Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con atto di citazione del 10-4-2003 A.F. conveniva in giudizio il Comune di Maglie, assumendo che nel 1967 le germane A.L. e A. avevano acquistato un appartamento sito in (OMISSIS); che A.A. (deceduta l’ (OMISSIS)), trasferitasi in altra città, solo negli ultimi anni di vita era tornata a (OMISSIS), senza, tuttavia, più curarsi dell’immobile in questione, sicchè il possesso esclusivo dello stesso era rimasto in capo alla sorella L.; che a quest’ultima, deceduta l'(OMISSIS), non coniugata e senza figli, era succeduto il germano P., il quale, alla morte della sorella, si era insediato nell’alloggio con animo di proprietario esclusivo; che alla morte di A.P. gli era succeduto il figlio F., con lo stesso animo. Tanto premesso, l’attore, proprietario della metà dell’immobile a titolo successorio, chiedeva che venisse riconosciuto il suo diritto anche sull’altra metà, per intervenuta usucapione, nei confronti del Comune convenuto, in cui favore risultava una trascrizione a titolo di erede.
Con sentenza del 27-6-2002 il Tribunale di Siracusa rigettava la domanda.
Con sentenza depositata 1’8-3-2008 la Corte di Appello di Catania rigettava il gravame proposto avverso la predetta decisione dall’attore. La Corte territoriale, in particolare, rilevava che il Comune di Maglie aveva la qualità di legittimato passivo perchè in tale veste era stato evocato in giudizio dall’attore, e che ogni altra questione atteneva al merito e, come tale, avrebbe dovuto essere sollevata e provata ritualmente; riteneva altresì infondate le censure mosse dall’appellante in ordine alla mancata ammissione della prova testimoniale, rilevando che i capitoli articolati non avevano ad oggetto fatti puntuali e circostanziati, ma giudizi e che, comunque, l’ipotetico esito positivo della prova non sarebbe bastato a dimostrare il possesso ventennale dell’immobile.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre A.F., sulla base di due motivi.
L’intimato non ha svolto alcuna attività difensiva.
Motivi della decisione
1) Con il primo motivo il ricorrente, lamentando la violazione e falsa applicazione degli artt. 100, 101 e 112 c.p.c. e art. 1150 c.c., nonchè l’erronea motivazione su un punto decisivo della controversia, censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che il Comune .di Maglie ha assunto la veste di legittimato passivo in quanto in detto ruolo è stato evocato in giudizio dall’attore, e che ogni altra questione non poteva che essere considerata di merito e, come tale, doveva essere sollevata e provata ritualmente. Deduce che il giudice del gravame non ha tenuto conto del fatto che l’attore, a seguito della trascrizione operata dal Comune di Maglie, riguardante l’asserita qualità di erede testamentario di A.A., ha promosso il presente giudizio per contestare la pretesa di tale Ente, non esistendo alcun testamento della de cuius. L’effettivo intendimento dell’attore, pertanto, era di contestare nel merito l’esistenza di un titolo testamentario in favore del convenuto; sicchè tale questione costituiva l’oggetto sostanziale del presente giudizio.
Le censure mosse, che al di là della titolazione del motivo attengono sostanzialmente all’interpretazione data dalla Corte di Appello alla domanda attrice, sono infondate, partendo dall’erroneo presupposto che con l’atto introduttivo del giudizio l’ A. abbia contestato l’esistenza di un testamento con il quale la de cuius abbia nominato erede il Comune di Maglie.
Va preliminarmente osservato che il principio secondo cui l’interpretazione delle domande, eccezioni e deduzioni delle parti da luogo a un giudizio di fatto, riservato al giudice del merito, non trova applicazione quando si assume che tale interpretazione abbia determinato un vizio riconducibile nell’ambito dell’art. 112 c.p.c., a norma del quale il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa. In tale caso, infatti, deducendosi un vizio in procedendo, la Corte di Cassazione è giudice anche del fatto e ha, quindi, il potere-dovere di procedere direttamente all’esame e all’interpretazione degli atti processuali (Cass. 20-10- 2005 n. 20322; Cass. 25/11/2002, n. 16561; Cass. 05/02/2004, n. 2148;
Cass. 08/08/2003, n. 12022; Cass. 24/01/2003, n. 1097; Cass. 25/11/2002, n. 16561).
Nella specie, pertanto, avendo il ricorrente dedotto, tra l’altro, anche la violazione dell’art. 112 c.p.c., questa Corte può procedere all’esame diretto dell’atto di citazione di primo grado.
Ciò posto, si osserva che con tale atto l’attore, nel dedurre di essere proprietario della metà indivisa dell’appartamento in questione quale erede legittimo del padre (succeduto alla sorella Lucia), ha agito nei confronti del Comune di Maglie, in cui favore risultava una trascrizione a titolo di erede di A.A., per ottenere il riconoscimento dell’acquisto per usucapione della proprietà dell’altra metà dell’immobile, e non già ai fini dell’accertamento negativo della qualità di erede testamentario in capo al convenuto.
