Cass. civ. Sez. I, Sent., 11-07-2012, n. 11642

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Nel corso del 2000, l’istituto di credito italiano B. C. s.p.a. si determinò, con l’assistenza di R. s.p.a. quale advisor, alla acquisizione dell’istituto di credito tedesco E. A.G., il cui capitale sociale era posseduto, per oltre il 68%, dalla famiglia S., anche per mezzo della holding omonima. Avendo costoro preteso di effettuare la cessione delle proprie partecipazioni in contanti, si concordò che l’operazione sarebbe avvenuta mediante aumento di capitale della B. con esclusione del diritto di opzione, da coprire con conferimento in natura delle azioni E. da eseguirsi: i) da parte dell’azionista tedesco, il quale avrebbe immediatamente rivenduto le azioni B. di nuova emissione a soggetti che avevano già dichiarato la loro disponibilità all’acquisizione; ii) ovvero, a scelta dell’azionista tedesco, da parte dei predetti soggetti, che avrebbero dal medesimo acquistato le azioni E. per poi immediatamente conferirle nel capitale B. ricevendo le azioni di nuova emissione secondo il rapporto di concambio stabilito sulla base della valutazione del conferimento, eseguita da R. s.p.a. con l’intervento di K.P.M.G. s.p.a. quale società di revisione. Di tale gruppo di investitori privati faceva parte anche la E.I. s.a., società di diritto lussemburghese costituita ad hoc dalla famiglia F. di Reggio Emilia per l’operazione, la quale acquistò dalla S. B. azioni E. – che conferì immediatamente nel capitale B. – per un importo di Euro 20 milioni.
Nel maggio 2005, F.L. e E.I. s.a. convennero in giudizio, dinanzi al Tribunale di Milano, la R. s.p.a., la K.P.M.G. s.p.a. ed il revisore B.M.D. per sentire affermare la loro responsabilità, contrattuale o extracontrattuale, in via solidale o autonoma, in relazione ai danni ad essi attori derivati dalla operazione sopra descritta, per le minusvalenze sui titoli B. che assumevano derivate dalla operazione in questione. I convenuti si costituirono e chiesero tutti il rigetto delle domande proposte nei loro confronti; R. chiamò anche in causa i soggetti che erano succeduti a B. a seguito della scissione avvenuta nel 2002, cioè C. s.p.a. e F. s.p.a., per sentirsi da essi manlevare, in base ad apposita clausola del contratto con il quale B. le aveva conferito l’incarico in questione, dalle conseguenze negative e da tutti gli oneri che derivassero dall’eventuale accoglimento delle domande proposte nei suoi confronti. C. e F., costituitesi, sollevarono alcune eccezioni preliminari, e nel merito chiesero il rigetto della domanda. Il Tribunale di Milano, con sentenza del giugno 2006, respinse le domande proposte nei confronti di R., di K.P.M.G. e del B. dal F. e da E.I.. Interponevano appello questi ultimi, insistendo nelle domande proposte nei confronti degli originari convenuti. Si costituiva in giudizio R., chiedendo il rigetto del gravame e, in via di appello incidentale subordinato, la condanna di C., anche quale incorporante di F., alla manleva nei propri confronti. C., costituendosi in giudizio e resistendo al gravame, proponeva appello incidentale per la declaratoria di inammissibilità della chiamata in causa eseguita nei suoi confronti, dell’incompetenza del Tribunale di Milano e comunque per il rigetto, anche per carenza di legittimazione passiva, della domanda di manleva.
