Cass. civ. Sez. I, Sent., 17-07-2012, n. 12194

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

XX, titolare di conto corrente presso la Banca De Biase conveniva in giudizio l’XX S.p.A. rete Ambroveneto per sentire accertare l’indebito vantato dalla convenuta nei suoi confronti, compensandolo con il saldo attivo, sulla base di varie irregolarità poste in essere dalla banca sul predetto conto corrente.
Costituitosi il contraddittorio, l’XX Gestione Crediti S.p.A. quale procuratrice dell’XX S.p.A., eccepiva la carenza di legittimazione passiva della rappresentata e, nel merito, chiedeva rigettarsi le domande dell’attrice.
Con sentenza in data 24/11/2003, il Tribunale di Castrovillari dichiarava il difetto di legittimazione passiva della convenuta.
Avverso tale sentenza proponeva appello l’XX SAS di Marino P.C..
Si costituiva la INTESA Gestione crediti spa (già XXGestione Crediti spa), nella sua qualità di procuratrice di Intesa SPA(Già Banca XXspa), che chiedeva il rigetto dell’appello.
La Corte di Appello di Catanzaro, con sentenza in data 25 gennaio – 8 febbraio 2010, rigettava l’appello.
Ricorre per cassazione l’XX S.A.S..
Resiste, con controricorso, INTESA Gestione Crediti S.p.A..
La ricorrente ha depositato memoria per l’udienza.

Motivi della decisione

La resistente eccepisce l’inammissibilità del ricorso, che presenterebbe soltanto profili di merito. E’ necessario; al contrario, distinguere i diversi motivi e le argomentazioni interne ad essi. Appare pertanto, così come formulata, infondata l’eccezione proposta.
Con il primo motivo, la ricorrente lamenta nullità della sentenza per violazione del principio del contraddittorio e degli artt. 100, 101 e 102 c.p.c.; dell’art. 112 c.p.c. e del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, nonchè vizio di motivazione circa la legittimazione dell’odierna resistente. Con il secondo, violazione del D.Lgs. n. 385 del 1983, art. 58 in relazione agli artt. dal 1406 al 1410 e 2560 c.c.; dell’art. 2697 c.c. nonchè vizio di motivazione circa la cessione del rapporto dedotto in giudizio. Con il terzo motivo, solleva questione di incostituzionalità del predetto art. 58, nella parte in cui prevede termine di decadenza di mesi tre dalla pubblicazione della cessione nella Gazzetta Ufficiale, violazione degli artt. 3 e 24 Cost. e dei principi del giusto processo.
I motivi suindicati possono trattarsi congiuntamente, essendo strettamente collegati, e vanno rigettati, in quanto infondati.
Il D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 58 che regola "la cessione a banche di aziende, rami di azienda, beni e rapporti giuridici individuabili in blocco", esclude espressamente le formalità dell’art. 1264 c.c. sia dal lato debitorio che da quello creditorio, disponendo che la pubblicazione della cessione in blocco sulla Gazzetta Ufficiale realizza nei confronti dei debitori cedutagli effetti di cui all’art. 1264 c.c." mentre i creditori ceduti possono, entro tre mesi,esigere dal cedente o dal cessionario l’adempimento delle obbligazioni oggetto di cessione; trascorso tale termine il cessionario risponde in via esclusiva.
Appare al riguardo, manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale, sollevata dalla ricorrente, in relazione al predetto articolo. E’ appena il caso di evidenziare la differenza di situazioni tra la cessione tra privatici sensi dell’art. 1260 c.c. e segg. e quella in esame, nell’ambito del sistema bancario in ordine alla quale è pure sicuramente presente un interesse generale che trascende quello dei soggetti del rapporto. D’altra parte, un termine per l’azione nei confronti del cedente è comunque previsto, e la sua misura è espressione della discrezionalità del legislatore;
successivamente sarà possibile l’azione nei confronti del cessionario, che assume l’intera responsabilità. Non risultano pertanto violati i principi del diritto alla difesa e del giusto processo.
A differenza di quanto afferma la ricorrente, la sentenza impugnata, con motivazione adeguata e non illogica, chiarisce che vi fu cessione pro soluto "in blocco" dei rapporti giuridici, e, più specificamente, il rapporto contrattuale tra l’XX s.a.s. e l’allora Banca De Biase è stato ceduto nella sua interezza; dunque il rapporto ceduto come credito della banca non sarebbe diverso da quello che l’odierna ricorrente deduce invece come fonte di un suo credito.
Si tratta di valutazioni di merito, sorrette, come si diceva, da motivazione adeguata, insuscettibile di controllo in questa sede.
Non sussiste dunque alcuna legittimazione processuale del cedente e, correttamente non è stata disposta integrazione del contraddittorio (allo stesso modo non si ravvisa violazione alcuna del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato): il giudice a quo pronuncia sulla titolarità del rapporto dedotto e correttamente precisa che il debitore ceduto avrebbe dovuto indirizzare al cessionario tutte le eccezioni che avrebbe potuto opporre al creditore originario.
Nè si potrebbe affermare che residuerebbe una legittimazione passiva del cedente per la domanda di ripetizione di indebito, stante la cessione, come si è detto del rapporto dedotto in causa nella sua interezza, dal quale una parte fa derivare una debito e l’altra un credito.
Con il quarto motivo, la ricorrente lamenta contraddittoria motivazione della sentenza, in relazione al comportamento della resistente, munita di procura della Banca INTESA, per resistere in nome e per conto di questa, ma costituita solo per eccepirne senza fondamento la carenza di legittimazione nonchè violazione degli artt. 91, 92, 96 c.p.c. e dei principi del giusto processo.
Il motivo va rigettato in quanto infondato.
Non si ravvisa contraddizione alcuna della motivazione della sentenza impugnata nè violazione di legge, ma, al contrario, corretta applicazione dei principi della rappresentanza. Afferma la ricorrente che il soggetto, asseritamente legittimatole in giudizio, seppur solo nella qualità di procuratore del diverso soggetto citato e non in proprio.
E’ appena il caso di precisare che tale situazione è del tutto irrilevante: la sentenza viene emessa nei confronti del rappresentato, carente di legittimazione; l’odierna ricorrente avrebbe dovuto agire nei confronti dell’INTESA Gestione Crediti S.p.a. in proprio.
Con il quinto motivo, la ricorrente lamenta nullità della sentenza per omessa pronuncia sul merito della causa; violazione dell’art. 112 c.p.c.; degli artt. 183 e 184 c.p.c. per la mancata assegnazione dei termini previsti; violazione dell’art. 354 c.p.c., per la mancata integrazione del contraddittorio; violazione dei principi del giusto processo.
Il motivo si palesa, almeno in parte, come una sintesi dei motivi già proposti ed esaminati.
E’ evidente che, decidendo pregiudizialmente sulla titolarità del rapporto dedotto e sulla (mancanza di) legittimazione passiva della convenuta, il giudice a quo non poteva decidere sul merito; rimane assorbita ogni questione in ordine alla asserita mancata assegnazione dei termini di cui all’art. 183 e 184 c.p.c..
Il motivo va pertanto rigettato in quanto infondato.
Conclusivamente, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che determina in Euro 2.500,00 per onorari ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 11 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2012

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