Legittimamente, pertanto, la Corte di Appello ha affermato che al Comune, per il solo fatto di essere stato evocato in giudizio nella qualità di erede della comproprietaria A.A., compete la legittimazione passiva in ordine alla proposta domanda di usucapione, ed ha ritenuto invece inammissibili le censure mosse dall’appellante riguardo all’affettiva titolarità del diritto del convenuto, non contestata in primo grado.
Si rammenta, al riguardo, che la legittimazione ad agire costituisce una condizione dell’azione diretta all’ottenimento, da parte del giudice, di una qualsiasi decisione di merito, la cui esistenza è da riscontrare esclusivamente alla stregua della fattispecie giuridica prospettata dall’azione, prescindendo, quindi, dalla effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa, che si riferisce al merito della causa, investendo i concreti requisiti di accoglibilità della domanda e, perciò, la sua fondatezza. Ne consegue che, a differenza della "legitimatio ad causam" (il cui eventuale difetto è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio), intesa come il diritto potestativo di ottenere dal giudice, in base alla sola allegazione di parte, una decisione di merito, favorevole o sfavorevole, l’eccezione relativa alla concreta titolarità del rapporto dedotto in giudizio, attenendo al merito, non è rilevabile d’ufficio, ma è affidata alla disponibilità delle parti e, dunque, deve essere tempestivamente formulata (tra le tante v. Cass. 27-6-2011 n. 14177; Cass. 30-5-2008 n. 14468). Pertanto, il controllo del giudice sulla sussistenza della legitimatio ad causam, nel suo duplice aspetto di legittimazione ad agire e a contraddire, si risolve nell’accertare se, secondo la prospettazione dell’attore, questi e il convenuto assumano, rispettivamente, la veste di soggetto che ha il potere di chiedere la pronuncia giurisdizionale e di soggetto tenuto a subirla, mentre non attiene alla legittimazione ma al merito della lite la questione relativa alla reale titolarità attiva o passiva del rapporto sostanziale dedotto in giudizio, che si risolve nell’accertamento di una situazione di fatto favorevole all’accoglimento o al rigetto della pretesa azionata (Cass. 10-5-2010 n. 11284).
Nella specie, la decisione impugnata, uniformandosi a tali principi, ha correttamente riconosciuto, sulla base delle sole allegazioni contenute nella citazione introduttiva, la legittimazione passiva del Comune di Maglie in ordine alla domanda di usucapione proposta dall’attore, ritenendo invece preclusa ogni questione sull’effettiva titolarità della qualità di erede in capo a tale Ente. L’art. 345 c.p.c. (nel testo novellato dalla legge n,. 353U990, applicabile ratione temporis alla fattispecie) vieta, infatti, la proposizione in appello di nuove eccezioni che, come quella inerente alla reale titolarità passiva del rapporto sostanziale dedotto in giudizio, non siano rilevabili d’ufficio.
2) Con il secondo motivo il ricorrente, deducendo la violazione e falsa applicazione delle norme in materia di ammissibilità della prova testimoniale, nonchè l’erroneità della motivazione, sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di Appello, la prova testimoniale articolata non aveva ad oggetto un’opinione personale, ma un convincimento collettivo su fatti oggettivamente verificatisi.
Il motivo è inammissibile, per carenza di interesse.
La Corte di Appello ha ritenuto inammissibile la prova articolata dall’attore, osservando in primo luogo che con i capitoli dedotti ai testi non veniva chiesto di rispondere su fatti puntuali e circostanziati, che potevano essere a loro conoscenza, ma di esprimere giudizi giuridici, anche complessi, dovendo i predetti riferire che l’attore e, prima di lui, il padre, avevano posseduto animo domini, pacificamente ed ininterrottamente, il bene in questione. Ha aggiunto che l’eventuale esito positivo della prova dedotta non sarebbe bastato a provare l’assunto dell’appellante, in quanto, cumulando al preteso possesso del figlio quello del padre, non si sarebbe giunti, comunque, al ventennio richiesto dalla legge ai fini dell’usucapione.
Il ricorrente si è limitato a censurare la prima parte della motivazione, ma nulla ha dedotto riguardo alla seconda argomentazione, di per sè idonea a sorreggere la decisione.
Ne consegue l’inammissibilità del motivo in esame, alla luce del principio, pacifico in giurisprudenza, secondo cui, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, l’omessa impugnazione di tutte le rationes deciderteli rende inammissibili, per difetto di interesse, le censure relative alle singole ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime, quand’anche fondate, non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre non impugnate, all’annullamento della decisione stessa (tra le tante v. Cass. Sez. L. 11-2-2011 n. 3386; Sez. 1, 18-9-2006 n. 20118; Sez. 3, 27-1-2005 n. 1658; Sez. 1, 12-4-2001 n. 5493).
3) Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato.
Poichè l’intimato non ha svolto alcuna attività difensiva, non vi è pronuncia sulle spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 25 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2012
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