Cassazione, Sez. I, 18 febbraio 2010, n. 6587 Omicidio Hina Saleen, risarcibile anche il danno non patrimoniale per il convivente della vittima

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

Con sentenza del 13/11/2007 il GUP del Tribunale di Brescia ha dichiarato Saleem Mohammed, Khalid Mahmood e Zahid Mahmood responsabili, in concorso tra loro, del reato di omicidio pluriaggravato di Saleem Hina nonché i medesimi e Tariq Muhammad responsabili, in concorso tra loro, del reato di soppressione del cadavere della ragazza; ha conseguentemente condannato – concesse a Khalid Mahmood, Zahid Mahmood e Tariq Muhammad le circostanze attenuanti generiche, ritenute per i primi due soccombenti rispetto alle aggravanti poste a loro carico e per il terzo equivalenti rispetto all’aggravante contestata, unificati ex art. 81 C.P. i reati ascritti al Saleem ed ai Mahmood, applicata per tutti la diminuente prevista per il rito abbreviato – Saleem Mohammed, Khalid Mahmood e Zahid Mahmood alla pena di anni trenta di reclusione, oltre alle previste pene accessorie, e Tariq Muhammad alla pena di anni due e mesi otto di reclusione, nonché tutti al risarcimento dei danni in favore della parte civile Giuseppe Tampini con riconoscimento di una provvisionale di euro 20.000,00.

Con sentenza del 5/12/2008 la Corte di Assise di Appello di Brescia, giudicando sugli appelli proposti da tutti gli imputati, in parziale riforma della sentenza emessa dal GUP, ritenute nei confronti di Khalid e Zahid Mahmood le già concesse attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti, ha ridotto la pena irrogata a tali imputati ad anni diciassette di reclusione ed ha altresì ridotto la provvisionale posta a carico di Tariq Muhammad alla somma di euro 2.000,00, confermando per il resto la sentenza impugnata.

Secondo la ricostruzione dei fatti operata dai Giudici del merito l’uccisione di Hina Saleem era stata perpetrata materialmente da Saleem Mohammed, padre della ragazza, che le aveva inferto più colpi con un coltello, recidendole la gola; e ciò a causa del comportamento della ragazza contrario alle sue aspettative, oltre che alle consuetudini della sua gente; Khalid Mahmood e Zahid Mahmood, coniugati con altre due figlie del Saleem, avevano concorso nell’omicidio; Tariq Muhammad aveva dato il suo apporto alla soppressione del cadavere che era stato sepolto nel giardino di casa.

La Corte ha respinto le eccezioni in rito formulate dagli appellanti, non ritenendo che fosse applicabile in relazione alle dichiarazioni rese dai militari del RIS in data 25/5/2007 il divieto di cui all’art. 197 lett. d) C.P.P., e ritenendo pienamente utilizzabili le dichiarazioni rese in assenza di difensore dal Saleem all’atto della sua costituzione perché rese spontaneamente e perché la norma non ne esclude la utilizzabilità nell’ambito del giudizio abbreviato; ha altresì ritenuto che non vi fosse ragione alcuna per l’accoglimento delle richieste di rinnovazione del dibattimento.

Quanto al merito della causa la Corte (così come in precedenza il GUP) non ha ritenuto credibile l’assunto difensivo – di cui ha rilevato il contrasto con le prime dichiarazioni spontanee rese ai C.C. all’atto della sua costituzione – secondo il quale il Saleem avrebbe colpito la figlia solo dopo averla disarmata del coltello con il quale la ragazza lo aveva minacciato, a seguito del suo rifiuto a consegnarle una somma di denaro, e dopo averle ancora una volta richiestole di cambiare vita. Ha, di contro, ritenuto: che l’omicidio fosse stato premeditato (sia pure sotto la forma della premeditazione condizionata) ed attuato dopo aver attirato in casa la figlia con la scusa di doverle consegnare alcuni regali portati da uno zio materno residente in Francia; che la discussione tra padre e figlia e l’aggressione a quest’ultima fossero avvenute al piano terra della casa e che la giovane, fuggita lungo la scala, fosse stata inseguita e sgozzata nei pressi della stanzetta della mansarda. La Corte ha ritenuto che dell’omicidio dovessero rispondere anche i due generi del Saleem, certamente presenti in casa al momento del fatto, che probabilmente (tenuto conto della fuga della ragazza su per le scale verso la mansarda) avevano impedito ad Hina di guadagnare l’uscita da casa e che comunque avevano concorso moralmente permettendo al Saleem l’organizzazione del delitto e rafforzando costui nel suo proposito, rendendo con la loro presenza più facile e tranquillo l’accesso in casa della ragazza che aveva notevole timore del padre, impedendo alla giovane di fuggire, garantendo un aiuto per il nascondimento del cadavere e la cancellazione delle tracce dell’omicidio. In ordine alle circostanze del reato la Corte ha condiviso il giudizio del GUP ed ha anch’essa ritenuto, in relazione ai tre concorrenti nell’omicidio, la sussistenza delle aggravanti della premeditazione, dei motivi abietti e futili, della minorata difesa, dell’abuso del rapporto di ospitalità, nonché in relazione al solo Saleem delle ulteriori aggravanti della relazione di paternità e della promozione ed organizzazione del reato, ed in relazione agli altri due concorrenti dello specifico rapporto che li legava alla vittima; ha poi escluso che potesse riconoscersi l’attenuante della provocazione, nonché con riguardo al Saleem le circostanze attenuanti generiche.

