Cass. civ. Sez. I, Sent., 04-06-2012, n. 8918 Indennità di espropriazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione notificata il 1 ottobre 2004, la s.r.l. Scilla 96, proprietaria di un locale destinato a supermercato di mq. 3893, con annesso locale ad uso ufficio e di un locale ad uso garage di mq.

4448, nel complesso immobiliare "(OMISSIS)", sito in (OMISSIS) e B.F., titolare di un appartamento di vani 5,5 in Catasto Cat. A/2 nello stesso immobile, convenivano in giudizio, dinanzi alla Corte d’appello di Roma, la Rete Ferroviaria italiana s.p.a. e la Italferr s.p.a., perchè fosse determinata l’indennità di asservimento loro spettante per la costruzione di opere di salvaguardia della galleria ferroviaria "(OMISSIS)", nell’ambito dell’anello ferroviario intorno alla città di Roma.

Il Prefetto di Roma aveva costituito, con decreto notificato il 18 marzo 2003, servitù sul suolo ove sorgeva il fabbricato con gli immobili degli attori, in N.C.T. a F. 233, costituito da una parte delle P.le 514, 515, 518, 519, 520 e 523, per cui nessuna modifica morfologica di tali aree e immobili sarebbe stata possibile, senza la previa autorizzazione della società convenuta, sancendo, con decreto integrativo del 23 febbraio 2004, che qualsiasi tipo di intervento in tali spazi doveva assoggettarsi alle prescrizioni tecniche di Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. La società attrice, proprietaria delle particelle già individuate a F. 233 e di quella n. 512, identificativa dell’ufficio annesso al garage, quest’ultimo corrispondente alla P.la 521 e il Dr. B., titolare dell’appartamento in P.la 520, sub 7, anche quali comproprietari dei terreni asserviti su cui insisteva l’edificio di cui erano condomini, chiedevano di accertare e liquidare l’indennità di asservimento da galleria, a loro avviso determinata in misura incongrua dalla convenuta.

Nella comparsa di costituzione, la Rete Ferroviaria italiana s.p.a.

deduceva che il valore venale delle aree di cui al decreto di asservimento era stato fissato in Euro 258,23 al mq. mentre l’indennità di esproprio, in una percentuale della quale doveva fissarsi quella di servitù era stata determinata, in Euro 189,76/mq, ai sensi della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, liquidando nel 24% di tale indennizzo, quello per la servitù costituita con la costruzione della galleria.

La Corte d’appello, con la sentenza di cui in epigrafe, ha affermato anzitutto che oggetto di asservimento erano stati l’appartamento del B. e parte dei locali destinati a garage e a supermercato, mentre indenne dalla servitù era rimasto l’ufficio annesso al garage.

Richiamati i principi fissati dalla sentenza di questa Corte 30 novembre 2007 n. 25011 per liquidare l’indennità di asservimento permanente, connessa alla costruzione della galleria sottostante le aree asservite, la Corte di merito ha affermato che tale indennizzo andava liquidato con gli stessi parametri dell’indennità di espropriazione, oggi corrispondente al valore venale del bene (C. Cost. 24 ottobre 2007 n. 348) e in base al criterio differenziale della L. n. 2359 del 1865, art. 40, consistente nella differenza di valore dei beni asserviti prima e dopo la costruzione della galleria (pag. 7).

La stessa Cass. n. 25011 del 2007 riteneva applicabile al caso l’art. 46 della stessa legge, che imponeva l’indennizzo da eventuale compressione della proprietà e perdita di valore di questa derivata dall’opera pubblica che aveva imposto il peso, cioè dalla costruzione della galleria, come sancito nella norma da ultimo citata e nell’analogo del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 44. In adesione alle conclusioni del c.t.u., la Corte d’appello di Roma ha determinato l’indennità di asservimento con il criterio differenziale della L. n. 2359 del 1865, art. 40, ritenendo sussistere i presupposti di fatto per applicare la norma, cioè il "degrado della parte residua del fondo, …. l’esistenza di un preesistente rapporto di unità funzionale, per ubicazione e destinazione, tra la porzione dell’immobile asservita e quella non interessata dalla vicenda ablatoria… la prova che il degrado di quest’ultima sia obbiettivamente applicabile all’asservimento della prima" (l’inciso virgolettato è ripreso dalla sentenza n. 25011 del 2007).

