Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. Con ordinanza del 9.10.2011 il g.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria ha applicato a V.D. la misura cautelare della custodia in carcere in riferimento al reato di associazione criminosa armata di stampo mafioso per aver fatto parte, in epoca successiva a precedente condanna ex art. 416 bis c.p., della cosca (c.d. locale) di ‘ndrangheta denominata Zito-Bertuca, diretta da B.P. ed operante nell’area territoriale a Nord di Reggio Calabria.
Con provvedimento del 27.10.2011 il Tribunale di Reggio Calabria ha rigettato l’istanza di riesame del V. e confermato l’ordinanza coercitiva, ritenendo sussistere gravi indizi di colpevolezza nei confronti del prevenuto per la sua condotta associativa criminosa ed esigenze cautelari tutelabili con la sola custodia carceraria.
Con sentenza del 16.3.2012 questa S.C. (Sezione Seconda penale) ha annullato con rinvio la decisione del Tribunale reggino per motivi processuali (omessa traduzione in udienza di V. che, detenuto in altro circondario, ne aveva fatto richiesta).
2. Giudicando in sede di rinvio ex art. 627 c.p.p., il Tribunale del riesame di Reggio Calabria con l’ordinanza in data 3.7.2012, indicata in epigrafe, ha confermato il provvedimento restrittivo adottato dal locale g.i.p. nei confronti del V., richiamando le articolate analisi e valutazioni delle emergenze investigative effettuate con l’anteriore ordinanza, non essendo venute in luce evenienze modificative della solidità del quadro indiziario delineatosi nei confronti dell’indagato, nè delle ragioni di cautela processuale utilmente fronteggiabili con la sola misura della custodia in carcere.
Muovendo dal rilievo della perdurante operatività territoriale nell’area a Nord di Reggio Calabria delle cosche di G. C. e di B.P., entrambe attive nelle rispettive contigue zone di Campo Calabro e di Villa San Giovanni, i giudici del riesame hanno condiviso l’assunto del g.i.p. della attiva partecipazione del V. al sodalizio criminale del B., fatta palese dall’episodio di una lettera minatoria pervenuta nel marzo 2010 a M.R. e Be.Ga. in relazione all’imminente apertura a Campo Calabro di un villaggio-discoteca denominato "(OMISSIS)", gestito dai due per conto della compagine mafiosa dominante nell’intera area reggina dei Tegano-Condello ( T.B. e Co.Do.).
La vicenda asseverante la persistente attiva "mafiosità" del V. è seguita, per dir così, in tempo reale nella sua rapida evoluzione grazie ad una serie di intercettazioni ambientali e telefoniche già in atto nei confronti di più soggetti, ivi inclusi i citati Be. e M.. Costoro, contrariati dalla lettera minatoria nonostante i pregressi accordi con tutte le ‘ndrine locali coinvolte dall’imponente iniziativa economica del "(OMISSIS)" assicurati da T.B., contattano subito C.G. per esternargli i propri sospetti sul conto di V.D. ("(OMISSIS)") quale autore (come mandante o esecutore) della minaccia in ragione dell’ostilità da questi mostrata nei loro confronti. Il C., escludendo il possibile coinvolgimento del V. che è un "uomo" del gruppo di B.P. che ha già dato il suo benestare per il (OMISSIS), si impegna a risolvere la "questione" e a mettersi in contatto con il B.. Ciò avviene e il B. acconsente ad un incontro diretto per chiarimenti tra il C. e il V.. L’incontro è burrascoso e sfocia in una violenta lite tra i due, atteso che il C. è persuaso che la lettera minatoria al M. sia opera del V. e dei suoi sodali (coindagati) S.G. A. I.. Il conflitto rischia di far saltare i delicati equilibri instaurati nei rapporti tra le due cosche mafiose del C. e del B., ma il contrasto è positivamente ricomposto grazie all’intervento di altri mafiosi locali ("quelli della montagna") nel corso di un "vertice" tra C., Bu.Fe., I. V. e Z.R. (cosca Imerti-Zito e cosca Buda).