In ordine alla residua imputazione la Corte ha ritenuto corretta la qualificazione giuridica del fatto ai sensi dell’art. 411 C.P., non trattandosi di un temporaneo occultamento ma del collocamento del cadavere in una vera e propria sepoltura di non facile rinvenimento; del reato – ad avviso della Corte di merito – doveva rispondere, oltre agli autori materiali del fatto (Saleem, Khalid Mahmood e Tariq), anche Zahid Mahmood che aveva recuperato il Tariq per coinvolgerlo nell’operazione e vincolarlo al silenzio sull’accaduto.

Quanto alla parte civile la Corte ha ritenuto corretta la sua costituzione, non potendosi escludere in capo al Tampini la qualità di “convivente” della vittima, e non potendosi ritenere verificata alcuna revoca tacita o presunta di tale costituzione in conseguenza della domanda di sequestro conservativo di un immobile di proprietà del Saleem.

Avverso la sentenza hanno proposto ricorso gli imputati Saleem Mohammed, Khalid Mahmood e Zahid Mahmood tramite i loro difensori.

Il difensore del Saleem ha con il primo motivo lamentato, ulteriormente argomentando al proposito, il mancato accoglimento della eccezione di inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dall’imputato ai C.C. di Gardone Val Trompia in quanto non spontanee ai sensi dell’art. 350 c. 7 C.P.P. e rese in assenza di interprete. Con il secondo ed il terzo motivo il ricorrente ha dedotto manifesta illogicità della motivazione nella ricostruzione del fatto in punto di dolo, da esattamente individuare in “dolo d’impeto” con conseguente doverosa esclusione delle aggravanti della premeditazione e di quella di cui all’art. 112 n. 2 C.P., nonché il travisamento della prova costituita dalla consulenza tecnica del RIS di Parma in relazione alla possibile dinamica dell’omicidio, dovendosi escludere, proprio con riguardo agli esiti degli accertamenti, che l’accoltellamento avesse avuto inizio al piano terreno. Con il quarto motivo il ricorrente ha dedotto manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui si era riconosciuta la sussistenza dei motivi abietti e futili. Con il quinto motivo ha lamentato la mancata assunzione, quale prova decisiva, della perizia psichiatrica. Con il sesto motivo ha dedotto l’erronea applicazione dell’art. 61 n. 11 C.P. in quanto non cumulabile con l’aggravante di cui all’art. 577 n. 1 C.P. Con il settimo motivo il ricorrente ha dedotto inosservanza od erronea applicazione di legge nonché vizi di motivazione in ordine alla determinazione della pena ed alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. Con l’ottavo motivo, infine, ha dedotto vizi di motivazione nel riconoscimento della qualità di “convivente” more uxorio del Tampini e della sua conseguente legittimazione a costituirsi parte civile.

Il difensore degli imputati Khalid e Zahid Mahmood ha in otto motivi (alcuni dei quali articolati in più paragrafi) dedotto violazione ed erronea applicazione di legge nonché vizi di motivazione, richiamando quanto già dedotto con gli atti di appello e con la memoria in atti e successivamente precisando ed argomentando ulteriormente con motivi nuovi portanti la data del 27/10/2009. Il ricorrente ha, con un primo motivo, eccepito la nullità di tutti gli atti in relazione all’imputato Khalid per non essere stato costui assistito da interprete a conoscenza della sua lingua (punjabi); con il secondo e terzo motivo ha invece eccepito la inutilizzabilità nei confronti dei suoi assistiti delle dichiarazioni rese dall’imputato Saleem sia in ordine all’affermazione per cui i generi non sarebbero stati presenti in casa al momento dell’omicidio, e comunque erronea applicazione di legge ed illogicità della motivazione al riguardo essendo stata desunta una prova fondamentale a carico dei due ricorrenti dal raffronto di tale affermazione con il precedente silenzio (“non chiamata di correo”) del Saleem, sia in ordine all’affermazione per la quale i generi non avrebbero potuto avvedersi dell’uccisione in quanto intenti ad ascoltare un DVD ad alto volume, nulla in proposito avendo dichiarato i due ricorrenti la cui sorte di condanna era stata fatta dipendere illegittimamente e con valutazione illogica da quanto dichiarato dall’imputato Saleem. La difesa ricorrente ha poi articolatamente dedotto (con il quarto motivo) inosservanza ed erronea applicazione di legge nonché mancanza ed illogicità della motivazione in punto di affermazione della responsabilità dei suoi assistiti per entrambi i reati loro contestati, al proposito riepilogando i punti della sentenza di appello qualificanti la decisione impugnata (pregressi rapporti e vicende intercorse tra Hina e la sua famiglia ed i cognati, motivo della uccisione e riflessi sulla estensione di alcune aggravanti ai due Mahmood, condizioni economiche di Hina e Tampini, ragioni dell’accesso di Hina in casa del padre e riflessi in punto di premeditazione e di concorso nell’omicidio dei due cognati, valutazione della fiducia in costoro nutrita da Hina, avvenuta assunzione di cibo in casa del padre da parte di quest’ultima, testimonianza di Monica Ghisa, modalità del fatto omicidiario, compartecipazione materiale o morale addebitata ai due Mahamood, valutazione di specifici elementi e travisamento di dichiarazioni). Il difensore ricorrente ha poi sostenuto la violazione delle regole dell’onere della prova in capo all’accusa (quinto motivo), la mancata assunzione di una prova decisiva, ossia nuova escussione della teste Ghisa e perizia medico-legale sulla ferita n. 21 (sesto motivo), la erronea applicazione di legge e vizi di motivazione con riferimento alla affermata responsabilità di Zahid per il reato di soppressione del cadavere nonché la omessa motivazione circa la richiesta di assoluzione di Khalid in relazione a tale reato perché commesso per costrizione (settimo motivo). Infine, ed in via subordinata, la difesa ha chiesto escludersi la premeditazione e la ricorrenza dei motivi abietti e futili nonché giudicarsi prevalenti le applicate attenuanti generiche (ottavo motivo).