Chiarito che l’indennità di asservimento "è comprensiva di qualsivoglia danno o degrado riflettentesi sulle proprietà delle parti attrici", la sentenza ha accertato, in adesione alle conclusioni del c.t.u. nominato nel giudizio, le seguenti indennità ai sensi della L. n. 2359 del 1865, art. 40, per ciascuna delle particelle asservite: 1) Euro 89.001,20 per la P.la 515; 2) Euro 99.225,60 per la P.la 518; 3) Euro 98.406,00 per la P.la 519; 4) Euro 101.414,40 per la P.la 520; 5) Euro 97.325,60 per la P.la 515.

Afferma la Corte d’appello di Roma, che le somme di cui sopra sono state determinate esattamente dal c.t.u., "tenendo conto del decremento dei beni residui a seguito dell’imposizione della servitù" e "degli specifici vincoli imposti, che incidono in percentuale diversa (per quanto attiene all’obbligo di richiedere preventiva autorizzazione per interventi di qualsiasi natura sul terreno asservito), a seconda della destinazione specifica" (pag. 7 sentenza impugnata).

Della complessiva indennità di asservimento costituita dalla somma delle cifre che precedono e da liquidare, quindi, in complessivi Euro 485.472,00, era ordinato il deposito presso il Ministero dell’Economia e delle finanze, Servizio Gestione Depositi, anche se alla s.r.l. Scilla 96 spettavano solamente Euro 174.309,00, in proporzione alla percentuale di comproprietà dei terreni, su cui sorgevano i locali di sua proprietà, oggetto di asservimento. Le spese di consulenza tecnica erano poste a carico della s.p.a. Rete Ferroviaria italiana, condannata a pagare anche la metà delle spese di lite, compensate interamente tra le parti nella residua metà.

Per la cassazione di tale sentenza, la s.r.l. Scilla 96 e il B. hanno proposto ricorso di tre motivi, illustrato a memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. e notificato il 21 dicembre 2011 alla Rete ferroviaria italiana s.p.a., che ha resistito con controricorso, notificato ai ricorrenti a mezzo posta il 21 gennaio 2011.

Motivi della decisione

1.1. Il primo motivo del ricorso denuncia insufficiente e/o contraddittoria motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e la violazione della L. 25 giugno 1865, n. 2359, artt. 40 e 46, oltre che del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 44, perchè, nella sentenza di merito, s’è omesso il calcolo, nella indennità di asservimento, della perdita di valore delle aree residue delle frazioni di particelle catastali, che non erano state colpite dai vincoli diretti della servitù.

Pur avendo dichiarato la intenzione di applicare la L. n. 2359 del 1865, art. 40, per il quale nella indennità doveva comprendersi ogni danno subito dagli immobili dei ricorrenti, incluso il decremento di valore dei beni residui, la somma liquidata per detto titolo corrisponde solo alla indennità di asservimento delle aree oggetto dei decreti prefettizi.

Richiamata la relazione del c.t.u. a pag. 22, che misura in mq. 1.401 le varie frazioni di particelle oggetto della servitù, nessun riferimento vi è alle aree residue e al loro decremento di valore per il mero fatto della esigenza di autorizzazione della s.p.a. Rete ferroviaria per ogni intervento eventuale dei proprietari su di esse.

La Corte di merito ha affermato l’esigenza di computare, nella indennità, anche la perdita di valore dei terreni non asserviti, dovendosi considerare l’intero immobile per rilevarne la eventuale perdita di valore (si citano in tal senso Cass. 20 dicembre 1988 n. 6954 e Cass. 10 gennaio 2003 n. 141).

In quanto nella sentenza si afferma detto principio e in concreto non lo si applica, è palese la contraddittorietà della motivazione, che giustifica la eventuale cassazione della pronuncia impugnata chiesta dai ricorrenti.

1.2. In secondo luogo, si censura la decisione di merito in ordine all’omesso esame in essa delle critiche e censure mosse dai consulenti di parte alla relazione del c.t.u. sul valore venale degli immobili asserviti.

In quanto delle critiche mosse dalle parti alla relazione del c.t.u.

non si tiene conto nella sentenza impugnata, questa è, per tale profilo, immotivata (si citano Cass. n. 10668/2007 e 10222/09) e, per l’autosufficienza della impugnativa, i ricorrenti riportano le loro censure già mosse nel merito, onde consentire il controllo della logicità della stessa motivazione della pronuncia oggetto di ricorso (si cita Cass. n. 4885/2005) e la mancata liquidazione della perdita di valore di tutte le particelle asservite.

