Cass. civ. Sez. II, Sent., 17-07-2012, n. 12269

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

D.G.G., deceduto nel (OMISSIS), lasciando soltanto, su un libretto di deposito, circa L. 654.00, aveva sei figli.

Nell’aprile 1997 la vedova B.B. e i figli L., C. e M.L., odierni ricorrenti, convenivano in giudizio un quarto fratello, E. ed il nipote V.W. (figlio della sorella A.) e R.E..

Chiedevano che fosse dichiarata la simulazione dell’atto notarile con il quale nel novembre 1990 il de cuius aveva alienato ai V. – R. un fabbricato sito in comune di (OMISSIS), verso corrispettivo di L. 123 milioni, cento dei quali erano stati prelevati da E. ed erano stati incassati da R.E.. Stando alla sentenza di primo grado, deducevano che la vendita celava una donazione del bene a favore del nipote e di sua moglie, ovvero una donazione indiretta, tramite il figlio E., della somma di L. cento milioni.

Indicavano l’ammontare della lesione di legittima patita in relazione alle due ipotesi.

E. resisteva deducendo di essere stato creditore del defunto in relazione al prestito di L. 38 milioni. In subordine chiedeva il riconoscimento in proprio favore della quota di riserva, con condanna dei coniugi V. a restituirgli le somme dovute.

V. – R. si costituivano affermando che la somma di L. cento milioni era stata loro rimborsata dal nonno in relazione a prestiti fatti per consentirgli di mantenersi in casa di riposo ed estinguere un debito con un genero, risultando creditori per almeno L. 71 milioni.

Il tribunale di Tolmezzo respingeva le domande degli attori e del convenuto E..

Deceduta la vedova B., gli attori D.G. impugnavano la sentenza davanti alla Corte di Trieste, la quale rigettava l’appello con sentenza del 13 febbraio 2006.

Gli appellanti D.G. hanno proposto due motivi di ricorso per cassazione, notificato il 27 marzo 2007, resistito con controricorso congiuntamente notificato dai signori V.W. – R. E. – D.G.E..

Parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione

2) Va premesso che al punto 12 della sentenza di primo grado risulta affermato che non sussiste litisconsorzio necessario tra i legittimari e che nei confronti dei coeredi, con i quali era stato integrato il contraddittorio, non sarebbe stata emessa alcuna pronuncia, in mancanza di domande contro di essi. Non vi è quindi, in questa sedde, alcun provvedimento da assumere in relazione all’integrità del contradditorio.

La Corte di appello ha rilevato che il primo dei due motivi di gravame conteneva due censure: la prima relativa alla sussistenza della simulazione relativa; la seconda alla configurabilità di un negozio misto con donazione.

Essa ha però ritenuto inammissibile la domanda "fondata sul negozio misto", trattandosi di mutatio libelli non consentita.

3) Il primo motivo di ricorso censura questa decisione e denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c.. I ricorrenti sostengono che nell’atto di appello essi non hanno mutato alcuno dei fatti prospettati in primo grado, nè invocato norme diverse, avendo solo valorizzato "ai fini della qualificazione giuridica la donazione indiretta prevista dall’art. 809 c.c., rispetto alla donazione diretta prevista dall’art. 769 c.c., ma dissimulata dietro il versamento momentaneo dell’intero prezzo dichiarato nell’atto di cessione immobiliare".

La censura è fondata: la Corte di appello ha ritenuto che "son totalmente diversi soprattutto in punto di fatto" i presupposti "strutturali" delle domande "di riduzione ex art. 809 c.c." (articolo che concerne le norme sulle donazioni applicabili ad altri atti di liberalità) e di riduzione per intervenuta donazione ex art. 769 c.c.. Ha aggiunto che il negozio misto conserva la sua causa onerosa mentre il riferimento alla donazione, caratterizzata "dalla gratuità dello scopo negoziale" costituirebbe l’unico contenuto nella domanda principale degli attori".

Il rilievo sarebbe stato esatto se si fosse potuta verificare la situazione rappresentata da Cass. 19099/09, così massimata: La parte che deduca, con riferimento ad una determinata vendita, la ricorrenza di un prezzo inferiore a quello effettivo, deve agire in giudizio per far valere la simulazione relativa, nella quale si traduce il "negotium mixtum cum donatione", e non il mancato pagamento dell’intero prezzo, che integra gli estremi di una simulazione assoluta; ne consegue che, proposta in primo grado la domanda di simulazione assoluta, e1 inammissibile, ai sensi dell’art. 345 cod. proc. civ., la domanda, proposta in appello, tesa ad accertare che il medesimo contratto di compravendita integrava gli estremi di un "negotium mixtum cum donatione".

Nella specie tuttavia parte ricorrente ha svolto domanda subordinata che, pur non riferendo espressamente la formula latina sopracitata, mirava palesemente al medesimo obbiettivo, riproposto con miglior chiarezza nell’atto di appello. Al punto 12 della citazione si diceva infatti che nella sola denegata ipotesi in cui oggetto di donazione fossero stati ritenuti solo i cento milioni dati ai coniugi V. e R. tramite il figlio del de cuius E. e non l’intero immobile venduto, la lesione della quota riservataria doveva essere riferita a queste somme e, quindi, le stesse dovevano essere restituite.

Questa premessa di fatto, ripresa specificamente in sede di conclusioni con la domanda subordinata (pag. 12) valeva ad allegare proprio quel fatto (cioè la configurabilità nell’atto di vendita di una parte effettiva e un’altra, quella relativa ai L. cento milioni, fittizia) che si prestava concettualmente ad essere presupposto di un negozio mixtum cum donatione.

La Corte di appello, non ha adeguatamente considerato questa prospettazione e ha falsamente applicato l’art. 345 c.p.c., negando l’esame della domanda che era stata proposta subordinatamente e che in appello è stata solo diversamente argomentata.

E’ quasi superfluo osservare che la diversità tra le due domande, prospettata dal richiamato precedente di legittimità, citato anche dal procuratore generale, non impediva nella citazione originaria di articolarle l’una in via subordinata all’altra, ipotizzando in relazione all’una la simulazione integrale dell’atto e in relazione all’altra un fatto diverso, quale appunto la donazione soltanto di L. cento milioni e non dell’intero bene.

Irrilevante è, in relazione a quanto sopra stabilito, il secondo motivo di ricorso che attacca, con censura di vizio di motivazione, alcune argomentazioni svolte dalla sentenza impugnata in ordine al valore dell’immobile al momento della alienazione, all’animus donandi del de cuius e all’interposizione di D.G.E. nella donazione della somma di danaro ai nipoti V. e R..

Giova chiarire che queste deduzioni non erano comunque finalizzate a un esame del merito della domanda, giacchè, una volta dichiaratane l’inammissibilità, perchè ritenuta nuova, la Corte d’appello non avrebbe potuto svolgere esame di merito, ma solo ulteriormente argomentare in punto di fatto. Mette conto in proposito ricordare che secondo Cass. S.U. 3840/07 qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si è spogliato della "potestas iudicandi" in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere nè l’interesse ad impugnare.
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione Corte d’appello di Trieste, che provvedere anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 28 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2012

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