Cassazione, 4 novembre 2009, n. 23412 Responsabilita’ ex recepto della banca per il servizio di cassette di sicurezza, il furto non e’ fortuito

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

C. del V. G. ed A. convenivano in giudizio la Banca N. della A. S.p.a., in persona del legale rappresentante, per sentirla condannare al risarcimento dei danni subiti a seguito del furto del contenuto di una cassetta di sicurezza di cui erano locatari presso detta Banca.

Costituitosi regolarmente il contraddittorio, la B. S.p.a. chiedeva rigettarsi la domanda degli attori.

In corso di causa veniva deferito ed espletato giuramento suppletorio ed estimatorio. Con sentenza del 21/04/98, il Tribunale di Roma condannava la banca al risarcimento dei danni, determinati sulla base del giuramento in L. 212.515.000, rivalutate in L. 328.548.190, con gli interessi nella misura del 3% sull’importo non rivalutato.

Proponeva appello la Banca che richiedeva rigettarsi ogni domanda contro di lei proposta. Costituitosi il contraddittorio, le controparti chiedevano rigettarsi l’appello e, in via incidentale, determinarsi un saggio di interesse superiore.

La Corte di Appello di Roma, con sentenza 13/11/2003, rigettava tanto l’appello principale che quello incidentale.

Ricorre per cassazione la Banca A. P. V. S.p.a. (successore della B. S.p.a.) in persona del legale rappresentante, sulla base di due motivi.

Resistono, con controricorso, le controparti.

Le parti hanno depositato memorie difensive.

Motivi della decisione

Con il primo motivo, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 3, regolamento delle norme disciplinanti il servizio delle cassette di sicurezza richiamante il contenuto dell’art. 1839 c.c., dello stesso articolo 1839 c.c., artt. 1362 e 1363 c.c., 113, 115 c.p.c., nonché omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione ed erroneo esame di un punto decisivo della controversia.

Sostiene la ricorrente che nessuna responsabilità può a lei attribuirsi, anche perché il locale in cui erano custodite le cassette di sicurezza era adeguatamente protetto.

Il motivo è infondato.

Non si ravvisa violazione alcuna o falsa applicazione di legge. Questa Corte si è più volte pronunciata in materia (Cass. n. 7081/05), precisando che la sottrazione di beni custoditi in cassetta di sicurezza, a seguito di furto, non può considerarsi caso fortuito, in quanto è evento prevedibile, in considerazione della prestazione dedotta in contratto (con tale contratto la Banca assume la responsabilità riferita a prestazioni di custodia). È applicabile, nella specie, l’art. 1218 c.c., per cui è il debitore che, per liberarsi dalla responsabilità, ha l’onere di provare che l’impossibilità della prestazione è dovuta a causa a lui non imputabile. Ancora, l’art. 1839 c.c., che indica la responsabilità della banca, relativamente alla “idoneità e custodia dei locali” e alla “integrità esterna delle cassette di sicurezza”, va interpretato nel senso che non solo al locale dov’è materialmente collocata la cassetta ci si deve riferire, ma pure a tutto il complesso bancario, attraverso il quale è possibile accedere alla cassetta stessa.

La valutazione della prova liberatoria della Banca spetta al giudice del merito e non è suscettibile di controllo in questa sede, se sorretta da una motivazione adeguata e non illogica, nella specie sussistente.

Chiarisce il giudice a quo che non solo la Banca non ha fornito prova liberatoria, ma addirittura sussiste in atti prova positiva delle gravi carenze del sistema antifurto dei locali della Banca: dall’esame degli atti (dichiarazione del funzionario De S. e atti acquisiti del procedimento penale nei confronti dei rapinatori) emerge – come precisa ulteriormente la pronuncia impugnata – che non esisteva un sistema di vigilanza da parte di guardie giurate, telecamere o metaldetector per l’accesso ai locali (i rapinatori si introdussero da una porta secondaria, utilizzando una chiave riprodotta a calco) e neppure un congegno di apertura a tempo del “caveau”; le singole cassette furono aperte dai rapinatori senza particolari difficoltà, non era innescato il sistema di allarme collegato alla questura.

Con il secondo motivo lamenta la Banca A. violazione e falsa applicazione dell’art. 2736 c.c. (con conseguente illegittimità dell’ordinanza ammissiva del giuramento suppletorio), degli artt. 113 e 115 c.p.c., nonché motivazione insufficiente, illegittima e contraddittoria, omesso esame di punti decisivi della controversia.

Anche questo motivo va rigettato, siccome infondato.

Non si ravvisa violazione alcuna o falsa applicazione di legge. Va precisato che la valutazione sulla opportunità di deferire il giuramento suppletorio, ricorrendo i presupposti di legge, è discrezionale. È ammesso soltanto il successivo controllo sulla sussistenza dei presupposti di cui all’art. 2736 n. 2 c.c. per l’esperibilità del mezzo (tra le altre, Cass. n. 2749/1996; n. 2803/1999), ma la valutazione concreta della semiplena probatio spetta al giudice del merito ed è insuscettibile di riesame in questa sede, se sorretta da una motivazione adeguata e non illogica, nella specie sussistente.

Il giudice a quo, valutando il profilo della semiplena probatio, richiama la dettagliata denuncia contenente caratteristiche e numero dei beni sottratti, presentata nell’immediatezza dei fatti; le condizioni morali e patrimoniali dei titolari della cassetta, indicati come primari clienti della banca; la deposizione del teste Al. C. che accompagnò il padre G. in banca, pur senza accedere al “caveau” all’atto dell’immissione dei valori in cassetta, dopo una perizia; la deposizione del teste D. che periziò i preziosi ai fini di divisione ereditaria, nei primi mesi del 1988.

Evidenzia il giudice a quo, in prospettiva contrastante, la certificazione notarile del registro per il servizio cassette di sicurezza, da cui sembrava emergere un’apertura della cassetta stessa soltanto in data anteriore alla perizia (pur precisando che si trattava di certificazione notarile fondata sulla sola produzione delle fotocopie di pagine anteriori al 1998, ciò che non avrebbe potuto escludere l’eventuale sussistenza di altre “aperture” successive).

Conclusivamente, va rigettato il ricorso.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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