Come nel merito, si insiste nel rilevare che i criteri per determinare il valore del suolo asservito, in collegamento con quello dei fabbricati di proprietà degli attori, per un verso fissano tale valore detraendo da quello dei manufatti il costo delle costruzioni e fissando il prezzo delle aree in una percentuale del 30% di quello dei fabbricati con metodo simile a quello deduttivo.

Il c.t.u. ha chiarito che la fascia di asservimento in proiezione della galleria è stata, per l’autorimessa, di mq. 1.560 sul totale di mq. 4960, per il supermercato, di mq. 1106 su mq. 3241, e per i locali accessori a questo di mq. 195 su mq. 1509, rimanendo totalmente asservito l’appartamento di mq. 141, con la soffitta di mq. 7 e il terrazzo di mq. 130.

Lo stesso ausiliare ha rilevato la particolare centralità della ubicazione degli immobili asserviti e il buon pregio della zona in cui sono siti, per poi fissare il valore medio degli immobili di cui sopra, in Euro 3.200 al mq. nella prima relazione, riducendolo in seguito ad Euro 2.500,00 a mq., anche se, per la loro destinazione specifica, i locali usati per un supermercato e quelli costituenti autorimessa, come il superattico del B., dovrebbero avere valori unitari mediamente maggiori degli altri appartamenti ai piani intermedi dello stesso fabbricato.

Il c.t.u. giunge a risultati illogici anche con il metodo comparativo, rifacendosi all’Osservatorio del mercato immobiliare, che fissa i prezzi per gli immobili residenziali in zona da Euro 2.900,00 ad Euro 3.500,00 e per quelli commerciali da Euro 3.100,00 fino allo stesso prezzo massimo da ultimo indicato; a prezzi più alti giunge invece l’Osservatorio della Federazione italiana agenti immobiliari che, per immobili ristrutturati residenziali in zona, parte da Euro 3.500,00 a mq. e giunge ad Euro 3900,00 e, per quelli residenziali abitabili e commerciali ordinari, li valuta a partire da Euro 3.100,00 o Euro 3.200,00 per giungere ad Euro 3.200,00 o 3.900,00 al mq..

Il c.t.u. valuta Euro 1000,00 a mq. l’autorimessa (Euro 1.560.000,00 per i mq. 1560 indicati) ed Euro 2.500,00 a mq. il supermercato (mq.

1106 per Euro 2.765.000,00) riducendo il prezzo ad Euro 1000, per gli accessori di questo (mq. 195 ed Euro 195.000) e ritenendo il valore dell’attico con soffitta e terrazzo di Euro 5.056.200 (in totale gli immobili asserviti per l’ausiliare valgono quindi Euro 9.576.200,00).

Affermano i ricorrenti, che il valore di Euro 1.000,00 a mq.

individuato dal c.t.u. per l’autorimessa, non trova giustificazione nell’Osservatorio del mercato immobiliare che non riporta i prezzi di immobili con tale destinazione; la Corte non ha in alcun modo considerato i prezzi emergenti dalle valutazioni dell’Agenzia del territorio in zona per le autorimesse (Euro 2.200,00 mq.) nè quelli della borsa immobiliare di Euro 1.550,00, per cui doveva almeno applicarsi un valore medio di Euro 1.825,00/mq., che il c.t.u.

esclude, confermando la propria valutazione per lo stato di conservazione e l’esistenza di pilastri nell’immobile, che ne riducono la superficie fruibile a garage, con una giustificazione generica e non specificata.

Altrettanto illogica è la valutazione dei locali utilizzati per supermercato che, in base ai prezzi da comparare, non potevano essere valutati meno di Euro 3.200,00 a mq., potendo pervenirsi anche a 3.800,00 a mq., con osservazione cui l’ausiliare non ha neppure replicato.

In ordine poi all’appartamento, trattandosi di un attico, il suo valore al 2003 doveva incrementarsi del 20%, essendosi il terrazzo liquidato nel 25% del prezzo unitario dell’immobile indicato.

In base alle censure che precedono, il valore degli immobili asserviti era da elevare a complessivi Euro 8.874.700,00, secondo i ricorrenti, ed era quasi doppio di quello considerato dal c.t.u..

