Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
1. Con citazione 23 aprile 1997, il Fallimento XXX s.r.l. citò la XXX s.r.l. davanti al Tribunale di Avezzano, esponendo che: – la società in bonis aveva stipulato un contratto di assicurazione contro gli incendi con la XXX s.p.a.; – a seguito di un incendio del magazzino, la XXX doveva pagare l’indennizzo alla società, ma questo credito era stato pignorato dalla convenuta, creditrice a sua volta della società XXX; – il pretore, con ordinanza 6 giugno 1995, aveva assegnato alla XXX la somma di L. 38.000.000, oltre agli accessori; – già in precedenza, il 4 novembre 1994 tra la XXX e la XXX era stata stipulata una transazione con la quale il danno derivante dall’incendio era stato liquidato in L. 350.000.000, con l’accordo che la XXX, pignorataria del credito, avrebbe versato direttamente alla XXX la somma di L. 42.000.000 a essa XXX dovuta dalla XXX; – il 7 ottobre 1995 era stato dichiarato il fallimento della XXX. Il fallimento chiese la revoca del pagamento, eseguito nell’anno anteriore al fallimento da soggetto consapevole dello stato d’insolvenza. La convenuta resìstette assumendo che il pagamento non era riconducibile alla fallita, ma alla XXX, che con la transazione l’aveva assunto come debito proprio.
Il Tribunale accolse la domanda attrice, e la XXX propose appello, deducendo che il primo giudice era incorso in ultrapetizione, avendo la curatela chiesto la revoca della transazione e non del pagamento, che il debito pagato era proprio della XXX s.p.a. in forza della transazione stipulata tra le parti, e che in ogni caso il pagamento era stato disposto coattivamente dal giudice dell’esecuzione con ordinanza di assegnazione. La curatela fallimentare fu dichiarata contumace.
2. Con sentenza 26 novembre 2007, la Corte d’appello dell’Aquila ha rigettato il gravame.
Per la cassazione della sentenza, non notificata, ricorre la XXX s.r.l. con atto notificato il 15 gennaio 2009 spedito il 12 gennaio 2009, per due motivi.
Il fallimento non ha svolto difese.
Motivi della decisione
3. Con il primo motivo si denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c.. Si lamenta che la corte del merito abbia respinto il motivo di appello basato sull’ultrapetizione del tribunale. Il primo giudice, sebbene fosse stata chiesta la dichiarazione d’inefficacia sia della transazione e sia del pagamento, aveva revocato solo il pagamento affermando che "oggetto della revocatoria non è l’atto di transazione giudiziale bensì il pagamento coattivo che a esso seguì". Il giudice d’appello aveva affermato che la denunciata violazione non sussiste nel caso in cui il giudice, nell’esercizio d’interpretazione della domanda, e senza modificarne gli elementi obiettivi fissati dall’attore, accolga la domanda solo per una parte.
Si deduce che in realtà il fallimento, in primo grado aveva chiesto la revocatoria esclusivamente della transazione. Si formula il quesito se debba considerarsi viziata da ultrapetizione la sentenza che pone quale oggetto di revocatoria fallimentare un fatto diverso – nella specie il pagamento – da quello effettivamente fatto valere con la domanda attrice in giudizio – nel caso specifico la transazione intercorsa.
4. Nella ricostruzione del fatto compiuta dal giudice d’appello, e che la XXX ha fatto interamente propria nella parte del suo ricorso dedicata all’esposizione di "Fatto e svolgimento dei precedenti gradi di giudizio", si afferma testualmente che "la curatela, dunque, chiedeva che quel pagamento venisse revocato", e questa ricostruzione contraddice la tesi sostenuta dalla ricorrente. Questa d’altra parte, omette sia di riportare nel ricorso – in omaggio al principio dell’autosufficienza – la testuale formulazione della domanda attrice, che dovrebbe convalidare la sua doglianza; e sia soprattutto di indicare specificamente, a norma dell’art. 366 c.p.c., n. 6, l’atto processuale sul quale si fonda il motivo, e la sede nella quale detto atto sarebbe rinvenibile, così da consentire a questa corte di legittimità, che nell’esame delle questioni processuali è anche giudice del fatto, di verificare la tesi sostenuta. Il motivo è inammissibile.
5. Con il secondo motivo si denuncia la falsa applicazione della L. Fall., art. 67, comma 2, per avere il giudice d’appello affermato la revocabilità del pagamento coattivo. Si formula il quesito se debba considerarsi revocabile ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 2, un pagamento coattivo effettuato sulla scorta di un provvedimento di assegnazione del giudice dell’esecuzione.
6. Il motivo è infondato, in base al principio di diritto, ripetutamente enunciato da questa corte (cfr. Cass. 25 giugno 1998 n. 6291; 3 marzo 2006 n. 4709), e che anche nella fattispecie deve trovare applicazione, che nell’ipotesi di soddisfacimento delle ragioni dei creditori mediante procedure esecutive individuali, gli atti soggetti a revocatoria L. fall., ex art. 67, in quanto compiuti entro l’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento del debitore esecutato, non sono i provvedimenti del giudice dell’esecuzione (nella specie, assegnazione di un credito vantato dal fallito presso terzi) bensì i soli, successivi (e distinti) atti di pagamento coattivo in tal modo ottenuti.
7. In mancanza di difese svolte dalla parte intimata non v’è luogo a pronuncia sulle spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2012
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