Cass. civ. Sez. II, Sent., 20-06-2012, n. 10204 Esercizio delle servitù

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 17 aprile 1989 il sig. C. P., sul presupposto di essere proprietario di un terreno (poi edificato) acquistato l’11 novembre 1953, in catasto al f. 41 part. 236/a della via Uditore di Palermo, avente diritto di accesso anche con mezzi meccanici da una strada che si assumeva fosse stata di recente occupata con una costruzione da M.F.P., conveniva quest’ultimo dinanzi al Tribunale di Palermo affinchè venisse condannato alla demolizione del manufatto ed al risarcimento dei danni.

Il M. si costituiva in giudizio deducendo il proprio difetto di legittimazione e l’infondatezza della domanda. Integrato il contraddittorio nei confronti di M.A., moglie del M., quale comproprietaria della costruzione, la stessa rimaneva contumace.

Con sentenza pubblicata il 18 dicembre 1997 il tribunale rigettava la domanda con condanna dell’attore al pagamento delle spese giudiziali.

Sull’appello formulato dal C. e nella costituzione del solo appellato M.F.P., la Corte di appello, con sentenza n. 411 del 2005, confermava la statuizione di prime cure. In particolare, nella sentenza di secondo grado, nella premessa in fatto – a pag. 5 – veniva richiamata la sentenza di primo grado in cui si era dedotto che nel titolo di acquisto del C. era dato leggere: "la venditrice per la parte che la riguarda e senza alcun pregiudizio dei diritti dei terzi consente per parte sua l’accesso all’appezzamento di terreno venduto attraverso la stradella che immette nella piazza della Chiesa, e ciò anche senza che tale consenso possa precostituire diritto alcuno del compratore nella ipotesi in cui la stradella stessa sarà abolita". Sulla scorta di tale assunto esaminava l’unico complesso motivo di gravame in cui si sosteneva che la lunga durata dell’attività escludeva la tolleranza, chiedendo, a tal proposito, l’ammissione della prova testimoniale in funzione dell’assunto acquisto della servitù per usucapione e limitando il "petitum" alla rimozione dei materiali collocati sulla stradella che impedivano l’accesso ed al risarcimento dei danni. La Corte territoriale rilevava l’esattezza della decisione del Tribunale di prima istanza dal momento che l’utilizzazione della stradella costituiva un diritto "ad personam" concesso dalla dante causa che, non essendo proprietaria esclusiva del fondo servente, non poteva costituire una servitù e, comunque, la prova ammessa ed espletata in appello non appariva sufficiente, trattandosi di un viottolo e difettando la prova dell’esistenza di opere visibili e permanenti e del requisito dell’apparenza della servitù discontinua ai fini del prospettato acquisto del relativo diritto per usucapione.

Il C. ha proposto ricorso per cassazione basato su due motivi; gli intimati non hanno svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

1. Col primo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 1061 c.c., in relazione all’art. 2697 c.c., nonchè il vizio di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui non era stata ritenuta sufficiente la prova di un acquisto della servitù per usucapione in contrasto con le risultanze processuali.

2. Col secondo motivo il ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 1144 c.c., in relazione all’art. 2697 c.c., e ha prospettato il vizio di motivazione della sentenza della Corte territoriale in ordine alla valutazione della ritenuta ricostruzione dell’esercizio del passaggio a titolo di concessione personale.

3. Le due censure – che possono essere esaminate congiuntamente in quanto strettamente connesse – non sono meritevoli di accoglimento.

Occorre, innanzitutto, chiarire che la Corte territoriale ha esattamente ricostruito l’azione esperita dal ricorrente come un’azione di condanna degli originari convenuti alla rimozione di materiali dalla stradella che impedivano l’accesso all’immobile di sua proprietà (instando, altresì, per il risarcimento dei danni) sul presupposto, però della sussistenza di una servitù di passaggio costituita in favore del suo fondo, così intendendo dedurre anche un’azione di accertamento della titolarità della servitù stessa acquistata a titolo di usucapione.

