Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1 .-. B.F. e V.G. hanno proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe, con la quale il Tribunale di Napoli, adito ex art. 309 c.p.p., ha confermato la misura cautelare della custodia in carcere disposta dal GIP di Napoli in data 4-3-11 nei confronti del primo per partecipazione ad associazione camorristica (clan D’Alessandro) e nei confronti del secondo per rapina aggravata in concorso ai danni della gioielleria (OMISSIS), ubicata in (OMISSIS).
B.F. deduce violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla ritenuta sussistenza del quadro indiziario a sui carico. A suo avviso, il Tribunale non avrebbe tenuto in debito conto le peculiarità delle relazioni personali e familiari di esso B.F., padre di B.S. e cognato della sorella della madre di D.V.. Proprio le relazioni familiari e i rapporti di parentela del ricorrente avrebbero fornito in realtà una idonea spiegazione delle risultanze delle indagini. Ne deriverebbe che il B.F. non avrebbe rivestito alcun ruolo nel sodalizio criminoso.
V.G. eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza della aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7. Il Tribunale avrebbe concluso che la rapina contestata al V. era stata commessa al fine di agevolare il sodalizio camorristico unicamente in base alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, P.R. e P.V., dichiarazioni che al contrario sarebbero indicative della "inconsapevolezza del V. circa le specifiche finalità (caratterizzanti l’aggravante in oggetto) ipotizzate dagli inquirenti.
2 .-. Il ricorso del B. è inammissibile per genericità e per manifesta infondatezza.
Il Tribunale di Napoli ha, infatti, espressamente preso in esame tutte le doglianze oggi riproposte, osservando che le risultanze delle indagini avevano dimostrato la sussistenza di una grave piattaforma indiziaria a carico del prevenuto in ordine al reato a lui ascritto. In particolare il Tribunale si è ampiamente diffuso in una analitica ricostruzione dei fatti, ricostruzione operata in termini non soltanto logici e coerenti, ma anche aderenti alle risultanze delle indagini. A carico del B.F. si ponevano infatti le circostanziate dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, P.R. e S.M., che avevano trovato riscontro nel contenuto delle intercettazioni telefoniche effettuate, analiticamente indicate e riportate nel provvedimento impugnato, e nei riferimenti di R.C.. Tutte queste risultanze avevano dimostrato il ruolo di supplenza svolto dall’odierno ricorrente nei confronti del figlio nel coordinamento di tutte le vicissitudini del clan, con conseguente significativo apporto alla sopravvivenza ed al rafforzamento del sodalizio.
A fronte di queste coerenti conclusioni, il ricorrente, come si è visto, si è sostanzialmente limitato a prospettare rilievi del tutto generici ed apodittici e a contestare in modo del tutto assertivo la sussistenza del quadro indiziario a suo carico, proponendo ricostruzioni alternative dei fatti. In definitiva, il tessuto motivazionale dell’ordinanza censurata non presenta affatto quella carenza, contraddittorietà o macroscopica illogicità del ragionamento del giudice di merito che, alla stregua dei principi affermati da questa Corte, può indurre a ritenere sussistente il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., lett. e), nel quale si risolvono queste censure.
3 .-. Restano da esaminare i motivi formulati da V.G. in riferimento alla ritenuta sussistenza della aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7.
Anche in questo caso però non può non rilevarsi che, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, il Tribunale ha attentamente vagliato detta aggravante, ritenendola nel caso di specie sussistente in base alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, P. R. e P.V., perfettamente concordanti e riscontrate dal contenuto delle conversazioni telefoniche intercettate. In base ai riferimenti dei due collaboratori il denaro frutto della rapina serviva sia a sostenere i familiari del boss D.V. sia a pagare l’affitto della abitazione di (OMISSIS), rifugio dei latitanti dell’organizzazione quando si rendeva necessario il loro allontanamento dal territorio stabiese.
Del resto le stesse successive modalità e i luoghi di occultamento dei mezzi utilizzati per commettere il reato manifestavano come l’attrezzattura non era di pertinenza dei singoli correi ma dell’organizzazione di riferimento. In definitiva, le argomentazioni del Tribunale, oltre a costituire applicazione di consolidati orientamenti giurisprudenziali, appaiono logiche ed adeguate e, a fronte di esse, il ricorrente si è sostanzialmente limitato, anche in questo caso, a dedurre, in modo apodittico, tesi di segno contrario e ad insistere in ricostruzioni alternative dei fatti. Ma non può costituire vizio deducibile in sede di legittimità la mera prospettazione di una diversa (e, per il ricorrente, più adeguata) valutazione delle risultanze processuali. Non rientra, infatti, nei poteri di questa Corte quello di compiere una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, essendo il sindacato in questa sede circoscritto alla verifica dell’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione.
4 .-. Alla inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna di ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro mille, non ravvisandosi ragioni per escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità. La Cancelleria provvedere agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della Cassa delle Ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
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