Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Roma, sez. II-bis, con la sentenza n. 3376 dell’11 aprile 2003, ha in parte respinto e in parte dichiarato inammissibile il ricorso proposto dall’odierno appellante per l’annullamento della determinazione dirigenziale del Dipartimento IX – III U.O. n. 41 del 17.3.2000 e relativa nota di trasmissione pervenuta in data 6.11.2001, avente ad oggetto richiesta di pagamento di somme, a titolo di contributo per acquisizione di aree concesse in diritto di superficie, nel Piano di Zona C8 "Casal Brunori", nonché della delibera consiliare n. 150 del 17.5.1991 (avente ad oggetto le richieste di conguaglio per la concessione di aree, nei Piani di Zona ex L. n. 167 del 1962) e la delibera consiliare n. 1929 in data 8.4.1983 (avente ad oggetto lo schema di convenzione, ai sensi dell’art. 35 della L. n. 865 del 1971, per la concessione del diritto di superficie, sulle aree anzidette); in primo grado, l’appellante ha, inoltre, chiesto l’accertamento dell’impossibilità per l’Amministrazione di richiedere a conguaglio le somme di cui si è detto.
Il TAR fondava la sua decisione rilevando che risultava applicabile alla fattispecie la norma di cui all’art. 35 della L. 22 ottobre 1971, n. 865, sostitutivo dell’art. 10 della L. 18 aprile 1962, n. 167 che regola la cessione delle aree edificabili comprese nei piani di zona e acquisite in via espropriativa, al fine di realizzare alloggi di edilizia residenziale pubblica, mediante deliberazione dei competenti organi municipali e successiva convenzione, nell’ambito di uno schema concessorio, che vede i privati concessionari soggetti ai poteri autoritativi dell’ente fino a che non sia realizzata la finalità pubblicistica, cui la cessione è diretta.
Sia la deliberazione del Comune di concedere, su aree costituenti il proprio patrimonio, un diritto di superficie finalizzato alla costruzione di alloggi di tipo economico e popolare, sia la convenzione attuativa, stipulata dal concessionario ex art. 10 L. n. 167 del 1962, compongono dunque una fattispecie complessa di concessione amministrativa; le questioni inerenti il pagamento del corrispettivo, dovuto dal concessionario ed in ordine al quale non sussiste alcun potere discrezionale della P.A., in particolare, rientrano secondo nella giurisdizione del Giudice Ordinario, a norma dell’art. 5, comma 2, della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, ratione temporis applicabile.
Pertanto, conclude il TAR sul punto, le censure riconducibili all’oggettiva quantificazione e liquidazione del corrispettivo di cui si discute è materia sottratta alla giurisdizione del G.A. ex art. 5, comma 2, L. n. 1034 del 1971, all’epoca vigente, con conseguente inammissibilità delle censure stesse
Secondo il TAR, inoltre, l’inammissibilità del ricorso investe l’impugnazione delle delibere consiliari nn. 150 del 17.5.1991 e 1929 in data 8.4.1983, in quanto i contenuti precettivi delle medesime, per ciò che concerne la preclusione del conguaglio dopo l’assegnazione definitiva degli alloggi ed il riferimento ai corrispettivi di concessione delle aree (anziché al prezzo unitario, riferito all’intero PEEP), risultano inerenti la regolamentazione pubblicistica di concessione del diritto di superficie, sottratta all’autonomia negoziale, ed avrebbero dovuto, quindi, essere impugnati entro termini decadenziali.
Ulteriore inammissibilità, sempre secondo il TAR, investe la contestazione, specificamente riferita alla delibera consiliare n. 150/91, atteso che l’eliminazione della clausola, preclusiva della richiesta di conguaglio dopo il trasferimento dei beni a terzi, viene censurata nella duplice prospettiva della lesione degli interessi abitativi delle fasce economicamente più deboli (quindi con una censura relativa ad un interesse avente carattere non personale e diretto) e del difetto di legittimazione passiva delle società ricorrenti, società che, tuttavia, non potevano ritenersi, dopo la vendita degli alloggi, svincolate da qualsiasi obbligo, relativamente a quello, che è normativamente configurato come corrispettivo del diritto di superficie, alla medesima assegnato.
Inoltre, ha osservato il TAR, la possibilità di effettuare il conguaglio anche dopo la cessione degli alloggi è ribadita nella delibera di G.M. n. 31-90, non impugnata.
