Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Stunt Publicity s.r.l propose ricorso avverso avvisi di accertamento concernenti l’imposta comunale sulla pubblicità per l’anno 2001.
Costituitosi il Comune, l’adita commissione provinciale accolse il ricorso, con decisione confermata, in esito all’appello del Comune, dalla commissione regionale.
I giudici di appello, in particolare, rilevarono l’inammissibilità dell’appello per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 23 e 57, perchè le "eccezioni-censure" del Comune non sarebbero state proposte nella memoria di costituzione del 10.4.2002, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 23, ma con memoria depositata nel 2004, alla vigilia della discussione.
Avverso la decisione di appello, il Comune ha proposto ricorso per cassazione in unico motivo.
La società contribuente ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
Con l’unico motivo di ricorso, il Comune di Roma – deducendo "violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 23, 32 e 51" – formula i seguenti quesiti di diritto: "1) Dica la Suprema Corte se sia configurabile la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 546 del 1992, artt. 23 e 51, pronunciandosi sulla questione se le eventuali preclusioni in appello riguardino o no i fatti e le argomentazioni strettamente connessi alla domanda accolta dal Giudice di primo grado; ovvero l’illustrazione, con nuovi argomenti, di eccezioni previamente formulate, ove non sia violato il divieto di ampliamento del thema decidendum; 2) Dica altresì se sia configurabile la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 23 e 32, pronunciandosi sulla questione se il termine di cui all’art. 23 abbia natura ordinatoria, non impedendo alla parte resistente l’enunciazione dei fatti costitutivi dell’obbligazione tributaria in contestazione, nè la negazione dei fatti costitutivi del diritto vantato dalla controparte nel rispetto di quanto previsto dell’art. 32".
Il ricorso è inammissibile.
Esso assolve, infatti, la prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, circa l’esposizione sommaria dei fatti di causa, indebitamente (cfr. 5698/12, 19255/10, 16628/09), attraverso la mera pedissequa riproduzione e giustapposizione degli atti di causa.
Atteso che si verte in tema di ricorso per cassazione avverso sentenza di appello pubblicata dopo l’1.3.2006 e prima del 4.7.2009 (cfr. Cass. 22578/09), deve, peraltro, rilevarsi l’inammissibilità delle singole censure proposte, per violazione delle prescrizioni di cui all’art. 366 bis c.p.c., in tema di "quesito di diritto".
Ed invero, ai sensi della disposizione indicata, il quesito inerente ad una censura in diritto – dovendo assolvere la funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale – non può essere meramente generico e teorico ma deve essere calato nella fattispecie concreta, per mettere la Corte in grado poter comprendere dalla sua sola lettura, l’errore asseritamente compiuto dal giudice a quo e la regola applicabile (v. Cass. s.u. 3519/08);
Alla stregua delle considerazioni che precedono, s’impone il rigetto del ricorso.
Per la natura della controversia e tutte le peculiarità della fattispecie, si ravvisano le condizioni per disporre l’integrale compensazione delle spese.
P.Q.M.
La Corte: rigetta il ricorso e compensa le spese.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 maggio 2012.
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