Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
1. Su istanza del Pubblico ministero il Tribunale di Latina, con sentenza in data 25 settembre 2008, dichiarò il fallimento della T V s.p.a.. Questa propose reclamo avverso la sentenza alla Corte d’appello di Roma, denunciando l’incompetenza del tribunale di Latina, essendo in (OMISSIS) la sede legale della società;
l’omessa audizione del suo legale rappresentante a norma della L. fall., art. 15; l’illegittimità della pronuncia nel merito, per l’assenza di istanze di creditori e per la deduzione dello stato d’insolvenza solo da analisi e valutazioni di un consulente del Pubblico ministero in altro procedimento.
Il curatore del fallimento resistette al reclamo deducendo, in ordine alla questione di competenza, che all’indirizzo indicato non vi era più la sede sociale della società, ma solo la residenza del suo legale rappresentante, che peraltro non era stato rinvenuto in occasione di un accesso della Guardia di finanza; e che il bilancio del 2007 era stato approvato presso lo stabilimento di (OMISSIS).
2. Con sentenza 24 marzo 2009 la corte distrettuale ha ritenuto fondata l’eccezione d’incompetenza del Tribunale di Latina, essendo la sede legale della società, in (OMISSIS), quella anche effettiva. La corte ha ritenuto assorbite tutte le altre questioni proposte, e ha annullato la sentenza impugnata dichiarativa del fallimento.
3. Per la cassazione di questa sentenza, notificata il 16 aprile 2009, ricorre il Fallimento, con atto notificato il 12 maggio 2009, per tre motivi.
La T V s.p.a. resiste con controricorso e con una memoria.
Motivi della decisione
4. La società resistente ha fatto pervenire in cancelleria il 2 luglio 2012, in aggiunta alla memoria di cui s’è detto, altra memoria di un nuovo difensore, il quale richiama una procura in margine allo stesso atto. Di tale procura, peraltro non rispondente ai requisiti dell’art. 83 c.p.c., nel testo applicabile al presente giudizio, iniziato anteriormente all’entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, non v’è traccia nella memoria, che è pertanto inammissibile.
La società resistente eccepisce il difetto di legittimazione e di interesse del curatore a ricorrere per cassazione contro la sentenza di revoca del fallimento. L’eccezione non ha fondamento. Questa corte ha enunciato il principio di diritto, per il quale è ammissibile il ricorso per cassazione proposto dal curatore fallimentare avverso la sentenza di revoca della dichiarazione di fallimento, non essendo configurabile una carenza di legittimazione del curatore, nonostante l’intervenuta chiusura del fallimento e la cessazione del ricorrente dalla carica, atteso che il fallimento viene meno, con decadenza dei suoi organi, solo con il passaggio in giudicato della sentenza di revoca (Cass. 26 febbraio 2009 n. 4632; conf. 25 febbraio 2011 n. 4707; entrambe le sentenze sono richiamate e condivise da Cass. Sez. un. 1 febbraio 2012 1418).
Nè può negarsi la sussistenza dell’interesse all’azione da parte del curatore, che tutela l’interesse pubblico della massa dei creditori, sol perchè il fallimento è stato dichiarato su istanza del pubblico ministero, quando sia stata accertata l’insolvenza della società, e la revoca sia stata disposta quale mera conseguenza dell’incompetenza del giudice che ha emesso la sentenza dichiarativa di fallimento. La circostanza che non vi siano state insinuazioni al passivo, sulla quale si basa l’eccezione, è irrilevante, prima che sia stata aperta la fase della verificazione del passivo.
5. In via pregiudiziale si deve osservare che la sentenza impugnata non si è limitata a decidere sulla competenza, ma ha altresì annullato la dichiarazione di fallimento e giudicato in tal modo assorbite le altre questioni dedotte in via di reclamo. In considerazione di queste pronunce di merito non sussistono i presupposti per il regolamento di competenza, e la sentenza è impugnabile con ricorso ordinario, come di fatto è avvenuto.
6. Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione della L. Fall., art. 9, e delle norme sulla competenza. Si formula il seguente quesito di diritto: se la determinazione del tribunale competente a dichiarare il fallimento ai sensi della L. Fall., art. 9, va operata con riferimento al luogo della sede principale dell’impresa, intesa come sede "reale ed effettiva" di questa, dovendosi intendere per tale il luogo in cui è esercitata l’attività direttiva, amministrativa e organizzativa dell’impresa, ovvero la parte più significativa di esse; e se la presunzione iuris tantum di coincidenza tra la sede legale e quella effettiva può essere superata con il raggiungimento della prova che la sede effettiva sia situata altrove rispetto alla sede legale, e, segnatamente, se la sede effettiva possa essere individuata anche con riferimento al luogo in cui è il centro direttivo del gruppo di società, riferibili a un unico soggetto, di cui fa parte la società fallenda (nella specie, risultava che il luogo in cui si collocava il centro direttivo, organizzativo e produttivo dell’impresa fallenda e delle sue collegate e controllanti, facenti capo a un’unica persona fisica, era diverso dalla sede legale; che presso di esso era stato approvato dall’assemblea l’ultimo bilancio di esercizio; e che gli accertamenti compiuti dalla Guardia di finanza presso la sede legale non vi avevano rinvenuto nessuna attività e nessuna presenza fisica, se non un mero recapito postale).
7. Il motivo non è fondato. La sede legale della società vale a radicare la competenza del tribunale investito dell’istanza di fallimento, dovendosi presumere che essa è al tempo stesso anche la sede effettiva della società. Grava pertanto sulla parte che afferma la competenza di un diverso foro territoriale l’onere di dimostrare che nel caso concreto la sede effettiva della società, della quale si chiede la dichiarazione di fallimento, è diversa da quella sociale. L’assunto che nel caso in esame la sede effettiva sia nel luogo in cui è il centro direttivo del gruppo di società, riferibili a un unico soggetto, di cui fa parte la società fallenda, non è idoneo a individuare un foro territoriale competente diverso da quella della sede legale della società, perchè il fenomeno del collegamento di società, se non metta capo a una direzione unitaria delle singole imprese, non sposta di per sè l’attività direttiva, amministrativa e organizzativa dell’impresa.
8. Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 9 bis della legge fallimentare. La corte distrettuale, dichiarando l’incompetenza del Tribunale di Latina, ha omesso il provvedimento, prescritto dalla norma invocata, di trasmissione degli atti al tribunale competente, e ha invece illegittimamente annullato la sentenza dichiarativa del fallimento.
Si pone il quesito se il giudice del reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, nell’ipotesi in cui abbia ritenuto incompetente il tribunale che ha dichiarato il fallimento, debba pronunciare l’incompetenza con sentenza da trasmettersi in copia al tribunale dichiarato incompetente, senza che abbia alcun potere di annullare sulla base della sola dichiarazione d’incompetenza la sentenza di primo grado e di revocare il fallimento; e se – nell’ipotesi in cui il tribunale ritenuto competente rientri nel medesimo distretto della corte d’appello – questa debba altresì pronunciarsi con la medesima sentenza sulle altre eventuali questioni diverse dalla competenza.
Con il terzo motivo si denuncia la nullità della sentenza per aver ritenuto, sulla sola base della sentenza dichiarativa d’incompetenza, assorbite tutte le altre questioni diverse dalla competenza che erano state proposte con il reclamo, e per l’effetto annullata la sentenza dichiarativa del fallimento. Si pone il quesito se sia nulla la sentenza con la quale la corte d’appello, adita con il reclamo L. Fall., ex art. 18, anche per questioni di competenza, abbia dichiarato incompetente il tribunale che ha dichiarato il fallimento, &; ritenuta assorbita ogni altra questione proposta con il reclamo e diversa dalla competenza, abbia annullato la sentenza dichiarativa di fallimento.
9. I due motivi possono essere esaminati insieme, per la stretta connessione dei vizi di legittimità imputati all’impugnata sentenza.
