Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con ricorso al Tribunale di Salerno in data 1 dicembre 2003, i signori A.G. e C.F. proposero opposizione alla deliberazione assembleare della Cooperativa edile Vivaldi a r.l. del 17 ottobre 2003. Gli attori, aventi causa dagli assegnatari di un alloggio, e privi essi stessi della qualità di soci della cooperativa costruttrice, esposero che con l’impugnata deliberazione era stata confermata la volontà già espressa in precedenti deliberazioni, con le quali si era illegittimamente disposto di una porzione dei beni comuni da essi acquistati unitamente all’immobile principale, rendendola oggetto di transazione. Essi dedussero che, a seguito dell’avvenuta assegnazione degli alloggi, la cooperativa non era legittimata a deliberare, e denunciarono anche altre violazioni di legge nell’impugnata deliberazione. La cooperativa resistette alla domanda.
Il Tribunale di Salerno, con sentenza 25 maggio 2007, premessa la genericità delle doglianze diverse dalla contestazione della legittimazione della cooperativa a seguito dell’assegnazione in proprietà di tutti gli alloggi, e ritenuta l’applicabilità in fattispecie del R.D. n. 1165 del 1938, affermò che la cooperativa era legittimata a provvedere alla gestione condominiale, e che le singole assegnazioni erano irrilevanti fino alla restituzione dei mutui (frazionati) erogati dall’erario, da certificarsi con apposita deliberazione della cooperativa, e respinse la domanda.
La Corte d’appello di Salerno, con sentenza 30 settembre 2010, ha respinto l’appello degli attori. La corte, ribadita la genericità delle doglianze relative alla nullità della deliberazione assembleare della cooperativa per impossibilità dell’oggetto, ha osservato che la deliberazione impugnata non conteneva determinazioni relative alla dismissione di beni comuni, ma solo atti di amministrazione, sia pure straordinaria, mentre solo in altre delibere, che erano state in precedenza e separatamente impugnate, vi sarebbero stati atti di disposizione di beni comuni. La corte ha poi ritenuto che, sino a quando la società cooperativa – in mancanza di prova dell’assegnazione di tutti i beni sociali – persista, e continui a gestire e amministrare i beni comuni, il condominio speciale previsto dal T.U. del 1938 rimane in funzione. Nella specie non era stata provata l’assegnazione in proprietà di tutti gli alloggi condominiali, e il subingresso del condominio ordinario alla gestione speciale ex R.D. n. 1165 del 1938 non si era verificato per mancanza dell’accordo di tutti i soci, escluso dall’accesa conflittualità in atto tra di loro.
Per la cassazione di questa sentenza, notificata il 10 dicembre 2010, ricorrono C.F. e A.G. con atto notificato in data 8 febbraio 2011, affidato a quattro motivi.
La cooperativa resiste con controricorso spedito il 21 marzo 2011, e con memoria.
Motivi della decisione
Le eccezioni d’inammissibilità della parte controricorrente saranno esaminate in relazione ai singoli motivi.
Con il primo motivo di ricorso si denuncia, per violazione o falsa applicazione degli artt. 2379, 1421, 1422 e 1423 c.c., il diniego della legittimazione dei ricorrenti all’impugnazione della deliberazione della cooperativa, della quale non erano soci. Al riguardo si ripropone la tesi di merito, che la cooperativa era stata sostituita, nella gestione dei beni comuni, dal condominio, e non aveva pertanto più potere di disporre al riguardo, con la conseguenza che la deliberazione impugnata era radicalmente nulla per impossibilità e gli esponenti erano legittimati a farla valere dal richiamo dell’art. 2379 c.c. – nel testo anteriore alla riforma e vigente ratione temporis, a norma dell’art. 223 sexies disp. att. c.c. – agli artt. 1420, 1421 e 1422 c.c..
Il motivo è inammissibile, avendo il giudice di merito negato la legittimazione degli odierni ricorrenti per l’azione di nullità solo con riferimento a ragioni diverse, e genericamente indicate, rispetto a quella della legittimazione della cooperativa a disporre dei beni comuni.
Con il secondo motivo si denuncia la falsa applicazione del R.D. 28 aprile 1938, n. 1165, artt. 202, 204, 209, 229 e 231. Si censura l’affermazione dell’impugnata sentenza, per cui nell’intervallo tra la stipulazione del mutuo individuale e il momento in cui tutti gli alloggi sono riscattati si configura un condominio speciale, la cui disciplina è dettata non già dagli artt. 1117 ss. c.c., bensì dalle norme del R.D. 28 aprile 1938, n. 1165.
Il motivo è manifestamente infondato. Ferma restando la vigenza del R.D. n. 1165 del 1938, artt. 212, 213 e 219, che attribuiscono alla cooperativa edilizia a contributo erariale l’amministrazione del condominio nel periodo compreso tra l’assegnazione in proprietà individuale e il momento in cui tutti gli alloggi sono riscattati, è giurisprudenza consolidata di questa corte che, nell’ambito degli edifici destinati ad alloggi popolari ed economici la gestione relativa all’uso e al godimento delle cose comuni può essere trasferita dall’ente proprietario degli alloggi ai soci assegnatari inquilini, i quali costituiscano, prima del formale trasferimento in loro favore della proprietà, un apposito "condominio di gestione";
peraltro, ai fini della costituzione del condominio di gestione, occorre l’accordo di tutti gli interessati, che può essere espresso senza particolari formalità (Cass. 30 ottobre 2006 n. 2332). A tale principio il giudice di merito si è uniformato, e la decisione è immune dal vizio di legittimità in esame.
Con il terzo motivo si censura, per insufficienza di motivazione, l’affermazione del giudice d’appello, che non vi fosse prova della volontaria costituzione di un condominio di gestione dei beni comuni da parte degli assegnatari degli alloggi. I ricorrenti sostengono che nel contratto di assegnazione dell’alloggio, da loro poi subacquistato, a favore dei loro danti causa risulta il nulla osta del ministero LL.PP. e della Cassa DD.PP. all’assegnazione dell’alloggio in proprietà, previa cancellazione delle ipoteche iscritte sul terreno e fabbricato sociale, e che la cancellazione delle ipoteche, con il consenso del creditore, era confermata anche nell’atto di vendita dell’alloggio agli esponenti. Questi elementi, si deduce, provano non solo l’assegnazione ma anche il riscatto dell’immobile. Si deduce ancora che la volontaria costituzione di un condominio di gestione sarebbe provata dall’art. 40 regolamento di condominio della società cooperativa, che prevede l’amministrazione da parte del consiglio d’amministrazione della cooperativa "fino allo scioglimento della stessa, o alla ripartizione individuale o al riscatto della proprietà in godimento".
Il motivo è infondato. Il trasferimento di proprietà dell’immobile, a seguito dell’assegnazione da parte della cooperativa, è subordinato al frazionamento del mutuo (R.D. 28 aprile 1938, n. 1165, art. 229), ma non implica l’estinzione del mutuo frazionato, che è condizione per il riscatto dell’immobile e per la costituzione del condominio ordinario. Ancor meno la prova dell’integrale pagamento del mutuo o dell’avvenuta volontaria costituzione del condominio può essere desunta dalle previsioni di un regolamento predisposto dalla cooperativa. Tali elementi non contraddicono l’affermazione del giudice di merito che non vi fosse la prova (nè dell’avvenuta assegnazione di tutti gli immobili della cooperativa, nè, comunque) della volontaria costituzione di un condominio di gestione con il consenso di tutti da parte di tutti gli assegnatari (necessario pur dopo le assegnazioni, fin quando gli immobili non siano interamente riscattati), che era di fatto impedita dall’accesa conflittualità tra gli assegnatari.
Con il quarto motivo si denuncia la violazione degli artt. 112 e 113 c.p.c.. Il giudice d’appello aveva rifiutato di esaminare gli altri motivi di nullità dedotti dagli appellanti, affermandone la genericità e omettendo di interpretarli.
I ricorrenti non riproducono il motivo d’appello del cui omesso esame di dolgono, e ciò non consente alla corte di esaminare nel merito la doglianza di omessa pronuncia. Il motivo è inammissibile.
In conclusione il ricorso è respinto. Le spese del giudizio sono a carico dei soccombenti, e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2012
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