Ciò posto, la Corte palermitana, in virtù di una motivazione adeguata ed ispirata a logici principi giuridici, ha rilevato che, per un verso, era rimasto escluso che la dedotta servitù fosse stata costituita convenzionalmente (non risultando allegato alcun idoneo titolo in proposito), se non altro perchè la presunta volontà costitutiva non solo non proveniva da tutti i proprietari assunti come serventi ma era, piuttosto, interpretabile – sulla scorta del contenuto dell’atto di provenienza – come una concessione a titolo precario. D’altro canto, il giudice di secondo grado, con accertamento riguardante una "questio facti" supportato da un più che sufficiente e logico percorso argomentativo, ha escluso la strumentale destinazione della stradella alle esigenze del fondo del ricorrente alla stregua della inesistenza di opere e segni di raccordo su di essa da cui poter desumere, senza incertezze od ambiguità, la funzione di accesso al supposto fondo dominante attraverso il preteso fondo servente, essendo anzi rimasto riscontrato – alla luce delle complessive emergenze probatorie (v.

pag. 10 della sentenza, laddove si pone riferimento anche alle risultanze della c.t.u.) – che la stradella stessa era, in pratica, pacificamente utilizzata da una vera e propria collettività di persone.

In relazione a tali elementi di fatto congruamente accertati in dipendenza di un corretto e logico ragionamento la Corte sicula ha, perciò, altrettanto esattamente escluso che si fossero configurati, nella fattispecie, i presupposti necessari ai fini dell’acquisto a titolo di usucapione della servitù dedotta in controversia, essendosi il giudice di secondo grado uniformato alla costante giurisprudenza secondo la quale il requisito dell’apparenza ( senza il quale, ai sensi dell’art. 1061 c.c., la servitù non può essere usucapita) deve essere legato ad una situazione oggettiva di fatto di per sè rivelatrice dell’assoggettamento di un fondo ad un altro in ragione della presenza di opere inequivocamente destinate all’esercizio della servitù (e l’esistenza del box non assume un rilievo decisivo allo scopo nel caso in questione), dovendo conseguentemente dipendere dalle oggettive caratteristiche dell’opera, e non già dal modo in cui questa viene utilizzata (elementi, questi, invece, non risultati adeguatamente provati nel caso di specie). In altri termini, il requisito dell’apparenza della servitù, necessario ai fini del relativo acquisto per usucapione o per destinazione del padre di famiglia (art. 1061 c.c.), si configura come presenza di segni visibili di opere permanenti obiettivamente destinate al suo esercizio e rivelanti in modo non equivoco l’esistenza del peso gravante sul fondo servente, in modo da rendere manifesto che non si tratta di attività compiuta in via precaria, bensì di preciso onere a carattere stabile, con la conseguenza che non è al riguardo, pertanto, sufficiente l’esistenza di una strada o di un percorso idonei allo scopo, essendo viceversa essenziale che essi mostrino di essere stati posti in essere al preciso fine di dare accesso attraverso il fondo preteso servente a quello preteso dominante, e, pertanto, un "quid pluris" che dimostri la loro specifica destinazione all’esercizio della servitù (cfr, ad es., Cass. n. 2994 del 2004; Cass. n. 15447 del 2007 e, da ultimo, Cass. n. 13238 del 2010).

Deve, peraltro, osservarsi che, con il secondo motivo riferito alla censura relativa al ritenuto esercizio del passaggio a titolo di concessione personale della parte venditrice, il ricorrente ha dimostrato di non aver colto – nel momento in cui ha posto riguardo alla supposta ricostruzione di detto esercizio quale possibile atto di tolleranza – la "ratio decidendi" della sentenza impugnata laddove, invece, quest’ultima non ha fatto alcun riferimento al disposto dell’art. 1144 c.c., irrilevante nella fattispecie alla stregua del contenuto dell’esperita azione, in considerazione della idonea interpretazione della clausola (come riportata in narrativa e senza che, in relazione alla stessa, siano state prospettate doglianze relative alla eventuale violazione dei canoni legali di ermeneutica previsti dagli artt. 1362 e segg. c.c.) risultante dall’atto di acquisto del fondo (dal quale non emergeva alcuna costituzione di un diritto reale) e dell’accertata insussistenza delle necessarie condizioni per l’acquisto a titolo di usucapione della pretesa servitù.

4. In definitiva, alla stregua delle complessive ragioni esposte e tenuto conto che la Corte territoriale non è incorsa in alcuna delle violazioni di legge dedotte e in alcun vizio motivazionale, il ricorso del C. deve essere rigettato. In difetto della costituzione degli intimati non vi è luogo a provvedere sulle spese della presente fase.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di cassazione, il 10 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2012

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