atto notificato l’11 gennaio 2010, formulando due articolati motivi, illustrati anche da memoria. Resistono P.C. e D.P.D. con controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la Banca Popolare di Marostica denuncia la violazione e falsa applicazione di norma di diritto (art. 2527 c.c., comma 3), deducendo che la notifica, in data 19 dicembre 2001, della citazione per il giudizio di opposizione è avvenuta oltre il termine stabilito da detta norma, sia che lo si consideri decorrente dalla prima comunicazione dell’11 novembre, sia che lo si consideri decorrente dalla seconda del 14 novembre, come ritenuto dalla Corte di merito. Sostiene che nella declaratoria di inammissibilità dell’appello sul punto si anniderebbero i seguenti errori: a) aver ritenuto ammissibile il ricorso alla cautela residuale apprestata dall’art. 700 c.p.c., in materia specificamente regolata dall’art. 2527 c.c., violando quindi l’una e l’altra norma di diritto; b) non avere inoltre considerato che all’inammissibilità del ricorso cautelare proposto consegue che il primo valido atto di opposizione va individuato nella citazione, notificata tardivamente; c) non avere infine considerato (sempre in violazione dell’art. 2527 c.c.) che nel caso, qui ricorrente, in cui il socio escluso si sia avvalso della facoltà di ricorso al Collegio dei Probiviri, il procedimento di esclusione si perfeziona con la successiva determinazione del Collegio stesso, nella specie con la deliberazione di rigetto del 20 dicembre 2001, la cui mancata impugnazione renderebbe l’opposizione improcedibile.
1.1. Va tuttavia evidenziato che la tardività della notifica dell’atto di citazione è questione che non risulta essere stata tempestivamente sollevata dalla odierna ricorrente nel giudizio di merito, dalla sentenza di appello risultando piuttosto come in quella sede la Banca avesse dedotto la tardività della notifica del ricorso cautelare ante causava, che il primo giudice aveva considerato, senza ricevere sul punto alcuna censura dalla appellante (cfr. anche le conclusioni dell’atto di appello trascritte in epigrafe, che nulla precisano sul punto), quale atto di esercizio della facoltà di opposizione, idoneo ad impedire la decadenza. Poichè a tali inequivoche risultanze della sentenza di appello la ricorrente non ha contrapposto alcuna indicazione del luogo del processo di merito in cui avesse eventualmente sollevato la questione, il ricorso si palesa sul punto inammissibile.
1.2. Quanto alla mancata impugnazione da parte dei soci esclusi nei riguardi del provvedimento reso su loro ricorso dal Collegio dei Probiviri, questa Corte ha già più volte affermato (cfr. ex multis Cass. n. 17245/02) che la clausola statutaria prevedente la facoltà dei soci di ricorrere al Collegio dei Probiviri – salva l’ipotesi, non specificamente dedotta nè tantomeno dimostrata dalla ricorrente, che con essa si attribuiscano a tale organo le funzioni di un vero e proprio collegio arbitrale – appresta solo un rimedio endosocietario diretto a prevenire una controversia, sì che: i) l’essersi avvalsi di tale facoltà non preclude ai soci il ricorso all’autorità giudiziaria; ii) il provvedimento emesso dal Collegio dei Probiviri non è autonomamente impugnabile, avendo il solo effetto di rendere le delibere adottate dagli altri organi societari definitive, e come tali impugnabili, ove naturalmente non siano state già impugnate, come nella specie avvenuto. Giova infatti evidenziare che il principio secondo cui il procedimento di esclusione si perfeziona con la determinazione del Collegio è affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. n. 7529/97; n. 11402/04; n. 17337/08) onde consentire al socio escluso di attendere sino alla emissione di tale determinazione per impugnare la delibera (nel senso di protrarre sino a tale momento la decorrenza del relativo termine), non già di precludergli una impugnazione nelle more, come per l’appunto nella specie avvenuto.
2. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2527 c.c., (oltre che dell’art. 15, lett. b, dello statuto sociale) nonchè la mancanza di motivazione su punto decisivo:
censura il capo della decisione che ha ravvisato l’inammissibilità dell’appello in ordine alla ritenuta illegittimità della delibera di esclusione, omettendone quindi l’esame. Sostiene: a) che la Corte di merito non avrebbe considerato che la nullità della clausola statutaria in base alla quale era stata deliberata l’esclusione degli opponenti era stata prospettata nella sentenza di primo grado come mera argomentazione e/o valutazione incidentale interna, non come statuizione autonoma, che dunque non poteva considerarsi, senza violare il disposto dell’art. 324 c.p.c., passata in giudicato per difetto di impugnazione; b) che peraltro essa appellante aveva chiesto nelle conclusioni dell’appello l’annullamento anche delle affermazioni incidentali sulla nullità della clausola statutaria e contestato nell’atto la affermazione del primo giudice sulla nullità stessa: la Corte di merito avrebbe violato l’art. 342 c.p.c., valutando la carenza di specificità, sul punto, dei motivi di appello in astratto, invece che in correlazione al concreto contenuto della sentenza appellata, che si era pronunciata in modo dubitativo.
2.1. Tali doglianze non meritano accoglimento, atteso che la sentenza impugnata ha fatto retta applicazione dell’orientamento giurisprudenziale consolidato secondo cui, qualora la sentenza impugnata abbia pronunciato sulla domanda in base ad una pluralità di ragioni – ciascuna di per sè sufficiente a giustificare la decisione -, la parte che impugna ha l’onere di censurare con idonee e specifiche argomentazioni ciascuna delle suddette rationes decidendi, pena l’inammissibilità dell’impugnazione. Invero, la Corte d’appello ha, testualmente riportando le espressioni della sentenza di primo grado (senza ricevere sul punto censura alcuna), rilevato: a)che il primo giudice, dopo aver precisato in modo tutt’altro che dubitativo le ragioni del suo convincimento in ordine alla invalidità (per indeterminatezza del contenuto) della clausola di cui all’art. 15 dello statuto sociale, avesse solo aggiunto a tale autonoma e di per sè concludente valutazione che, qualora fosse stata superabile, l’opposizione avrebbe comunque meritato l’accoglimento anche nel merito; b)che l’appellante non ha confutato le ragioni indicate dal tribunale a sostegno della ritenuta invalidità della clausola, limitandosi a formulare sul punto considerazioni oltremodo generiche, anch’esse testualmente riportate.
Tale motivazione, congrua e tutt’altro che illogica, non merita le critiche rivolte dalla ricorrente, che in effetti appaiono piuttosto dirette a sollecitare un inammissibile riesame delle valutazioni compiute dal giudice di merito.
3. Il rigetto del ricorso si impone dunque, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, in Euro 4.000,00 per onorari e Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 18 gennaio 2012.
Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2012
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