Con sentenza depositata il 24 febbraio 2010 e notificata in data 1 aprile 2010, la Corte d’appello di Milano ha integralmente confermato la sentenza del Tribunale, compensando parzialmente le spese del grado tra F. e E.I., da una parte, e R., KPMG e B. dall’altro, e compensando integralmente le spese tra R. e C.. La Corte milanese ha ritenuto che le censure mosse alla sentenza di primo grado siano ingiustificate, e che le valutazioni espresse in tale pronunzia meritino piena conferma. In particolare, ha condiviso le considerazioni del primo giudice sulla non configurabilità nella specie di una responsabilità contrattuale degli originari convenuti sotto i profili dedotti (per la mancanza di un rapporto di mandato con gli attori, e il difetto dei presupposti propri della responsabilità da contatto sociale), ed evidenziato comunque la infondatezza degli addebiti mossi dagli attori circa l’inadempimento di R. ai doveri di diligenza nell’espletamento dell’attività di consulenza e assistenza svolta su incarico di B., con riferimento sia alla valutazione della partecipazione da acquisire (che venne peraltro confermata dalla Pricewaterhouse nella relazione di stima dei conferimenti ex art. 2343 c.c. e dalla Banca d’Italia che autorizzò l’operazione di aumento), sia alla rilevazione e segnalazione di tutte le informazioni disponibili ed esigibili, rilevanti ai fini dell’investimento. Ha parimenti escluso che R. avesse svolto attività di intermediario nel collocamento delle azioni B. di nuova emissione presso gli investitori privati, in conflitto di interessi. Ed ha infine evidenziato come debba escludersi anche una responsabilità extracontrattuale per aver indotto gli attori all’investimento in questione, tenendo presente che il F., in virtù delle funzioni svolte (componente del Consiglio di amministrazione e del Comitato Esecutivo della B., della quale era socio) e della competenza in materia, era informato della operazione ben prima della sua approvazione da parte del Consiglio di Amministrazione, e d’altra parte E.I. (strumento operativo della famiglia F.) aveva già sottoscritto l’impegno di acquisto con il socio di riferimento tedesco prima della relazione effettuata sui contenuti dell’operazione stessa da R. al gruppo di investitori di Reggio Emilia, del quale il F. faceva parte. Avverso tale sentenza, F.C. e E.I., con atto notificato il 28 maggio 2010, hanno proposto ricorso a questa Corte, cui resistono con controricorso K.P.M.G. s.p.a.
unitamente a B.M.D., e R. s.p.a..
Quest’ultima in subordine, nel caso di accoglimento del ricorso e di decisione nel merito ex art. 384 c.p.c., insiste nella domanda, ritenuta assorbita dalla Corte di merito, di manleva nei confronti di U., quale incorporante di C., a sua volta incorporante di F. Group s.p.a. U. s.p.a. resiste al ricorso principale con controricorso e formula ricorso incidentale – cui a sua volta resiste con controricorso R. – in ordine alla disposta compensazione delle spese. F. e E.I., nonchè U., hanno depositato memorie difensive.

Motivi della decisione

1. Deve, innanzitutto, disporsi la riunione a norma dell’art. 335 cod. proc. civ. dei ricorsi, proposti avverso la medesima sentenza.
2. Il ricorso proposto da F.L. e da E.I. s.a. è basato su otto motivi. Con il primo si censura, sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (articoli 13 e 2331 cod. civ.) nonchè del vizio di motivazione, la statuita "assoluta assimibilabilità" della posizione di E.I. s.a. a quella di F.L., che trascurerebbe i principi fondamentali dell’autonomia giuridica e patrimoniale delle società di capitali (l’assetto proprietario della suddetta società anonima essendo peraltro riferibile non solo a F.L. ma alla intera famiglia), e non considererebbe che gli odierni ricorrenti hanno chiesto che la responsabilità di R., KPMG e B. venga accertata non solo nei confronti di F.L. ma anche – e forse soprattutto – nei confronti di E.I., e quindi nei confronti di tutti i soggetti che parteciparono all’investimento subendone rilevantissime perdite.
2.1 La censura è priva di fondamento, sotto entrambi i profili denunciati. Ritenere "assimilabili" due posizioni giuridiche non significa affatto negare che si tratti di posizioni distinte ed autonome, bensì al contrario presupporlo implicitamente. D’altra parte, le ragioni evidenziate dalla sentenza impugnata a supporto di tale assimilabitità di posizioni (è pacifico che si tratta di società costituita dalla famiglia F. al solo scopo di partecipare all’operazione in questione) non sono, a ben vedere, oggetto della critica esposta nel motivo, che in definitiva non supera la soglia di un’astratta (oltre che irrilevante, per quanto detto) affermazione di principio, priva di specifiche considerazioni in ordine ad eventuali elementi di prova, dei quali il giudice di merito non avrebbe tenuto conto, idonei a smentire quella assimilabilità di posizioni e quindi ad escludere la estensibilità ad E.I. delle considerazioni in base alle quali si è ritenuto che il F. non sia stato indotto all’investimento in questione da R..