La descritta vicenda, che si svolge nell’arco di tre giorni, è scandita dalla disamina autonomamente esperita dal Tribunale (sulla scia dell’analisi già esposta nella ordinanza cautelare genetica) di cinque specifiche emergenze storico-comportamentali: 1) incontro del 25.3.2010 a bordo dell’autovettura Fiat Croma di B. (sottoposta a captazione ambientale) tra il Be., M. e C., che – nel dirsi in apparenza convinto della estraneità del V. e della cosca Bertuca alla lettera estorsiva – rassicura i due interlocutori sul suo interessamento; 2) incontro- contatto interlocutorio lo stesso 25.3.2010 (ammesso da più fonti e logicamente anteriore agli sviluppi successivi) tra P. B. e C., che informa il collaterale capo-cosca delle esigenze di chiarimento della situazione con il V. alla luce di quanto riferito da M. e Be.; 3) immediata convocazione nella tarda serata del 25.3.2010 da parte del B. di V. e S. (captazioni di conversazioni telefoniche e di s.m.s. tra le ore 20.35 e 22.24), in cui B. chiede al V. di incontrarsi con C. per chiarire la sua posizione; 4) incontro nel mattino del 27.3.2010 tra C. e V. in cui i due vengono alle mani e sono separati soltanto per l’intervento di S. e I., fatto la cui notizia si diffonde rapidamente negli ambienti mafiosi locali, venendo a conoscenza del B. e di altri capi cosca (intercettazioni tra S., I. e altre persone); 5) appianarsi dei contrasti e pacificazione all’esito dell’incontro o summit avvenuto a Fiumara di Muro nel pomeriggio del 27.3.2010 (monitorato dalla p.g. e riscontrato, quanto ai contenuti e agli scopi del vertice da più captazioni telefoniche tra C., Bu. Im. e Z.).
Ad avviso del Tribunale del riesame, che segnala il carattere confuso e contraddittorio delle dichiarazioni rese dal V. al g.i.p. in sede di interrogatorio di garanzia, il quadro indiziario profilantesi a carico dell’indagato è qualificato da assoluta gravità, la partecipazione associativa dell’indagato alla cosca Bertuca costituendo esemplare dimostrazione dell’operatività della "vera mafia" calabrese e reggina e del suo capillare inserimento in ogni ganglio economico e produttivo di reddito della società civile.
Alla gravità degli indizi della adesione criminosa del V. alla consorteria mafiosa di Villa San Giovanni si giustappongono ineludibili esigenze cautelari che, al di là della presunzione semplice di adeguatezza della misura carceraria ex art. 275 c.p.p., comma 3, non possono essere efficacemente tutelate se non con l’applicata misura cautelare della custodia in carcere. Da un lato dette esigenze, in riferimento al protrarsi della condotta illecita, sono fissate dalla indubbia gravità del comportamento mafioso del V., che ne fa risaltare la sua posizione non secondaria in seno alla cosca Bertuca, e dalla sua determinazione volitiva che non gli impedisce di venire a violenta lite con l’indiscusso capo di una cosca limitrofa, quale C.G.. Da un altro lato tali esigenze conservano un crisma di concretezza ed attualità, non essendosi acquisito alcun elemento suscettibile di elidere o affievolire l’immanente pericolo di reiterazione dell’agire criminoso associativo del V..
3. Attraverso il difensore l’indagato ha impugnato per cassazione l’illustrata ordinanza del riesame, deducendo i vizi di legittimità di seguito sintetizzati.
3.1. Violazione dell’art. 125 c.p.p., comma 3 e difetto di motivazione.
Il Tribunale del riesame ha in sostanza replicato, riproducendone gli interi passaggi, la precedente ordinanza annullata dalla Corte di Cassazione, senza prendere in doverosa considerazione gli elementi di censura esposti nella memoria difensiva depositata ai fini del (primo) giudizio di riesame nè i contenuti critici esposti nel primo ricorso per cassazione, atto difensivo ormai facente parte del fascicolo del procedimento incidentale cautelare.
3.2. Violazione dell’art. 416 bis c.p. e dell’art. 273 c.p.p. e difetto di motivazione in punto di qualificazione del fatto ascritto all’indagato.