Motivi della decisione

Il ricorso dell’imputato Saleem Mohammed non merita accoglimento, essendo le censure con esso articolate prive di fondamento ovvero inammissibili in questa sede.

Certamente prive di fondamento sono le censure prospettate con il primo motivo ed attinenti alla inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal Saleem ai Carabinieri di Gardone Val Trompia in data 14/8/2006 perché – ad avviso del ricorrente – non “spontanee” e, di conseguenza, non riconducibili all’ipotesi prevista dal comma 7 dell’art. 350 C.P.P. ed altresì perché rese senza l’assistenza di interprete. Da un lato, infatti, la spontaneità delle dichiarazioni in questione non può ritenersi venuta meno a seguito della generica frase (…cosa è successo?…) rivolta al Saleem dal sottufficiale dei C.C. presso la cui caserma l’imputato si era di sua iniziativa presentato, atteso che una frase siffatta non vale, per la sua genericità, a tramutare la “ricezione” delle dichiarazioni del soggetto in una “assunzione” vera e propria delle stesse, carenti essendo quei dati (direzione dell’escussione del soggetto da parte dell’ufficiale od agente di P.G. e riconduzione della escussione in un preciso ambito scelto e limitato dall’operante) che caratterizzano l’assunzione di informazioni ed indicazioni utili per le investigazioni alla quale fanno riferimento gli ulteriori commi dell’art. 350 citato, e che, comunque, le eventuali sollecitazioni della polizia giudiziaria non rendono le dichiarazioni spontanee assimilabili all’interrogatorio in senso tecnico, sicché non sono necessari in tal caso il previo invito alla nomina del difensore, la presenza di quest’ultimo o l’avvertimento circa la facoltà di non rispondere (cfr. Cass. sent. n. 46040/2008). Dall’altro lato, quanto alla ventilata possibilità di “fraintendimento” delle prime dichiarazioni del Saleem perché rese in assenza di interprete, devono condividersi le argomentazioni sul punto svolte nella sentenza impugnata che, senza incorrere in alcuna illogicità e contraddittorietà, ha sottolineato, a sostegno della corretta corrispondenza del dichiarato – e della sua verbalizzazione – al pensiero ed agli intendimenti confessori del Saleem, elementi e dati di sicura significatività (la permanenza dell’imputato in Italia da circa venti anni, lo svolgimento da parte dello stesso di due attività imprenditoriali, le dichiarazioni dei verbalizzanti e di un notaio circa la buona comprensione da parte dell’imputato della lingua italiana e circa la sua capacità di correttamente esprimersi in tale lingua, l’assenza di difficoltà nel seguire l’andamento del giudizio tanto da prevenire più volte l’interprete di lingua “urdu” che lo assisteva in sede di appello, rispondendo o rivolgendosi in modo appropriato agli astanti in lingua italiana, la non equivocabilità comunque del tenore e del significato delle dichiarazioni rese). La censura di violazione del diritto di difesa e la connessa eccezione di inutilizzabilità non possono quindi trovare accoglimento neppure sotto il secondo profilo prospettato in ricorso.