3. Con il secondo motivo, si denuncia la violazione di norme di diritto (art. 112 cod. proc. civ., artt. 1173, 1218, 1326, 1350, 1730, 1710, 2028 e 2030 cod. civ.), nella quale la Corte di merito sarebbe incorsa verificando la configurabilità di una responsabilità contrattuale di R. nei confronti degli odierni ricorrenti solo sulla base del contratto di mandato concluso con B., così omettendo di esaminare se R. avesse concluso, di fatto, anche con essi un autonomo contratto di mandato, o se avesse assunto le obbligazioni che, a norma del codice civile, gravano su colui che scientemente, senza esservi obbligato, assume la gestione di un affare altrui.
L’omessa considerazione di tali fattispecie integrerebbe dunque, secondo i ricorrenti, sia violazione delle norme che le prevedono sia violazione del dovere di pronunciare su tutta la domanda. Con il terzo motivo, prospettano anche, sugli stessi punti, il vizio di omessa o insufficiente motivazione.
3.1. Entrambi i motivi – la cui stretta connessione ne consiglia l’esame congiunto – sono inammissibili, per novità delle questioni con essi proposte.
L’orientamento consolidato di questa Corte è nel senso che ove determinate questioni giuridiche o temi d’indagine, che implichino accertamenti di fatto non compiuti dal giudice del merito, non risultino trattate in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga tali questioni in sede di legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità delle censure, non solo di allegare l’avvenuta deduzione delle questioni innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare in base agli atti la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito le questioni stesse (cfr., ex multis: Sez. L n. 20518/08; Sez. 1 n. 18440/07; Sez. 3 n. 14590/05). A tale orientamento il Collegio intende dare qui continuità, evidenziando come le censure in esame introducano per la prima volta temi di indagine relativi, da un lato, ad un contratto di mandato diverso da quello risultante dedotto in sede di merito e sul quale si è pronunciata la sentenza impugnata, dall’altro alla sussistenza nella specie delle condizioni di fatto richieste per il sorgere di una obbligazione di fonte legale, quale quella per gestione di affari altrui, che parimenti non risulta dedotta in sede di merito, essendo peraltro radicalmente distinta dalle obbligazioni di fonte volontaria la cui violazione costituisce la causa petendi della domanda proposta.
4. Con il quarto motivo si censura, sotto il profilo della violazione di norme di diritto (artt. 1173, 1218 e 1326 cod. civ.) nonchè del vizio di motivazione, la ritenuta esclusione della ricorrenza nella specie dei presupposti per il sorgere a carico di R. di una responsabilità da "contatto sociale" nei confronti dei ricorrenti.