3.2.1. Il Tribunale non ha chiarito in qual modo si sia esplicato il "ruolo di cerniera" per il superamento di contingenti problemi e conflitti endomafiosi che l’imputazione assegna al V. (ruolo che neppure l’ordinanza cautelare del g.i.p. ha saputo definire) e che, se mai, avrebbe potuto attagliarsi alle posizioni dei coindagati S. e I., nei cui confronti tuttavia il g.i.p. non ha ritenuto di applicare alcuna misura cautelare. Il Tribunale, ignorando la nota decisione delle Sezioni Unite del 2005 nel caso Marmino (che fornisce la corretta interpretazione della nozione di partecipe o di concorrente c.d. esterno di un sodalizio mafioso), ha valutato la presunta condotta associativa del V. in termini statici e non in senso dinamico-funzionale con l’individuazione del concreto apporto della condotta del ricorrente all’attuarsi e al progredire del gruppo mafioso di riferimento facente capo a B.P..
3.2.2. Il Tribunale richiama gli altri procedimenti penali svoltisi nei confronti di esponenti della cosca Bertuca, che ne hanno conclamato l’esistenza e la concreta operatività territoriale, ma non segnala i connotati esponenziali dell’interesse del clan Bertuca che sarebbero sfociati nella violenta colluttazione intercorsa tra il C. e il V.. Tale lite, particolarmente valorizzata dai giudici del riesame, in realtà dimostra un contegno meramente autodifensivo del V. (che reagisce all’infondata accusa di essere autore-mandante della lettera estorsiva pervenuta ai gestori del villaggio-discoteca (OMISSIS)), avulso da logiche di spessore ed interesse mafiosi. Dopo aver dato al C. il nulla osta a contattare il V. il capo cosca Bertuca sembra disinteressarsi della vicenda. Evenienza certamente anomala, che – se un potenziale conflitto tra le cosche di Campo Calabro e di Villa San Giovanni avesse davvero dovuto risolversi – a tal fine sarebbe stato indispensabile il diretto intervento del B. e la sua personale interlocuzione con C.. Ciò non è avvenuto a riprova della estraneità a reali contesti mafiosi della persona del ricorrente, che finisce per trascinare su di sè l’impronta della precedente e ormai remota condanna ex art. 416 bis c.p. (partecipazione alla cosca Zito) pur dopo essere stato lontano dalla Calabria per circa sei anni, una volta espiata la pena inflittagli.
3.2.3. Nel trascurare i pur dettagliati motivi di gravame, fatta eccezione per quello concernente l’unicità dell’episodio (per altro di non definita valenza penale in chiave di tentativo di estorsione ai titolari del Limoneto) che accrediterebbe l’intraneità mafiosa del prevenuto e che il Tribunale reputa sufficiente e altamente significativo, i giudici del riesame non hanno rilevato che la supposta iniziativa minatoria estorsiva attribuita al V. è a costui riferita dalle stesse potenziali vittime ( Be. e M.) a titolo individuale e non già come il portato di una decisione della ‘ndrina di Campo Calabro o di Villa San Giovanni.
Sicchè gli sviluppi della vicenda con l’intervento "chiarificatore" (e autoindotto) del C., che vede compromesso il proprio controllo sull’area territoriale di "sua" pertinenza, contraddicono – a conferma della distorsione indiziaria alimentata dall’impugnata ordinanza del riesame – e consuete dinamiche dei rapporti interpersonali in ambiti mafiosi e di risoluzione delle ragioni di attrito o dissidio interni in tali specifici ambiti criminali.
3.3. Incongruamente, in subordine, il Tribunale apprezza la persistenza delle esigenze cautelari legittimanti il mantenimento della custodia carceraria del ricorrente, non tenendo conto della palese disparità di trattamento venutasi a creare tra la posizione del V. e quelle dei coindagati S. e I., nei cui confronti il g.i.p. ha respinto la richiesta cautelare del p.m. La sola differenza tra i tre è data dall’unico precedente penale del ricorrente, nonostante sul piano indiziario il ruolo svolto dai coindagati del V. (in special modo dello S.) finisca per rivelarsi, alla stregua delle emergenze investigative esaminate dal Tribunale, "ben più pregnante" ed inserito nelle dinamiche dei rapporti mafiosi del C. e del B..
Con un manoscritto a sua firma il V., riportandosi ai motivi di ricorso, ha inteso riproporre la sua personale lettura della vicenda in base alla quale gli è stato contestato il reato associativo ex art. 416 bis c.p..