Parimenti non meritano condivisione i rilievi avanzati congiuntamente con il secondo ed il terzo motivo in ordine alla effettuata ricostruzione della dinamica dei fatti ed al tipo di dolo che ha nella specie caratterizzato la condotta dell’imputato. Se sono certamente corretti i rilievi difensivi circa la necessità per il Giudice – in un caso quale quello per cui è processo – di sottrarsi al “condizionamento ambientale e sociale derivante dalla divulgazione della vicenda in un momento in cui il fatto non era ancora stato ricostruito dagli inquirenti” e di discernere tra “quel libero pensiero (espresso con la detta divulgazione) e il fatto provato”, deve peraltro rilevarsi come da una attenta lettura delle sentenze di primo e secondo grado non emerga alcun condizionamento nel senso paventato dal ricorrente e come, di contro, il GUP e la Corte di Assise di Appello siano pervenuti ad un inquadramento della vicenda e ad una ricostruzione di fatti aderenti ai dati emersi nonché ad una corretta applicazione dei principi giurisprudenziali in materia di elemento psicologico del reato e di concorso di persone nel delitto. Innanzi tutto entrambe le sentenze di merito (concordi sul punto e quindi integrabili nella specifica motivazione l’una con l’altra), lungi dal ricondurre la vicenda esclusivamente a motivazioni religiose e di costume, hanno posto in rilievo il difficile rapporto tra Hina e la sua famiglia e soprattutto la inaccettabile concezione – travalicante i pur presenti profili religiosi e di costume e rinvenibile anche in contesti diversi – che l’imputato Saleem aveva del rapporto padre-figlia come “possesso-dominio”, nonché l’atteggiamento spesso intimidatorio e violento di costui nei confronti della figlia che non sottostava ai suoi voleri e rivendicava margini di autonomia. Quanto alla dinamica dei fatti, la dettagliata analisi riservata ai rapporti di Hina con la sua famiglia, ai movimenti ed alla collocazione spazio-temporale degli imputati e della parte lesa nel periodo precedente ai fatti e durante la consumazione del delitto, alle constatate condizioni dei luoghi, ai risultati della prova scientifica, alle versioni in parte contrastanti rese dagli imputati ed alle deposizioni raccolte non consente di ritenere carente o superficiale la disamina della vicenda; siffatta attenta analisi – in unione con le argomentazioni, sempre logiche e prive di contraddizioni, con le quali si sono individuate le ragioni dell’accesso di Hina nella casa paterna, negando verosimiglianza alle differenti ragioni prospettate dall’imputato, si è esclusa la fondatezza dell’assunto difensivo per il quale Hina avrebbe per prima brandito e minacciato il padre con il coltello repertato, si sono rilevate le incongruenze e le inverosimiglianze di molte delle dichiarazioni del Saleem, si sono disattese le contestazioni difensive in ordine all’accadimento dei fatti ed alla partecipazione ad essi dei singoli soggetti coinvolti nella vicenda, si sono sottolineate l’irrilevanza o la inconsistenza dei rilievi relativi alle dichiarazioni dei testi Tampini e Singh e dell’altra figlia dell’imputato – esclude che siano ravvisabili i censurati vizi di motivazione ed impone il rigetto dei motivi di ricorso in esame. Per quanto attiene infatti alla ravvisata premeditazione i Giudici del merito hanno innanzi tutto sottolineato che Hina aveva concreto motivo di temere il padre e di evitare di recarsi presso l’abitazione paterna in assenza di chi la potesse in qualche modo proteggere; hanno quindi congruamente argomentato in ordine alla riconducibilità dell’accesso presso la casa paterna ad una sorta di raggiro sostenuto dalla presenza, percepita come rassicurante, dei due cognati con i quali la ragazza aveva mantenuto rapporti non conflittuali; infine hanno articolatamente valutato le ragioni dei contrasti tra padre e figlia, l’inaccettato modo di porsi della ragazza rispetto ai voleri del padre ed agli usi e costumi della sua famiglia, concludendo, con un iter motivazionale privo di illogicità e contraddizioni, per la sussistenza in capo al Saleem di un premeditato intento omicidiario, sia pure condizionato ad un rinnovato rifiuto della figlia a cambiare modo di vivere. Le considerazioni di cui al ricorso circa le modalità omicidiarie asseritamente indicative di un dolo d’impeto si risolvono in mere difformi valutazioni degli elementi di causa, come tali improponibili in questa sede di legittimità. Nessuna rilevanza negativa per la decisione impugnata può poi attribuirsi al parziale diverso evolversi degli eventi prospettato nelle due sentenze di merito con riguardo alla fase omicidiaria (partecipazione di tutti i concorrenti allo sgozzamento avvenuto al piano superiore ovvero inizio dell’aggressione a piano terra e sgozzamento al piano superiore per mano del solo padre), non introducendo siffatte prospettazioni aporie significative per la decisione. E ciò: perché il luogo dello sgozzamento è esattamente collocato da entrambi i Giudici, sulla base degli accertamenti tecnici, nel medesimo luogo; perché un inizio dell’aggressione a piano terra, quale ipotizzato nella sentenza impugnata, non si pone in contrasto con la prospettazione del GUP che ha posto l’accento sulla fase centrale e conclusiva dell’aggressione; perché la prospettazione di una fuga forzata verso il solaio della ragazza, impedita a percorrere altre vie di fuga dalla presenza dei cognati che spalleggiavano il padre ed unitamente a costui la inseguivano lungo le scale (cfr. pagg. 27 e 29 della sentenza impugnata), non si pone in contrasto con la partecipazione di costoro alla fase finale dell’aggressione quale ipotizzata dal GUP, che ha precisato come il ruolo dei due cognati non fosse necessariamente da individuarsi in quello di una simultanea aggressione della parte lesa con il coltello ma anche in quello di avere concorso ad attirare la vittima nell’abitazione paterna, di averle impedito la fuga dalla casa, di aver dato manforte al padre della ragazza (cfr. pag. 31 della sentenza di primo grado); perché, dunque, le prospettazioni in questione rappresentano ragionate e fra esse compatibili valutazioni della vicenda sulla base dei dati accertati, tutti indicati come univocamente comprovanti la consumazione di un omicidio premeditato ad opera di più persone.