Sostengono che, al contrario, dal mandato, ricevuto da R., di consulenza in operazioni riguardanti il pubblico risparmio deriverebbero a carico di quest’ultima obblighi di protezione, oltre che nei confronti della mandante B., anche nei confronti di coloro che sarebbero stati i coutilizzatori di tale attività, peraltro non equiparabili a qualunque terzo attesa la qualità, rivestita dal F., di consigliere di amministrazione e azionista di B.. 4.1. La doglianza è priva di fondamento, sotto entrambi i profili denunciati. Non è invero sufficiente, per l’affermazione di una responsabilità contrattuale da "contatto sociale", la sola circostanza di fatto di essere investiti – come gli odierni ricorrenti – da conseguenze riflesse di un’attività svolta su incarico conferito da altri (cfr. Sez. 3 n. 14934/02). L’applicazione del disposto dell’art. 1218 cod. civ. oltre i confini propri del contratto ad ogni altra ipotesi in cui un soggetto sia gravato da un’obbligazione preesistente, quale che ne sia la fonte, si giustifica considerando che quando l’ordinamento impone a determinati soggetti, in ragione della attività (o funzione) esercitata e della specifica professionalità richiesta a tal fine dall’ordinamento stesso, di tenere in determinate situazioni specifici comportamenti, sorgono a carico di quei soggetti, in quelle situazioni previste dalla legge, obblighi (essenzialmente di protezione) nei confronti di tutti coloro che siano titolari degli interessi la cui tutela costituisce la ragione della prescrizione di quelle specifiche condotte. Dire che, in tali situazioni, la responsabilità deriva dal mero "contatto" serve ad evidenziare la peculiarità della fattispecie distinguendola dai casi nei quali la responsabilità contrattuale deriva propriamente da contratto (cioè dall’assunzione volontaria di obblighi di prestazione nei confronti di determinati soggetti), ma non deve far dimenticare che essenziale per la configurabilità della responsabilità in esame è la violazione di obblighi preesistenti di comportamento posti a carico di un soggetto dalla legge per la tutela di specifici interessi di coloro che entrano in contatto con l’attività di quel soggetto, che la legge stessa regola, tanto più ove il fondamento normativo della responsabilità in esame si individui – come da taluni si ritiene – nel riferimento, contenuto nell’art. 1173 cod. civ., agli altri atti o fatti idonei a produrre obbligazioni in conformità dell’ordinamento giuridico. In tal senso appare orientata la ormai ultradecennale giurisprudenza di questa Corte, che ha ravvisato la sussistenza della responsabilità in esame in una varietà di casi accomunati dalla violazione di obblighi di comportamento, preesistenti alla condotta lesiva, posti dall’ordinamento a carico di determinati soggetti. Simili situazioni sono state ravvisate, in genere, nell’ambito dell’esercizio di attività professionali cd.
protette – cioè riservate dalla legge a determinati soggetti, previa verifica della loro specifica idoneità, e sottoposte a controllo nel loro svolgimento – quali quelle non solo di medico ospedaliero o di mediatore o di avvocato (cfr. rispettivamente: S.U. n. 577/08; Sez. 3 n. 16382/09; S.U. n. 6216/05) ma anche di banchiere (nel caso, esaminato dalla nota S.U. n. 14712/07, della responsabilità della banca negoziatrice di assegno bancario nei confronti di tutti gli interessati alla corretta circolazione del titolo). Sulla base del medesimo iter logico-giuridico, la sussistenza di un contatto sociale qualificato è stata ravvisata anche al di fuori di tali ambiti, come nel caso dell’insegnante dipendente di Istituto scolastico ritenuto contrattualmente responsabile, in solido con l’Istituto, dei danni prodotti a sè stesso dall’allievo, per violazione di specifici obblighi di protezione e vigilanza posti a suo carico nell’ambito della attività di istruzione (cfr. Sez. 3 n. 5067/10).
Nel caso in esame, difetta per l’appunto – come la Corte di merito ha, sia pure sinteticamente, affermato – il predetto elemento essenziale, non essendo stata neppure dedotta dagli odierni ricorrenti la violazione di specifici obblighi preesistenti posti dalla legge a carico di R. in ragione della attività da essa svolta nella specie. L’attività di advisor, cioè di consulente, da essa svolta in base all’incarico ricevuto da soggetto distinto dagli odierni ricorrenti non è riconducibile a quella regolata dalla legge – dell’intermediario finanziario (la Corte di merito ha peraltro escluso una intermediazione nel collocamento presso gli investitori senza che, sul punto, il ricorso abbia indicato precisi elementi di prova del contrario che non siano stati considerati nella sentenza);
e d’altra parte l’affermazione della pretesa sua responsabilità contrattuale richiederebbe l’individuazione – che nella specie non è dato riscontrare nella prospettazione dei ricorrenti – della violazione di uno o più specifici obblighi posti dall’ordinamento a suo carico in ragione della sua attività, non essendo a tal fine apprezzabile il generico riferimento alla tutela costituzionale del risparmio. Il rigetto della censura in esame ne deriva dunque di necessità.