4. Il ricorso proposto nell’interesse di V.D. non può trovare accoglimento. I motivi di doglianza che lo sostanziano si mostrano, infatti, privi di fondamento o indeducibili.
4.1. La generale (e, in vero, generica) censura sul difetto di motivazione caratterizzante il provvedimento del riesame, in quanto riferentesi all’analisi dei dati di indagine già vagliati nel precedente giudizio incidentale la cui decisione è stata cassata da questa S.C. (per motivi, ripetesi, esclusivamente formali), non ha pregio.
In primo luogo perchè la tecnica dalla motivazione per relazione adottata dal Tribunale del riesame è stata correttamente applicata in rapporto a tematiche censorie già largamente valutate in precedenza dallo stesso Tribunale e in rapporto a profili di critica enunciati dalla difesa dell’indagato in alcun modo trascurati, come si adduce apoditticamente nell’odierno ricorso.
In secondo e congiunto luogo perchè, a quest’ultimo riguardo, nessuno dei rilievi critici espressi dal ricorrente nel corso dell’incidente cautelare risulta realmente ignorato o sottovalutato nella dettagliata motivazione del provvedimento del Tribunale (oltre quaranta pagine non formate dalla trasposizione di meri dati processuali, ma dall’individuazione di fatti specifici e dalle susseguenti diffuse valutazioni dei giudici del riesame). Premesso che nel caso di specie la supposta motivazione per relazione del Tribunale ha natura autoreferenziale, facendo riferimento ad una propria precedente decisione e non già alla decisione di altra diversa autorità giudiziaria, tale tecnica redazionale è senz’altro legittima, quando – come nel caso di specie – il gravame riproponga questioni di fatto o di diritto già adeguatamente esaminate e correttamente risolte (secondo il giudizio dell’organo decidente) ovvero prospetti critiche generiche, superflue o palesemente infondate (come, nel caso del V., per i rilievi espressi in tema di esigenze cautelari). E merita aggiungere che, in ogni caso, il Tribunale ha proceduto ad una autonoma disamina delle risultanze investigative e alla loro rinnovata ed estesa valutazione, soltanto all’esito della quale ha confermato l’ordinanza cautelare del g.i.p. L’impugnata ordinanza del Tribunale di Reggio Calabria non è venuta meno, per tanto, all’obbligo di completezza e logicità della motivazione in conformità ai principi stabiliti sul tema da questa Corte regolatrice (cfr: Cass. Sez. 1, 1.10.2004 n. 43464, Perazzolo, rv. 231022; Cass. Sez. 2, 25.11.2010 n. 44378, Schiavulli, rv.
248946).
4.2. Depurati dai profili di natura eminentemente fattuali, attraverso i quali il ricorso prospetta una rivisitazione sequenziale della condotta dell’indagato volta a dimostrare l’estraneità del V. al reato associativo contestatogli, profili estranei all’odierno giudizio e sottratti a scrutinio di legittimità, ove si abbia riguardo alla linearità logica della decisione del riesame, i motivi di impugnazione incentrati sulla coerenza ricostruttiva e valutativa del Tribunale del riesame sono privi di fondamento.
La qualificazione della condotta del ricorrente quale partecipe dell’associazione mafiosa riconducibile a B.P. è formulata sulla base di una stringente e rigorosa analisi delle evenienze processuali, costantemente sorretta dai riferimenti alle molteplici fonti conoscitive (gli innumerevoli dialoghi captati tra i vari protagonisti della vicenda integrante la regiudicanda e specificamente afferenti al ruolo in essa svolto dal V.) ed in piena aderenza ai principi regolatori dell’adesione ad un reato associativo di matrice mafiosa delineati dalla stabile giurisprudenza di legittimità. Di tal che le considerazioni svolte dal Tribunale reggino finiscono per sgombrare il campo anche dai dati fattuali di presunta criticità del paradigma accusatorio espressi dalla difesa del ricorrente.