Il quarto motivo di ricorso non merita parimenti accoglimento. L’assunto difensivo per il quale non sarebbe nella specie ravvisabile la circostanza aggravante prevista dal n. 1 dell’art. 61 C.P., perché determinata la condotta dell’imputato Saleem dal profondo scoramento per non essere egli riuscito nel suo ruolo di educatore e dal senso di vergogna nei confronti della comunità di appartenenza, è tesi infondata. È ben vero che alla stregua dell’indirizzo di questa Corte, che il Collegio pienamente condivide, il motivo è abietto le volte in cui la motivazione dell’agente ripugni al comune sentire della collettività; ed è altresì vero che nella valutazione di siffatto rapporto di “repulsione” il Giudice del merito non possa prescindere, nel suo scrutinio, dalle ragioni soggettive dell’agire in termini di riferimenti culturali, nazionali, religiosi della motivazione dell’atto criminoso; ma nella specie, come logicamente accertato dalla Corte di merito, la motivazione assorbente dell’agire dell’imputato è scaturita da un patologico e distorto rapporto di “possesso parentale”, essendosi la riprovazione furiosa del comportamento negativo della propria figlia fondata non già su ragioni o consuetudini religiose o culturali (in tal caso si sarebbe dovuto accertare l’esistenza di una sequela di riprovazioni basate su tali ragioni o consuetudini) bensì sulla rabbia per la sottrazione al proprio reiterato divieto paterno.

Nessuna condivisione merita altresì il quinto motivo di ricorso. In proposito, oltre a richiamare i consolidati principi circa la presunzione di completezza dell’istruzione e circa, quindi, il carattere eccezionale dell’istituto della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in grado di appello, subordinata appunto alla verifica della incompletezza della effettuata indagine dibattimentale (o pre-dibattimentale se trattasi di processo svoltosi con le forme del rito abbreviato) e della conseguente impossibilità per il Giudice di Appello di poter decidere allo stato degli atti, deve altresì rammentarsi il limitato ambito sul punto del sindacato della Corte di legittimità, spettando la verifica di cui sopra al Giudice di merito e potendo la sua valutazione essere censurata in questa sede solo se non correttamente motivata. Tutto ciò premesso, ritiene il Collegio che il diniego di procedere all’espletamento di perizia psichiatrica trova corretta ed esauriente motivazione non solo nelle specifiche argomentazioni svolte al riguardo dalla Corte di merito ma nel complesso motivazionale della sentenza impugnata laddove si è proceduto all’inquadramento della vicenda (non riconducibile esclusivamente a motivi religiosi e culturali ma scaturita soprattutto – come più sopra argomentato – da un patologico e distorto rapporto di “possesso parentale”), si è analizzato l’elemento psicologico che ha determinato e sorretto la condotta, si sono valutate le condizioni di vita dell’imputato, da tempo integrato nel contesto sociale e lavorativo italiano, si sono escluse infermità mentali inficianti completamente o parzialmente la capacità di intendere e di volere, si sono di conseguenza negate necessità e valenza di accertamenti di natura psichiatrica. Il precisato assunto difensivo per il quale la prova richiesta avrebbe avuto connotazioni scientifico-descrittive e per il quale da essa (quanto meno nelle parti attinenti al funzionamento psichico dell’imputato) si sarebbero potuti trarre elementi utilizzabili ai fini del decidere non induce a diversamente opinare perché, pur potendo convenirsi sulla astratta e sia pur minima utilità – in ogni processo – di qualsivoglia indagine ed accertamento tecnico, deve – con tutta evidenza – altresì convenirsi sulla carenza di decisività di siffatto tipo di indagine istruttoria allorquando, come nella specie, siano stati già acquisiti numerosi e pregnanti elementi che, come congruamente sottolineato nella articolata motivazione della sentenza impugnata, si pongono in contrasto o comunque rendono inutili siffatto tipo di indagine.

In ordine poi alla contestata sussistenza nella specie della circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 11 C.P. (sesto motivo di ricorso) è sufficiente rammentare, a sostegno della infondatezza dei rilievi difensivi e della compatibilità tra le due fattispecie circostanziali previste dalla generale disposizione dell’art. 61 n. 11 citato e dalla disposizione specifica dell’art. 577 n. 1 (abuso del rapporto di paternità), il diverso fondamento oggettivo e la diversa ratio che caratterizzano le circostanze in questione, la prima avente natura oggettiva e consistente in una relazione di fatto tra l’imputato e la parte lesa che agevola la commissione del reato, la seconda avente natura soggettiva ed incentrata esclusivamente nel legame genitoriale preso in considerazione di per sé ed al di fuori di altre condizioni quali la coabitazione e l’ospitalità (cfr. Cass. sentenze n. 10330/92 e n. 5578/90).

Quanto ai rilievi in punto di mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche e di trattamento sanzionatorio (settimo motivo di ricorso), deve escludersi una carenza od una insufficienza motivazionale dovendosi, anche in relazione il diniego delle attenuanti generiche ed al trattamento sanzionatorio che ne è conseguito, tenersi conto oltre che delle specifiche argomentazioni svolte al riguardo nella sentenza impugnata anche delle considerazioni della Corte di merito circa ragioni, modalità e gravità del delitto, circa la ravvisabilità della circostanza aggravante prevista dall’art. 61 n. 1 C.P., circa la poca rilevanza attribuibile ai fini che qui interessano alla presentazione spontanea ai Carabinieri ed alla confessione del Saleem, argomentazioni e considerazioni che valgono a comporre un quadro motivazionale congruo ed esauriente e, come tale, non sindacabile in questa sede di legittimità.