Per quanto riguarda la misura del conguaglio, tale ultima delibera ha fatto salva la possibilità, disciplinata dall’art. 13 dello schema di convenzione, di maggiorare il prezzo degli alloggi stessi "in dipendenza ed in ugual misura di eventuali variazioni del corrispettivo di concessione", quindi, con una previsione, ribadita negli atti concessori, di aggiornamento del corrispettivo della concessione stessa, in relazione al costo effettivo sostenuto dal Comune, per l’acquisizione delle aree, non al costo medio di acquisizione delle aree comprese nell’intero PEEP.
Ancora, secondo il TAR, la procedura espropriativa avviata dal Comune di Roma per l’acquisizione delle aree, comprese nel Piano di Zona, nonché la successiva istanza del medesimo Comune alla Regione, perché venisse determinata la misura dell’indennità di esproprio, costituivano fasi procedurali interne, in rapporto al processo di individuazione del corrispettivo di concessione del diritto di superficie, di cui all’art. 3 della convenzione e, pertanto, non gravava sul Comune di Roma l’onere di comunicare alla ricorrente l’avvio del sub-procedimento in questione, ex art. 7 L.n. 241 del 1990, potendo tale parte avvalersi del successivo art. 9 della medesima legge, che attribuisce a qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento la facoltà di intervenire nel procedimento. Quest’ultima norma, dunque, era l’unica cui dovevano affidarsi nel caso di specie le garanzie partecipative.
Secondo l’appellante, la sentenza merita riforma in quanto il TAR avrebbe erroneamente ritenuto sussistente un diritto al conguaglio invece inequivocabilmente escluso, poiché relativo soltanto a due tassative ipotesi previste in convenzione: sopravvenienze normative in materia di indennità di esproprio ovvero sentenze passate in giudicato in seguito ad opposizione alla stima.
Inoltre sostiene l’appellante che la mancata comunicazione agli assegnatari dell’avvenuta accettazione dell’indennità di esproprio avrebbe comportato una violazione dei doveri di correttezza e del principio di buona fede e di leale collaborazione delle parti nella gestione del rapporto convenzionale.
In via subordinata, l’appellante solleva la questione del calcolo dell’indennità presuntiva di esproprio in relazione all’intero PEEP e non calcolata sui singoli paini di zona: anche gli eventuali conguagli, per coerenza, avrebbero dovuto essere parametrati al medesimo criterio.
Vengono inoltre riproposte le domande di annullamento delle delibere giudicate dal TAR inammissibili, sostenendo sotto il profilo della giurisdizione, la riconducibilità della materia nell’alveo dell’urbanistica ex art. 34 D.Lgs. n. 80 del 1998, ratione temporis vigente.
Si costituiva l’Amministrazione intimata chiedendo il rigetto dell’appello.
All’udienza pubblica del 2 dicembre 2011 la causa veniva trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
Rileva il Collegio che, sotto il profilo del diritto del Comune di Roma (oggi Roma Capitale) di richiedere, ad imprese e cooperative, il conguaglio per i costi di assegnazione di aree di edilizia residenziale pubblica a seguito di maggiori oneri dipendenti dalle indennità corrisposte ai proprietari espropriati, anche dopo l’assegnazione:
– lo schema generale di convenzione approvato con delibera C.C. di Roma n. 1929 dell’8.4.1983, all’art. 3, comma 3, effettivamente impediva tale conguaglio;
– tuttavia, con delibera C.C. n. 150 del 17.5.1991, è stato modificato in via generale lo schema di convenzione di cui alla citata Delib. n. 1929 del 1983;
– in ogni caso, per quanto riguarda l’area "Casal Brunori", oggetto dell’assegnazione in questione, già la delibera d’urgenza delle Giunta Municipale n. 1807 del 1989 aveva provveduto ad escludere l’operatività della clausola di cui all’art. 3, comma 3, della convenzione, stipulata secondo lo schema generale di cui alla citata delibera C.C. di Roma n. 1929 del 1983 che, come detto, impediva il conguaglio dopo l’assegnazione definitiva degli alloggi;
– la successiva delibera del Consiglio Comunale di Roma 26.3.1997, n. 23 ha ribadito il contenuto delle succitate delibere, che consentivano inequivocabilmente la richiesta di conguaglio anche posteriormente all’assegnazione definitiva degli alloggi;
– le convenzioni stipulate sono indubbiamente posteriori alla delibera C.C. n. 150 del 17.5.1991 con cui, si ribadisce, è stato modificato in via generale lo schema di convenzione di cui alla citata Delib. n. 1929 del 1983 e, segnatamente, l’art. 3 in questione.