5. Resta assorbito nelle considerazioni che precedono – che mantengono ferma la non configurabilità nella specie di una responsabilità contrattuale di R. nei confronti degli odierni ricorrenti – il sesto motivo di ricorso, con il quale vengono censurate, sotto il profilo della violazione di legge (artt. 1175, 1176 e 1375 cod. civ.) e del vizio di motivazione, le ulteriori ragioni indicate dalla Corte di Milano circa l’infondatezza, anche nel merito, della domanda di accertamento della suddetta responsabilità contrattuale per l’insussistenza delle dedotte violazioni dei doveri di correttezza, diligenza e buona fede nell’espletamento dell’attività di consulenza e assistenza svolta da R. su incarico di B.. 6. Il quinto ed il settimo motivo hanno ad oggetto la statuita esclusione di una responsabilità extra contrattuale di R. nei confronti dei ricorrenti.
6.1. Con il quinto, viene denunciata l’omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione in ordine alla questione, sollevata dagli odierni ricorrenti, della qualificazione della operazione di acquisizione in questione come fattispecie a formazione progressiva;
questione che, contrariamente a quanto si adduce nel ricorso, la Corte di Milano ha ritenuto non decisiva, tenendo presente che il F., in virtù delle funzioni svolte (componente del Consiglio di amministrazione e del Comitato Esecutivo della B., della quale era socio) e della competenza in materia, era informato della operazione ben prima della sua approvazione da parte del Consiglio di Amministrazione alla fine di giugno 2000, e d’altra parte E.I. (come detto strumento operativo della famiglia F. per l’operazione) aveva già, il 12 luglio 2000, sottoscritto l’impegno di acquisto per 20 milioni di Euro con il socio di riferimento tedesco quando, il 20 luglio 2000, R. presentò i contenuti dell’operazione stessa al gruppo di investitori di Reggio Emilia del quale il F. faceva parte. Lamentano i ricorrenti che, in tal modo, la Corte di merito avrebbe escluso il nesso causale tra la condotta della resistente ed i danni da essi subiti, trascurando l’evoluzione progressiva che l’operazione di acquisizione ha avuto.
6.2. Ritiene il Collegio che la motivazione in esame non meriti le censure esposte in ricorso, avendo il giudice di merito, nella valutazione discrezionale ad esso riservata, congruamente e coerentemente evidenziato – non solo ai fini del nesso causale, bensì della individuazione stessa di una condotta colposa rilevante ex art. 2043 c.c. – come la determinazione da parte dei ricorrenti all’acquisizione risulti, anche (ma non solo) sotto il profilo della successione temporale, indipendente dall’attività di R.. Non appaiono idonei a condurre a diverse conclusioni gli argomenti che i ricorrenti oppongono: che cioè l’impegno all’acquisto di azioni E. sia stato modificato da E.I. con altra scrittura sottoscritta il 27 luglio 2000 – ma non si contesta che fosse già stato assunto per iscritto il 12 -; o che comunque si trattasse di mero impegno preliminare e prodromico – ma non lo si dimostra con riferimento a specifici elementi di prova -; o che l’acquisto sia stato perfezionato solo nel gennaio 2001 – ma l’impegno era stato già consapevolmente assunto, e oltretutto la sua violazione avrebbe comportato rilevanti conseguenze patrimoniali negative a carico dei ricorrenti. La censura non può dunque trovare accoglimento.
6.3 Altrettanto vale per il settimo motivo, con i quale si torna a censurare, sotto i profili della erronea applicazione dell’art. 2043 cod. civ. e del vizio di motivazione, l’esclusione di una responsabilità extra contrattuale di R.. Da un lato, manca nella illustrazione del motivo ogni riferimento ad una erronea ricognizione, nella sentenza impugnata, del contenuto normativo dell’art. 2043; dall’altro, trattasi di censura in fatto, che si mostra priva di puntuali riferimenti alle fonti di prova, ed al relativo contenuto, che il giudice di merito non avrebbe considerato nell’escludere l’ipotesi della induzione dei ricorrenti all’investimento, e che invece sarebbero decisive per confermarla.