In ordine, infine, al motivo ottavo prospettato nel ricorso e relativo alla manifesta illogicità della motivazione attinente al riconoscimento della qualità di convivente more uxorio del Tempini ed alla sua conseguente legittimazione a costituirsi parte civile ex art. 74 C.P.P., si rileva come la Corte di Assise di Appello abbia tenuto doveroso conto dei principi giurisprudenziali in punto di rilevanza della convivenza per la legittimazione a fini risarcitori del convivente della vittima di un omicidio. Ed infatti i riferimenti (con richiamo e ricezione anche delle più articolate argomentazioni del primo Giudice) alla protrazione nel tempo della convivenza, alla “visibilità esterna” di tale condizione, al sostegno economico-morale assicurato dal Tempini ad Hina, alla intrapresa comunanza di vita, attestano una esatta applicazione dei principi di diritto da parte della Corte di merito con una motivazione immune da sospetti di manifesta illogicità.

Il ricorso avanzato nell’interesse dei coimputati del Saleem, i fratelli Khalid e Zahid Mahmood, deve parimenti essere rigettato per infondatezza od inammissibilità delle censure con esso proposte.

Certamente non condivisibili sono i rilievi, di cui al primo motivo, con i quali si è sostenuta, in relazione all’imputato Khalid Mahmood, la nullità di tutti gli atti per non essere stato costui assistito da interprete a conoscenza della sua lingua (punjabi). A parte la considerazione che il riconoscimento del diritto all’assistenza dell’interprete non discende automaticamente dal mero status di straniero ma richiede l’ulteriore presupposto in capo a quest’ultimo dell’accertata ignoranza della lingua italiana (cfr. Cass. S.U. sent. n. 25932/2008), situazione questa nella specie solo affermata ma non dimostrata, deve comunque considerarsi che l’omessa traduzione di atti relativi ad imputato alloglotta ovvero la mancata nomina di un interprete all’imputato che non conosca la lingua italiana, in violazione dell’art. 143 C.P.P., danno luogo a nullità di ordine generale a regime intermedio che vengono sanate ove non eccepite tempestivamente, ossia prima del compimento dell’atto ovvero, quando ciò non sia possibile, immediatamente dopo (cfr. Cass. sentenze n. 26783/2009 – n. 2635/2007 – 14174/2006): ne consegue che, poiché nella specie nessuna censura sul punto risulta essere stata formulata in grado di appello né in precedenza, i rilievi al proposito sollevati con il ricorso sono privi di fondatezza.

Parimenti infondata (e per alcuni versi anche inammissibile) è la seconda censura con la quale, da un lato, si è contestata la legittimità e quindi la utilizzabilità delle dichiarazioni rese dal coimputato Saleem ai Carabinieri di Gardone Val Trompia e, dall’altro lato, si è criticata la valenza probatoria di tali dichiarazioni, specie nei confronti di soggetti terzi quali i due fratelli Mahmood, e comunque la manifesta illogicità o contraddittorietà delle valutazioni che su tale “non chiamata di correo” o “non prova” avevano svolto i Giudici del merito. Quanto al primo profilo devono richiamarsi le considerazioni più sopra svolte allorché si è esaminata la analoga censura di inutilizzabilità delle dichiarazioni in questione da parte della difesa dell’imputato Saleem; quanto agli ulteriori rilievi (per la verità non sempre comprensibili) contenuti nel motivo in esame, se ne sottolinea la totale irrilevanza atteso: che la Corte di merito non ha tratto da tali dichiarazioni alcun elemento di responsabilità a carico di Khalid e Zahid Mahmood, limitandosi a rilevare il mendacio del coimputato Saleem circa i soggetti presenti in casa al momento dell’uccisione della figlia; che la presenza dei fratelli Mahmood in casa del suocero al momento dei fatti è circostanza pacifica ed ammessa dagli stessi imputati; che la corresponsabilità di costoro è stata nella sentenza impugnata basata su elementi (cfr. pagg. 27/30) che nulla hanno a che vedere con le prime dichiarazioni del Saleem.