4.3. Per un verso i ripetuti richiami del ricorso, segnatamente in punto di ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari giustificanti la custodia carceraria, alla ipotizzata disparità di trattamento per il comportamento del V. e per quello dei due coindagati non hanno alcuno spessore fino a rendere, per l’appunto, manifestamente infondati i motivi di doglianza attinenti al vaglio delle esigenze cautelari. Il diverso apprezzamento dell’attività dello S. e dell’ I. operato prima dal g.i.p. e poi dal Tribunale reggino non è frutto di una stravagante analisi del compendio indiziario, ma il risultato di una scrupolosa verifica delle inferenze comportamentali sottese alle posizioni dei tre coindagati, che hanno condotto con piena razionalità a configurare come marginali e defilate le posizioni dello S. e dell’ I. nel quadro del progetto estorsivo tentato ai danni dei due gestori del villaggio (OMISSIS), ben diversamente dal rilevantissimo ruolo in esso dispiegato dal V..
4.4. Per altro verso il Tribunale ha con corretto ragionamento considerato inconferente l’assunto difensivo della unicità dell’episodio dimostrativo della caratura mafiosa del V., ppichè il costante monitoraggio della condotta del prevenuto consentito dalle indagini nei giorni dal 25 al 27 marzo 2010 (oltre che, ovviamente, per i suoi precedenti rapporti non limpidi e potenzialmente conflittuali con il M. e lo stesso C. portati in luce dalle captazioni) ha evidenziato come l’episodio sia espressione di una complessa e ben articolata vicenda rappresentativa di una allarmante e pervasiva presenza maliosa nelle aree di Campo Calabro e di Villa San Giovanni e di complessi rapporti di alleanze e interdizioni reciproche tra i gruppi criminali che si contendono l’assoluto dominio sui territori di rispettiva influenza.
In questa ottica appare inconfutabile l’analisi argomentativa del Tribunale sul coinvolgimento mafioso del V. alla luce del dato per cui il capo cosca di Campo Calabro C.G. si è premurato, nel rispetto dei delicati equilibri tra i gruppi mafiosi locali, di prendere contatto con il capo della cosca di appartenenza del V. prima di chiedergli spiegazioni (spiegazioni che in realtà, come si evince dall’ordinanza del riesame, egli richiede in prima persona allo stesso B.) su eventuali anomale iniziative criminose avviate nei confronti dell’impresa commerciale del Limoneto avviata dalla potente consorteria dei Tegano-Condello. Nè trova alcun serio e non labiale riscontro la tesi difensiva esposta in ricorso che vorrebbe il B., consenziente all’incontro C. – V., disinteressato alla vicenda e alle sorti di un suo accolito. Vuoi perchè, come osserva il Tribunale, non è ragionevole credere (a meno di ipotizzare reconditi propositi autolesivi del V.) che l’indagato si sia permesso di venire alle mani con un capo cosca senza avere la certezza di una "copertura" del "suo" capo o comunque del gruppo mafioso di suo personale riferimento. Vuoi perchè il B. non è affatto estraneo alla soluzione pacificatrice trovata in tempi rapidissimi con l’intervento dei sodali mafiosi "della montagna" (cosche Imerti, Buda, Zito), soluzione di un palese conflitto endomafioso di cui non vi sarebbe stata alcuna necessità, se il ruolo e il contegno di V. dovesse credersi mero frutto di sue individuali e autonome decisioni, estranee alla compagine mafiosa del B..
Dalla meticolosa analisi svolta nel provvedimento del riesame discende, in termini di piena logicità e senza le discrasie lamentate con il ricorso, che la condotta di partecipazione associativa del V. è stata valutata in ragione di un rapporto di stabile ed organica compenetrazione (riferito agli anni contigui e prossimi alla vicenda che sostanzia l’accusa verificatasi nel 2010) del prevenuto con la trama organizzativa delle espressioni ‘ndranghetistiche attive nell’area Nord di Reggio Calabria in una ottica dinamica e funzionale alla sopravvivenza e al rafforzamento degli assetti di criminalità organizzata monopolizzanti quell’area urbana (cfr.: Cass. Sez. 1,11.12.2007 n. 1470/08, P.G. in proc. Addante, rv. 238838-238839; Cass. Sez. 2,3.5.2012 n. 23687, D’Ambrogio, rv. 253222).
Al rigetto dell’impugnazione segue per legge la condanna del V. al pagamento delle spese processuali. La cancelleria curerà gli incombenti informativi connessi allo stato di detenzione del ricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2012.
Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2013
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