Pertanto, alla luce di tali rilievi, è evidente che la pretesa dell’appellante di applicare ancora l’originario principio della convenzione del 1983, che vietata la richiesta di conguaglio dopo l’assegnazione definitiva degli alloggi, è del tutto destituita di fondamento, atteso che tale regola era stata da tempo cancellata e non era nemmeno riprodotta nelle convenzioni specificamente stipulate con le varie imprese assegnatarie del diritto di superficie.
Per quanto riguarda la fonte dei reciproci diritti ed obblighi, ravvisata intangibile dal TAR alla luce della evidente tardiva impugnazione dei relativi atti, è peraltro corretta la prospettazione di parte appellante secondo cui la convenzione sottoscritta dalle parti prevedeva l’obbligo del conguaglio in caso di nuove disposizioni legislative o sentenze definitive emesse in sede di opposizione alla stima delle indennità.
Non è invece condivisibile che tali ipotesi sarebbero ben diverse dalla volontaria e discrezionale accettazione delle somme da parte dei soggetti espropriati.
Infatti, il contestato aumento è dipeso dall’istituto della cessione volontaria delle aree che ha consentito all’espropriando di evitare l’abbattimento del 40% dell’indennità, come previsto dall’art. 5-bis della L. 8 agosto 1992, n. 359.
Peraltro, la Corte Costituzionale, con la sentenza 16 giugno 1993, n. 283, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del secondo comma di tale norma, nella parte in cui non prevedeva in favore dei soggetti già espropriati al momento dell’entrata in vigore della citata L. n. 359 del 1992, e nei confronti dei quali la indennità di espropriazione non fosse ancora divenuta incontestabile, il diritto di accettare l’indennità di cui al primo comma con esclusione della riduzione del 40%.
Non si può proprio dubitare, cioè, che siffatto maggior onere discende direttamente dalla legge e rientra a pieno titolo nelle previsioni della convenzione denunziata quale ipotesi di dovuto "conguaglio in caso di nuove disposizioni legislative".
In derivazione cadono, pertanto, tutte le altre doglianze collegate a questo tema centrale.
In primo luogo, l’Amministrazione comunale ha richiesto a tal titolo un corrispettivo presuntivamente calcolato sull’intero PEEP, vale a dire il programma generale che "contiene" tutti i singoli piani di zona attuativi del programma medesimo, mentre il conguaglio è stato, invece, calcolato sui costi del singolo piano: non vi può essere una reciproca influenza di tali due momenti, logicamente e giuridicamente ben distinti.
In ogni caso, l’art. 35 della L. 22 ottobre 1971, n. 865, con riguardo al primo comma in relazione all’ottavo, stabilisce che i corrispettivi e i prezzi delle aree cedute devono, nel loro insieme, assicurare la copertura delle spese sostenute dal Comune o dal Consorzio per l’acquisizione delle aree comprese nel piano approvato (in base al criterio del perfetto pareggio economico): nella specie il Comune di Roma ha approvato distinti piani nell’ambito di un’area vasta in applicazione della L. 18 aprile 1962, n. 167 sull’edilizia economica e popolare.
Ne deriva l’inconferenza del fatto che gli acconti siano stati determinati con riferimento al programma generale PEEP delle aree da acquisire, posto che l’art. 16 del D.L. 22 dicembre 1981, n. 786, convertito con modificazioni in L. 26 febbraio 1982, n. 51, ha previsto che il prezzo di concessione in diritto di superficie delle aree destinate ad interventi di edilizia economica e popolare "deve essere determinato in misura tale da coprire le spese di acquisto".
Tali costi devono essere riferiti, in coerenza, al relativo comparto edificabile per lasciare inalterati i necessari "utili ed oneri" tra i vari attuatori ed i singoli beneficiari.