I rilievi di cui al terzo punto di doglianza sono anch’essi infondati. La Corte ha proceduto alle sue valutazioni previa disamina delle dichiarazioni legittimamente acquisite nonché dei fatti e delle circostanze emergenti in atti: se è indubbia la possibilità di criticare siffatte valutazioni per la loro eventuale manifesta illogicità o contraddittorietà, deve di contro escludersi che possa essere oggetto di critica, postulando un divieto al proposito, l’accesso a tale disamina. E dunque ben potevano i Giudici del merito tener conto delle dichiarazioni del Saleem e della teste Ghisla, pur se coinvolgenti gli imputati Khalid e Zahid Mahmood, e da esse trarre elementi di giudizio. Quanto poi ai rilievi circa la valenza attribuita a parte dell’interrogatorio reso dal Saleem, che pur era stato ritenuto non affidabile in altre sue parti, o circa la avvenuta utilizzazione delle dichiarazioni – delle quali era stata affermata dal GUP la inutilizzabilità – rese da Zahid Mahmood, si sottolineano: il principio di frazionabilità di qualsivoglia dichiarazione, il richiamo da parte della Corte di merito ai numerosi elementi acquisiti in atti che, a suo giudizio, sostenevano o contrastavano le dichiarazioni da chiunque rese, la pretermissione delle dichiarazioni ritenute inutilizzabili. E dunque, poiché i rilievi avanzati con tale motivo di gravame da un lato sono all’evidenza irrilevanti (laddove si attardano a negare che i due Mahamood abbiano affermato che essi, al momento dell’omicidio, erano intenti ad ascoltare e visionare un DVD “ad alto volume”), da altro lato non prospettano manifeste illogicità o contraddittorietà dell’iter argomentativo seguito dalla Corte per ritenere non credibile che gli imputati Khalid e Zahid Mahmood non si fossero avveduti dell’aggressione e dell’uccisione di Hina, deve concludersi per la infondatezza del motivo in esame.

Quanto al quarto motivo di ricorso (articolato in una “premessa”, in quindici “punti decisivi della motivazione” della sentenza impugnata e in ulteriori “aspetti vari” con elencazione dalla lettera a alla lettera e), il Collegio ne rileva la palese inammissibilità, formulandosi con tale motivo mere proposte di rivalutazione dei dati emersi ovvero avanzando rilievi del tutto irrilevanti o manifestamente infondati.

– Certamente improponibili in questa sede sono i rilievi circa le valutazioni tratte o da trarre dalla pregressa vicenda di maltrattamenti in famiglia e violenza sessuale e da quella conseguente di calunnia (punto 1), circa i rapporti tra Hina ed i cognati (punto 2), circa le ragioni dell’accesso di Hina in casa del padre (punto 4), circa le condizioni economiche di Hina e Tempini (punto 5), circa gli “eventuali regali dello zio di Francia” (punto 6), circa “la fiducia di Hina nei suoi due cognati” (punto 8), circa “l’assunzione di cibo in casa del padre da parte di Hina” (punto 9), circa l’attendibilità delle dichiarazioni rese dalla teste Monica Ghisa (punto 10), circa le circostanze raggruppate sotto la titolazione “Aspetti vari”, con tali rilievi prospettandosi esclusivamente le proprie diverse valutazioni sugli indicati aspetti della vicenda e la poca persuasività delle valutazioni su tali punti operate dalla Corte di merito.

– Parimenti inammissibili sono i rilievi (alcuni contenuti anche nei punti sopra indicati, altri avanzati sub punti 3-13) con i quali si sono sottolineate le divergenze valutative tra il primo ed il secondo Giudice, assumendo significatività non già l’esistenza di convergenze ma la “tenuta” dell’iter argomentativo seguito nella sentenza impugnata, alla luce e nell’ambito – ovviamente – dei vizi motivazionali proponibili in sede di legittimità.

Non diversa sorte merita la censura di mancata disamina e mancata risposta ai rilievi difensivi, più volte espressa nei vari punti in cui si articola il motivo in esame, considerato che il Giudice dell’appello non è tenuto a rispondere ad ogni rilievo dell’impugnante, essendo a lui richiesto di dare adeguata giustificazione globale del suo convincimento e delle sue conclusioni in ordine alla sussistenza o meno del reato od al coinvolgimento in esso dell’imputato nonché in ordine alla fondatezza o meno delle censure dedotte (anche disattendendole implicitamente), ed essendogli altresì consentito di pretermettere, di contro, la disamina delle censure irrilevanti ai fini della decisione. E poiché i rilievi de quibus in parte sono caratterizzati da assoluta irrilevanza (p.es. quelli sub punto 1) ed in parte trovano riscontro e risposta nella motivazione della sentenza impugnata (p.es. quelli sub punti 4-5-6-10-12-14) deve concludersi per la manifesta infondatezza della censura.

– Manifestamente infondata è altresì la censura avverso la reiezione delle richieste di rinnovazione dell’istruttoria volte all’acquisizione di una intervista resa dalla teste Ghisla (punto 10) ed all’espletamento di perizia medico-legale (punto 14), tenuto conto dell’eccezionalità dell’istituto della rinnovazione in grado di appello, della necessaria incidenza sul decidere che tale rinnovazione deve presentare (congruamente esclusa dalla Corte di Assise di Appello), della non censurabilità in sede di legittimità del rigetto della istanza di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in grado di appello quando, come nella specie, la struttura argomentativa a base della decisione di secondo grado si fondi su elementi sufficienti per una compiuta valutazione in ordine alla sussistenza dei fatti ed alla responsabilità (cfr. Cass. sent. n. 40496/2009).

– In ordine alle considerazioni sub 11 e 12 se ne rileva la irrilevanza rispetto alle ragioni poste a base della decisione impugnata e si richiama quanto più sopra detto nella disamina del terzo motivo.