Una volta rilevato che i ricorrenti hanno i 359 millesimi dell’intero fabbricato, doveva in base al valore delle costruzioni di cui sopra, ricavarsi quello delle aree asservite nel 30% di esso come determinato dal c.t.u. in media in Euro 1.520 a mq.

Si afferma in ricorso che il metodo simile a quello analitico deduttivo usato nella fattispecie, dovrebbe ritenersi residuale e da applicare solo in difetto di atti di comparazione, che nel caso non si sono usati, per cui l’uso di tale metodo sussidiario inficia la motivazione della sentenza di merito sul valore venale dei beni asserviti.

Invero si è dedotto il prezzo delle aree asservite in base a quello dei soli locali dei ricorrenti e non del valore dell’intero fabbricato in cui essi si trovano, appartenendo il suolo prò indiviso a tutti i condomini.

Sulla base dei soli immobili asserviti nei limiti già indicati e valutati Euro 3.683.755, cioè in base alla media tra valore di mercato e valore fiscale delle unità immobiliari desunto dalle dichiarazioni ICI, il c.t.u. ha valutato nel 30% della detta somma il valore del suolo in Euro 1.205.125, ma l’unico valore di cui doveva tener conto era quello venale, per cui palese è l’errore nel determinare la indennità dovuta.

Neppure era applicabile il valore denunciato ai fini ICI in quanto nessuno aveva domandato di applicarlo, per cui era sufficiente tener conto del valore comparativo accertato dallo stesso c.t.u. per giungere ad una indennità molto più elevata; nessun rilievo si è dato alla censura del c.t.p. sul valore determinato in base al rendimento del capitale impiegato che nelle previsioni del c.t.u.

porterebbe ad un valore irrisorio, ritenendosi lo stesso terreno comunque sminuito di valore, per la destinazione ad autorimessa realizzata al piano interrato, con utilizzazione del sottosuolo nella misura maggiore possibile.

Lo stesso c.t.u. ha considerato la sola diminuzione di valore delle aree (mq. 1401), cioè per la parte corrispondente alla proiezione della galleria, senza calcolare i danni determinati in termini di riduzioni di valori dei residui suoli, liquidandosi la percentuale del pregiudizio secondo il metodo utilizzato per la valutazione; con il criterio deduttivo si è giunti a una indennità del 24% e con quello analitico induttivo al 19%, pervenendosi, per la riduzione di valore delle aree residue al 5 – 10%, per cui l’ausiliare fissa nel 7,5% detta perdita e determina in complessivi Euro 82.884 la diminuzione di valore subito dal suolo non asservito.

La omessa valutazione delle deduzioni del c.t.p. costituisce omesso esame di esse e determina quindi una illogicità di motivazione chiara in rapporto alla c.d. media tra valore fiscale e valore venale delle aree asservite, in relazione ad una incidenza della servitù ridotta al 7,5% rispetto al 24% ritenuto in sede di procedura espropriativa, essendo comunque il metodo di valutazione deduttivo analitico inapplicabile nella fattispecie di costruzioni già esistenti.

1.3. In terzo luogo lamentano i ricorrenti la mancata valutazione della perdita del soprassuolo, in violazione della L. n. 2359 del 1865, artt. 40 e 46 e del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 44, non avendo considerato i danni che dall’esercizio della servitù per il passaggio frequente dei treno con conseguenti immissioni vibrazioni e possibili dissesti sugli immobili dei ricorrenti, dovendosi con l’indennizzo reintegrare anche tali danni.

In sostanza il danno al suolo non esclude quello al soprassuolo identificato in quelli connessi e conseguenti da vibrazioni e da esercizio della galleria al servizio delle ferrovie.

2. I tre motivi di ricorso sono tutti infondati.

2.1. Si deduce in primo luogo che illogicamente non si sarebbe considerata la riduzione di valore delle aree residue eccedenti quelle asservitè; ed il motivo di ricorso non è però autosufficiente nel chiarire se, come sembra chiaro nella sentenza, la diminuzione di valore che si afferma come non liquidata attenga solo alle frazioni residue delle particelle asservite ovvero all’intero edificio condominiale.