Di conseguenza, quand’anche nessuna previsione fosse contenuta in convenzione, così come dedotto, dovrebbe ad ogni modo ritenersi operante ex art. 1339 c.c., per il conguaglio contestato, il contenuto inderogabile delle richiamate disposizioni legislative che sorreggono la convenzione stessa e che impongono la completa copertura delle spese sostenute dal Comune ai suddetti scopi (Consiglio di Stato IV, 21 febbraio 2005, n. 577).
Ancor più irrilevante è la circostanza che la società appellante, così come tutti gli assegnatari, non ha partecipato ad alcuna fase del procedimento di determinazione della indennità, né è mai stata informata in alcun modo dell’avvenuta stima e tantomeno dell’accettazione della somma da parte dei proprietari.
In primo luogo, in quanto nell’odierna impugnazione non sono neppure coinvolte le determinazioni relative ai criteri e alla stime circa la liquidazione delle indennità agli espropriati.
Inoltre, a norma delle ricordate leggi sull’edilizia residenziale pubblica, le aree comprese nei piani approvati sono espropriate dai Comuni e dai loro Consorzi e i soggetti attuatori o assegnatari finali non sono contemplati come persone interessate perché il procedimento espropriativo è scandito dalla legge secondo appropriati criteri e modalità di indennizzo, anche quanto alle maggiorazioni dovute per cessione volontaria e per le aggiuntività spettanti a coltivatori e coloni agricoli.
Pertanto, il conguaglio richiesto dal Comune non è l’effetto di un fatto illecito, bensì è il frutto del rispetto, da parte dell’Ente concedente, della sequenza indicata dalle citate norme per causali a cui l’Amministrazione non poteva in nulla sottrarsi, come anche riconosciuto dalla Corte Costituzionale nella sentenza dapprima rammentata, costituendo un diritto potestativo dell’espropriato quello di addivenire alla cessione volontaria.
Né, infine, sono prospettabili violazioni del dovere di buona fede da parte dell’Ente locale poiché, come detto, l’obbligo di conguaglio rinviene per la ricorrente originaria non dalla convenzione, bensì direttamente dalla volontà di legge che presiede alla materia dell’edilizia residenziale pubblica.
Per quanto riguarda la domande di annullamento (riproposta in appello) delle delibere consiliari n. 150 del 17 maggio 1991 e, in parte qua, n. 1929 in data 8 aprile 1983, il cui contenuto si è già ampiamente trattato, si deve confermare la declaratoria di inammissibilità, per tardività, sancita dal TAR, atteso che tali delibere sono antecedenti alle convenzioni di assegnazione del diritto di superficie, e, anzi applicative di tali delibere, dunque, conosciute antecedentemente dall’appellante e già direttamente lesive del suo interesse ad inserire in convenzione l’originaria clausola che vietava la richiesta di conguaglio post vendita definitiva degli alloggi edificati.
Infine, per quanto riguarda la questione di giurisdizione del giudice amministrativo, negata dai primi giudici che hanno dichiarato in parte inammissibile il ricorso in relazione al quantum dell’obbligazione, e riproposta dalla società appellante, si deve osservare quanto segue.
La società appellante non contesta la ragione del dichiarato difetto di giurisdizione in relazione alla materia della concessione di beni pubblici (art. 5, 2 comma, L. n. 1034 del 1971), ma sostiene che tale norma generale sia recessiva rispetto alla regola speciale in materia urbanistica ed edilizia ravvisabile nell’art. 34 D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, come sostituito dall’art. 7 L. n. 205 del 2000.
Tuttavia, è noto che, con la nota senza della Consulta del 2004 (C. cost. 6 luglio 2004, n. 204; id., 11 maggio 2006, n. 191), la giurisdizione esclusiva in materia di uso del territorio non può avere carattere generale fino a ricomprendere anche controversie puramente patrimoniali, non attinenti all’esercizio di poteri pubblicistici, come quella in oggetto.
La sentenza di primo grado deve essere, dunque, anche sotto questo profilo, confermata.
Le spese di lite possono essere compensate, sussistendo giusti motivi.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta),
definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto, lo respinge, confermando per l’effetto la sentenza impugnata.
Compensa, tra le parti, le spese di lite del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 dicembre 2011 con l’intervento dei magistrati:
Luciano Barra Caracciolo, Presidente
Francesco Caringella, Consigliere
Roberto Chieppa, Consigliere
Francesca Quadri, Consigliere
Paolo Giovanni Nicolo’ Lotti, Consigliere, Estensore
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