– In ordine poi ai rilievi di cui ai punti 13-14-15 relativi alla dinamica dell’omicidio, rilievi per lo più improponibili in questa sede perché integranti mere rivalutazioni in fatto, si richiama quanto argomentato allorché si sono esaminati il secondo ed il terzo motivo di ricorso del coimputato Saleem; in particolare per quanto riguarda il coinvolgimento dei due fratelli Mahmood nell’omicidio di Hina va sottolineato come nella sentenza impugnata ben si pongano in rilievo, senza incorrere in illogicità o contraddittorietà di sorta, la programmazione dell’incontro del Saleem con la figlia, la necessità della presenza dei generi al fine di indurre la ragazza all’accesso nella casa paterna, la impossibilità per costoro di non avvedersi dell’aggressione e dell’uccisione, il coinvolgimento degli stessi a tali aggressione ed uccisione non già come meri testimoni ma come compartecipi. E che il tipo di coinvolgimento di tali imputati sia stato dalla Corte di merito individuato – anche – nel concorso materiale é indubitabile tenuto conto della effettuata ricostruzione dei fatti ed in particolare della impedita fuga della ragazza dalla porta di ingresso dell’abitazione e della conseguente sua costrizione ad intraprendere una inutile via di fuga lungo le scale che portavano alla mansarda; il riferimento al pur ravvisato concorso morale non introduce alcun profilo di illogicità o contraddittorietà della motivazione, considerato che la Corte, con l’affermazione per la quale “la prova che la partecipazione del Khalid e dello Zahid sia stata materiale non è determinante”, ha inteso solo sottolineare la irrilevanza di ogni questione difensiva al riguardo, emergendo comunque in atti elementi (predisposizione dell’agguato – necessità di collaborazione – mancanza di qualsivoglia condotta dissuasiva verso il Saleem all’atto dell’aggressione, nonostante che la superiorità numerica e fisica dei due fratelli potesse essere, all’evidenza, impeditiva del drammatico epilogo della vicenda) comprovanti il rafforzamento dell’altrui proposito criminoso da parte degli imputati Khalid e Zahid Mahmood; parimenti nessuna illogicità o contraddittorietà motivazionale può ravvisarsi a seguito della ventilata probabilità dell’uso di più coltelli atteso che da siffatta ipotesi (seppur dalla Corte ritenuta congrua) non si è nella sentenza impugnata desunto elementi al fine di stabilire la partecipazione dei due imputati Mahmood all’omicidio, doverosamente prendendo atto della carenza di certezze in ordine a tale circostanza.

– Quanto infine alle censure relative alle aggravanti (punto 3) ed alla sostenuta premeditazione condizionata (punto 7), esse appaiono – oltre che generiche e prive di pertinenza rispetto al percorso argomentativo seguito dalla Corte – manifestamente infondate, atteso che sia “l’estensibilità ai concorrenti dei singoli motivi a delinquere e della premeditazione facenti capo ad un principale imputato” (estensibilità in via di principio ammessa dallo stesso difensore ricorrente ma da questi nella specie contestata), sia la ravvisabilità della premeditazione condizionata trovano fondamento nelle argomentazioni, prive di illogicità e contraddittorietà, svolte nella sentenza impugnata e concernenti la programmazione del delitto e la dinamica dei fatti, il coinvolgimento – nei termini più sopra precisati – degli imputati Khalid e Zahid Mahmood nonché la sussistenza delle circostanze a carico di tutti gli imputati, argomentazioni queste ultime nemmeno prese in esame dalla difesa ricorrente.

Alla stregua di quanto sopra il testé esaminato motivo, articolato sub punto 4, non merita condivisione sotto alcuno dei profili prospettati.

Il quinto motivo di doglianza è inammissibile: esso si risolve intatti in una generica lamentela circa la mancata osservanza da parte della Corte di merito dei canoni di valutazione probatoria, come tale improponibile in questa sede.

Il sesto motivo reitera la doglianza in ordine alla mancata rinnovazione dell’istruttoria (esame della teste Ghisa ed espletamento della perizia medico-legale) già sopra esaminata.

Nessuna condivisibilità merita il settimo motivo di gravame con il quale si sono rilevate erronea applicazione di legge e vizi di motivazione con riguardo alla affermata responsabilità dei due imputati per il reato di soppressione di cadavere; le doglianze al riguardo sono del tutto generiche e non tengono conto delle specifiche argomentazioni riservate in sentenza al coinvolgimento degli imputati anche in tale delitto.

Le richieste subordinate (ottavo motivo) sono palesemente inammissibili, con esse reiterandosi generiche censure in punto di premeditazione, di sussistenza dell’aggravante prevista dall’art. 61 n. 1 C.P., di mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche, di trattamento sanzionatorio, senza tenere conto delle specifiche argomentazioni svolte dalla Corte di merito, senza prospettare manifeste illogicità o contraddittorietà di tali argomentazioni, facendo altresì riferimento erroneo ad una avvenuta esclusione del concorso materiale (cfr. al riguardo disamina del quarto motivo).

Nulla resta da osservare in ordine alla memoria 27/10/2009, con essa reiterandosi le censure di cui al ricorso principale più sopra già esaminate e, quindi, valendo per esse le argomentazioni svolte.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti Saleem Mohammed, Khalid Mahmood e Zahid Mahmood al pagamento delle spese processuali nonché, in solido fra loro, alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile liquidate in complessive euro 3.000,00, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *