Cass. civ. Sez. I, Sent., 01-06-2012, n. 8860

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Nel giugno 1998 la GI.DI.CI. s.a.s. di Cimadamore Tullio & C. (d’ora in poi GI.DI.CI.) convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Fermo la Società Italiana Gas Liquidi s.p.a. (d’ora in poi S.I.G.L.) e G.R., per sentir dichiarare la nullità, la inefficacia nei confronti della società attrice, e comunque l’invalidità, del contratto sottoscritto il 20 aprile 1998 con il quale il G., nella falsa qualità di legale rappresentante della società attrice, aveva ceduto alla S.I.G.L. per il corrispettivo di lire 1.700.000.000 l’azienda avente ad oggetto la vendita di carburanti per autotrazione sita in Comune di (OMISSIS). Deduceva la GI.DI.CI. a sostegno di tale domanda: a)che la società era stata costituita nel 1988 dal C., da D.A., da F.F. e dal G., unico socio accomandatario; b) che quest’ultimo, con provvedimento cautelare ex art. 700 c.p.c., del Tribunale di Fermo del 18 dicembre/30 gennaio 1996, era stato revocato dalla carica di amministratore; c) che inoltre il medesimo, con delibera del 11 settembre 1997, era stato escluso dalla società, seguito poi, con delibera del dicembre 1997, dall’accomandante F.; d)che quindi i due soci superstiti D. e C., modificati con scrittura privata del 23 febbraio 1998 i patti sociali, avevano designato il C. socio accomandatario. Si costituiva in giudizio la S.I.G.L. deducendo, per quanto qui ancora rileva, che il contratto di cessione dell’azienda era stato validamente stipulato dal G., quale legale rappresentante della GI.DI.CI., giacchè: a) il Tribunale di Fermo, con sentenza n. 163/98 del 20 febbraio 1998, aveva accertato l’esistenza di una causa di scioglimento della GI.DI.CI. (insanabile contrasto tra i soci) e tale accertamento retroagiva alla proposizione della domanda nell’ottobre 1996, si che, disponendo l’atto costitutivo che in caso di scioglimento le funzioni di liquidatore sarebbero state svolte dall’accomandatario, il G. aveva acquisito la qualifica di liquidatore, non valendo in contrario la revoca dalla carica di amministratore disposta nei suoi confronti in via cautelare, giacchè il Tribunale di Fermo, con sentenza n. 340/1998 del 18 giugno 1998, aveva definito il relativo giudizio di merito rigettando la domanda di revoca; b) che, quanto alla delibera di esclusione dalla società, il G. l’aveva impugnata ed il Tribunale di Fermo, con provvedimento del 28 settembre/13 novembre 1998, ne aveva sospeso l’efficacia.

Il Tribunale, con sentenza del 12 ottobre 2001, rilevato fra l’altro che, con sentenza n.115/2000, il Tribunale di Fermo aveva dichiarato inammissibile l’impugnazione proposta dal G. avverso la delibera di esclusione, dichiarò l’inefficacia nei confronti della GI.DI.CI. del contratto di cessione d’azienda.

Interponeva appello la S.I.G.L., riproponendo le argomentazioni già sviluppate in primo grado; si doleva altresì del rigetto della sua eccezione di carenza di legittimazione attiva del C. ad agire in giudizio, sostenendo che il giudice di primo grado avrebbe dovuto ritenere inopponibile nei confronti di essa S.I.G.L., quale terzo contraente, la sentenza n.115/2000 del Tribunale di Fermo, quindi rilevare l’illegittimità della delibera di esclusione del G. dalla società e conseguentemente delle successive modifiche dei patti sociali che avevano condotto alla designazione del C. quale unico socio accomandatario, qualifica che invece era ancora, secondo l’appellante, validamente rivestita dal G.. Si costituiva in giudizio la GI.DI.CI. in liquidazione, contestando l’ammissibilità e la fondatezza del gravame, e proponendo appello incidentale in ordine al regolamento delle spese del giudizio di primo grado.

Con sentenza resa pubblica l’8 gennaio 2010, la Corte d’appello di Ancona ha rigettato entrambi gli appelli, osservando, per quanto qui ancora rileva, come la delibera di esclusione del G. fosse legittima, non valendo in contrario le considerazioni dell’appellante circa la nullità di una delibera, assunta dai soli soci accomandanti, di revoca degli amministratori nominati con il contratto sociale, trattandosi di atti distinti, per effetti e presupposti. Legittimamente quindi i due soci superstiti D. e C., al fine di evitare lo scioglimento della società a norma dell’art. 2323 c.c., avevano provveduto a nominare il secondo quale accomandatario e legale rappresentante della società, e come tale egli era legittimato ad instaurare il presente giudizio.

Avverso tale sentenza la S.I.G.L. s.p.a. ha proposto ricorso a questa Corte con atto notificato il 29 marzo 2010, formulando tre motivi, illustrati anche con memoria. Resiste con controricorso la GI.DI.CI. s.a.s. di C.T. in liquidazione.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo la società ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto (artt. 2272, 2274 e 2286 c.c.) nonchè l’omissione o carenza o contraddittorietà di motivazione (senza tuttavia precisare in relazione a quali fatti tale censura viene formulata). A sostegno di tale mezzo, deduce che, dopo la deliberazione di scioglimento di una società di persone, resta preclusa la possibilità di procedere alla esclusione di un socio.

1.1. Il motivo, in effetti esclusivamente basato su tale questione di diritto, non merita accoglimento. Questa Corte ha già avuto modo di esaminare la questione qui sollevata, ed ha ritenuto che, durante la fase di liquidazione della società di persone, non vi sono ostacoli all’applicabilità dell’art.2286 cod.civ., e conseguentemente che il socio che si sia reso colpevole di gravi inadempienze può, anche durante lo stato di liquidazione, essere escluso dalla compagine sociale (cfr. Sez. 1 n.6410/1996). A tale indirizzo interpretativo, pur non unanime (Sez. 1 n.3982/1980 ha viceversa ritenuto che lo scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio trova ostacolo nel passaggio della società in una fase diretta alla liquidazione di tutti i soci), il Collegio intende dare continuità, essendo fondato su argomenti del tutto condivisibili. Invero, lo scioglimento segna solo il passaggio ad una nuova fase, nella quale la società permane come gruppo organizzato ed i soci continuano ad essere titolari di diritti e di obblighi; deve escludersi che un principio di prevalenza delle cause di scioglimento della società rispetto allo scioglimento del singolo rapporto sociale possa desumersi dall’art.2270 comma 2 cod.civ., che invece esprime il ben diverso principio della impossibilità di ottenere, dopo lo scioglimento della società, la liquidazione della quota ai sensi dell’art. 2289 c.c.; ed infine, appare contrario ai principi che reggono l’esecuzione del contratto di società – che da vita alla costituzione di una comunione di interessi, in base alla quale l’interesse del singolo è subordinato all’interesse della maggioranza – ritenere che comportamenti di un socio in danno degli altri o della società nel suo complesso possano restare senza conseguenze sul piano giuridico durante la fase della liquidazione.

Il rigetto del motivo ne deriva di necessità. 2. Con il secondo motivo, la società ricorrente torna a criticare le statuizioni della sentenza impugnata riguardanti la legittimità della delibera di esclusione del G., denunciando, sotto altro profilo, la violazione o falsa applicazione di norme di diritto (artt. 2252 e 2319 c.c.) nonchè vizio di motivazione.

Ribadisce la tesi, già disattesa dal giudice di merito, secondo la quale l’amministratore che sia stato, come nel caso in esame il G., nominato con il contratto sociale non può, senza il consenso unanime dei soci, essere revocato e quindi "a fortiori" neppure essere escluso.

2.1. Anche tale motivo non merita accoglimento, avendo la Corte di merito rettamente fatto riferimento all’orientamento della giurisprudenza di questa Corte di legittimità (cfr. Sez. 1 n.8570/09; n. 27504/06; n. 13407/04) secondo cui esclusione del socio e revoca degli amministratori sono provvedimenti distinti e non comparabili, per effetti e presupposti, si che le norme che regolano la revoca non interferiscono con quelle che consentono l’esclusione.

Tale argomento decisivo, peraltro del tutto condivisibile, non è stato comunque fatto oggetto di alcuna confutazione in ricorso.

3. Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia ancora la violazione o falsa applicazione degli artt. 2252 e 2319 c.c., ed il vizio di motivazione, sostenendo che, anche nell’ipotesi in cui dovesse ritenersi la validità ed efficacia delle modifiche dei patti sociali deliberate dai soci D. e C. nel febbraio 1998, i patti cosi modificati prevedevano che il liquidatore non fosse più designato nella persona dell’accomandatario, bensì fosse nominato dai soci. Si che, il C., ove pure legittimamente nominato accomandatario, sarebbe comunque carente di legittimazione ad agire in giudizio quale legale rappresentante della società in liquidazione, perchè mai nominato liquidatore dai soci.

3.1. Osserva tuttavia il Collegio che tale prospettazione – prima ancora che carente di idonea considerazione circa il principio generale della prorogatio dei poteri sotteso al disposto dell’art. 2486 c.c. – si mostra del tutto nuova, non risultando mai sollevata nel giudizio di merito, e presuppone accertamenti in fatto non consentiti in questo giudizio di legittimità, si che il suo esame è precluso in questa sede (cfr. ex multis Sez. L n.20518/08; Sez. 3^ n. 4024/1981; Sez. 1 n.651/1979). Il rigetto del ricorso si impone dunque, ravvisandosi peraltro giusti motivi per la compensazione tra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità, in considerazione delle contrastanti pronunce su alcune delle questioni sollevate dalla ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 23 gennaio 2012.

Depositato in Cancelleria il 1 giugno 2012

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