Essi sono fondati.
La L. Fall., art. 9 bis, nel testo risultante dalla Novella del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, art. 8, dispone che il provvedimento che dichiara l’incompetenza è trasmesso in copia al tribunale dichiarato incompetente, che dispone con decreto l’immediata trasmissione degli atti al tribunale competente, davanti al quale – se non sia richiesto il regolamento di competenza – la procedura fallimentare prosegue. In tal caso restano salvi gli effetti degli atti precedentemente compiuti (L. Fall., art. 9 bis, comma 3).
Nel quadro delineato dalla nuova disciplina del procedimento per la dichiarazione del fallimento, dunque, la questione della competenza territoriale non è condizione di validità della dichiarazione di fallimento, che non viene meno per l’accertata incompetenza territoriale che l’ha pronunciata, ma è destinata a incidere sulla determinazione del foro in cui la procedura fallimentare deve svolgersi.
A questa norma non si è attenuta la corte territoriale, che in base all’accertata incompetenza territoriale del Tribunale di Latina, che aveva dichiarato il fallimento della società, s’è ritenuta dispensata dall’esaminare nel merito gli altri motivi di appello, e KB ha fatto erroneamente discendere dall’incompetenza la revoca del fallimento della società. In applicazione della citata disposizione, invece, dall’accertata incompetenza del giudice di primo grado, se tale da esaurire il tema decidendum del giudizio di appello, non poteva discendere altra conseguenza se non la trasmissione del provvedimento al tribunale dichiarato incompetente, per gli adempimenti conseguenti.
Nella fattispecie, tuttavia, il debitore dichiarato fallito aveva esposto altri motivi di appello contro la sentenza di primo grado, attinenti alla regolarità del procedimento e all’accertamento stesso dell’insolvenza. Il giudice d’appello, pertanto, non poteva esimersi dall’esaminare gli altri punti che gli erano stati devoluti, dall’esame dei quali, soltanto, potrebbe discendere la revoca del fallimento.
A questo riguardo è necessaria tuttavia qualche precisazione. In astratto, infatti, la questione di competenza potrebbe coinvolgere la competenza stessa della corte d’appello. Ciò avviene quando il foro competente per lo svolgimento della procedura concorsuale è fuori del distretto della corte d’appello. Questo caso è espressamente contemplato nella L. Fall., art. 9 bis, comma 4. La norma prevede che, in questo caso, la corte d’appello limiti il suo esame alla questione di competenza, e l’appello debba essere riassunto davanti alla corte d’appello nel cui distretto è compreso il tribunale competente per il fallimento. Questa fattispecie non s’è verificata nel caso presente, in cui entrambi i tribunali, quello incompetente che ha dichiarato il fallimento e quello competente davanti al quale il fallimento deve svolgersi, sono compresi nel distretto della medesima corte d’appello.
10. In accoglimento dei secondo e del terzo motivo di appello, l’impugnata sentenza deve essere cassata in applicazione del principio di diritto per cui, nel giudizio di reclamo avverso la dichiarazione di fallimento, se oltre alla questione di competenza siano proposte altre censure, attinenti al procedimento o al merito, la corte d’appello, salvo che il tribunale territorialmente competente non sia fuori del suo distretto, non può limitare il suo esame alla questione di competenza, ma deve esaminare la fondatezza degli altri motivi, e, se riformi la sentenza impugnata revocando il fallimento, deve trasmettere il provvedimento al primo giudice, per gli adempimenti di sua competenza.
11. L’accoglimento dei due motivi di ricorso comporta la cassazione della sentenza, e il rinvio della causa alla medesima corte d’appello, perchè decida – anche ai fini del regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità – sui motivi di reclamo diversi da quello concernente la competenza, e, qualora emetta una pronuncia di riforma della sentenza impugnata, trasmetta il provvedimento al primo giudice, per gli adempimenti di sua competenza a norma della L. fall., art. 9 bis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo e il terzo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 4 luglio 2012.
Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2012
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