7. Infine con l’ottavo motivo i ricorrenti denunciano la violazione di norme di diritto (D.Lgs. n. 58 del 1998, artt. 158 e 164) e la omessa motivazione del rigetto della domanda di accertamento della responsabilità di KPMG s.p.a. e di B.M. per la loro condotta di sostanziale adesione – anche nei pareri rilasciati sulla congruità del prezzo di emissione delle azioni B. in sede di aumento di capitale – alle valutazioni espresse dall’advisor R. in relazione alla complessiva operazione E., condotta costituente, secondo la pospettazione esposta in ricorso, inadempimento agli obblighi di legge inerenti all’incarico di revisione della contabilità di B.. 7.1. Anche questa censura non merita accoglimento. In linea generale, la motivazione del rigetto appare implicitamente espressa con le considerazioni puntualmente esposte nella sentenza impugnata (pagg.12- 14) circa la genericità e l’infondatezza degli addebiti rivolti dagli odierni ricorrenti a R. in ordine ad una negligente esecuzione dell’incarico ricevuto, tanto sotto il profilo della valutazione di E. quanto sotto quello della complessiva valutazione dei rischi dell’operazione. Invero tali considerazioni appaiono logicamente idonee ad escludere anche una responsabilità del revisore sotto i profili esposti in ricorso. D’altra parte, con tale esposizione i ricorrenti non hanno adempiuto all’onere, su di essi incombente, di precisare il contenuto delle censure da essi proposte, in atto di appello, avverso la sentenza di primo grado con riguardo alla posizione di KPMG e del B., in tal modo precludendo a questa Corte di legittimità la verifica – senza procedere ad una non consentita indagine sugli atti di causa – in ordine alla ammissibilità della censura esposta in ricorso. Censura che quindi, così espressa, è inapprezzabile perchè generica.
8. Privo di fondamento è anche l’unico motivo di ricorso incidentale, con il quale U. s.p.a. censura, sotto il profilo della violazione di norma di diritto (art. 91 cod. proc. civ.) e del vizio di motivazione, la statuita compensazione delle spese di lite di primo grado tra C. s.p.a. (cui la ricorrente è succeduta) e R.. La scelta di avvalersi della facoltà di compensazione prevista dall’art. 92 cod. proc. civ. è rimessa (tanto più alla stregua del testo della norma applicabile nella specie ratione temporis, senza le modifiche introdotte dalla L. n. 69 del 2009) alla valutazione discrezionale del giudice del merito ed è quindi sindacabile in sede di legittimità solo ove le ragioni esposte a sostegno di tale scelta appaiano manifestamente il logiche o contraddittorie. Ciò che, nella specie, va senz’altro escluso, atteso che le ragioni indicate dalla Corte territoriale a sostegno della compensazione integrale delle spese tra C. e R. (le questioni da esse rispettivamente proposte non hanno formato oggetto di decisione, essendo la domanda di manleva rimasta assorbita) non appaiono nè prive di logica (non vi è una parte soccombente, e d’altra parte R. si è avvalsa di un proprio diritto, a fronte di una pretesa nei suoi confronti che la Corte ha giudicato non temeraria) nè in contrasto con la parziale compensazione delle spese disposta tra R. e gli attori (dalla quale non è dato desumere alcuna implicita statuizione di responsabilità della predetta per le spese di lite sostenute da C.).
9. Le spese di questo grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, con la compensazione tra U. e i ricorrenti principali, che non hanno formulato domande nei suoi confronti.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione in favore di R. s.p.a., spese che liquida in Euro 50.000,00 per onorari e Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali ed accessori di legge, e in eguale somma in favore di K.P.M.G. s.p.a. e B.. Compensa le spese tra i ricorrenti e U. s.p.a.
Condanna U. s.p.a. al pagamento delle spese in favore di R. s.p.a., in Euro 2.000,00 per onorari e Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 31 gennaio 2012.
Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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