Ove, infatti, il riferimento è rivolto a quest’ultima ipotesi, la Corte deve richiamare la propria consolidata giurisprudenza (ora recepita dall’art. 38 del T.U. espr. n. 327/2001) secondo cui, ove l’area sia regolarmente edificata, l’indennità va determinata in modo unitario sulla base del valore venale dell’edificio a norma del menzionato art. 39 della Legge del 1865, senza possibilità di distinguere tra valore dell’edificio e valore dell’area di sedime su cui lo stesso sorge. Ciò perchè, una volta realizzata la costruzione, il suolo in essa incorporato perde la propria individualità in quanto a questa connesso e costituente parte integrante di un tutto che non può sussistere senza di esso e non è, quindi, separatamente valutabile (fatta eccezione per l’ipotesi di proprietà-superficiaria). Per cui, essendosi in presenza di una ben determinata opera edilizia, avente un proprio valore ed un proprio regime giuridico, in cui anche il suolo sottostante è compreso, tale cosa composta inglobante l’area fruisce inscindibilmente del criterio indennitario collegato al suo complessivo valore di mercato (cfr. Cass. 29 agosto 2002 n. 12651, e, da ultimo, 5 maggio 2005 n. 9372, nonchè 14 marzo 2006 n. 5528).

Conseguentemente, così come nell’espropriazione maggiore non è possibile distinguere l’ablazione del suolo da quella delle costruzioni che su di esso insistono, queste considerando "porzioni residue" ed alle stesse applicando il criterio differenziale della L. n. 2359 del 1865, art. 40, identica conclusione va mantenuta ferma, in caso di asservimento di un’area di sedime sulla quale insiste un fabbricato (ovvero di asservimento di quest’ultimo), in cui resta del pari esclusa la possibilità di scindere il suolo dal fabbricato:

anche per il necessario raccordo tra i relativi indennizzi comunque soggetti alla regola che la misura di quello minore non può comunque superare l’ammontare dell’indennità di espropriazione e deve essere determinato secondo un calcolo percentuale dell’importo di quest’ultima (S.U. 13 settembre 2005 n. 18125 nonchè Cass. 4 settembre 2004 n. 17881 e 17908).

Ove,invece,la ricorrente abbia inteso riferirsi a (non identificate) aree residue, alcuna illogicità o contraddittorietà del percorso motivazionale della sentenza può cogliersi, in quanto l’avere escluso una concreta ricaduta sul valore venale delle aree residue non asservite, non vuoi dire che l’indagine da parte del c.t.u. sul possibile decremento di valore delle aree residue non sia stata condotta.

In ogni caso la Corte ha ritenuto sussistere i presupposti della occupazione parziale, affermando quindi che le frazioni di particelle effettivamente asservite per essere poste in proiezione al di sopra della galleria sita nel sottosuolo, pari, in base al ricorso (pag.

14), a complessivi mq. 3139 dei vari cespiti asserviti (autorimessa, supermercato con locali accessori e appartamento con soffitta e terrazzo), erano da considerare unitariamente con le residue porzioni di esse (la superficie di tutte le particelle è di circa mq.

10.000). E’ in rapporto alla maggiori superficie delle intere particelle, singole frazioni delle quali sono state asservite, che il c.t.u. ha valutato la perdita di valore degli immobili dei ricorrenti per effetto dell’ asservimento, per cui il primo motivo di ricorso è infondato e da rigettare.

In ogni caso per dimostrare che nella relazione del consulente di ufficio era mancata la indagine sul decremento di valore delle residue aree non asservite, il ricorrente avrebbe dovuto trascriverne il testo o il punto rilevante dell’elaborato, come non risulta essere stato fatto e per tale profilo il motivo di ricorso è inammissibile.

Deve comunque rilevarsi che nel caso di specie la L. n. 2359 del 1865, art. 46, è rimasto inapplicato, avendo i giudici di merito espressamente applicato il solo art. 40 e la differenza di valore delle particelle prima e dopo l’asservimento, ritenendo esattamente l’altra norma rilevante, solo in caso di procedura espropriativa o di asservimento relativa a terzi, nel quale "la esecuzione dell’opera pubblica" dia luogo alla costituzione di una servitù o a un danno permanente a soggetti estranei alla procedura ablatoria (cfr. in tal senso Cass. 16 settembre 2009 n. 19972) come emerge anche dal richiamato del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 44, certamente inapplicabile alla fattispecie.

2.2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile per la parte in cui non è infondato.

Invero con tale motivo si chiede alla Corte un sindacato di merito precluso per il giudice di legittimità e si tende a giungere ad una valutazione diversa dell’asservimento, lamentando un omesso esame delle deduzioni dei consulenti di parte dei ricorrenti che devono invece ritenersi rigettate dalla Corte di appello, con le liquidazioni date della diminuzione di valore delle particelle interessate all’asservimento, emergenti dalla sentenza stessa, apparendo molte delle contraddizioni dedotte, in parte collegate alle diverse valutazioni date nel tempo dal c.t.u., che dal ricorso almeno in parte sembra avere liquidato complessivamente somme superiori a quelle che i ricorrenti affermano essere esatte.

Il valore delle costruzioni asservite è secondo il c.t.u. in base a quanto risulta a pag. 18 del ricorso di Euro 9.576.200,00, mentre a pag. 23 della impugnativa si chiede di valutare i cespiti asserviti complessivamente Euro 8.874.700,00; non appare chiaro come il valore del suolo asservito sia stato fissato in Euro 1.105.125, con riferimento al solo valore dell’appartamento (pag. 30 del ricorso) ridotto, in una incomprensibile media con i valori dichiarati ai fini ICI, comunque irrilevanti per non avere alcuna delle parti chiesta l’applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16, peraltro dichiarato illegittimo costituzionalmente da Corte Cost. 22 dicembre 2011 n. 338. Con ogni probabilità, il c.t.u. ha tenuto conto dei valori dichiarati ai fini ICI come uno dei parametri utilizzabili, comparandolo con il valore di mercato da esso individuato e pervenendo ad un valore medio comunque venale.

In ordine poi alle censure proposte sull’uso del metodo sintetico comparativo, è da rilevare che nessun elemento di comparazione valido viene fornito con il richiamo di pubblicazioni, che si rifanno ai valori immobiliari usuali secondo organismi di categorie interessate, ma non sono titoli da comparare, per cui le censure proposte sono assolutamente irrilevanti per tale profilo.

Quanto al metodo deduttivo che si afferma applicato, per avere ritenuto il prezzo del suolo asservito desumibile dal valore dei fabbricati sovrastanti, detratti i costi di costruzione, anche sulle determinazioni del c.t.u. relative a tale valutazione, le censure mosse appaiono irrilevanti o poco comprensibili, e, come tali, devono dichiararsi inammissibili.

In sostanza, le censure estimative poste con il secondo motivo di ricorso, oltre ad essere estremamente labili e correlate, secondo le convenienze, al valore dell’uno o dell’altro cespite asservito, sono, nel complesso, poco efficaci e non superano le soluzioni date dalla sentenza, oggetto di ricorso, che correttamente ha determinato i valori degli immobili dei ricorrenti, prima e dopo la costruzione della galleria e l’asservimento derivato da tale opera pubblica, pervenendo a liquidare le indennità di asservimento nelle misure di cui alla sentenza, i cui 359 millesimi competono ai ricorrenti, in proporzione alle loro quote di proprietà individuali, nell’ambito dell’edificio condominiale oggetto di servitù.

Nessuna delle deduzioni di cui al secondo motivo di ricorso, è sufficiente a superare le valutazioni date dalla sentenza di merito, logicamente e giuridicamente corrette e quindi il secondo motivo di ricorso deve anche esso rigettarsi, per le parti in cui non è inammissibile.

2.3. Altrettanto è a dire in ordine al terzo motivo di ricorso che lamenta danni al soprassuolo, intendendo con tale "parola", che nelle procedure espropriative ha in genere una valenza diversa, le perdite di valori delle costruzioni esistenti conseguenti all’esercizio della ferrovia nella galleria, che dovrebbe o potrebbe comportare vibrazioni e danni alle strutture stesso dell’intero edificio sovrastante.

Non risulta che nel merito la questione sia stata prospettata e quindi anche il terzo motivo di ricorso deve dichiararsi inammissibile.

3. In conclusione, il ricorso deve essere interamente rigettato e, per la soccombenza, le spese del giudizio di cassazione devono liquidarsi interamente a carico dei ricorrenti in solido e a vantaggio della controricorrente e si liquidano nella misura di cui in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso della s.r.l. Scilla 96 e di B. F., nei confronti della s.p.a. Rete Ferroviaria italiana e condanna i ricorrenti in solido a rimborsare alla controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione che liquida, in Euro 12.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 gennaio 2012.

Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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