Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
1. xxx, conduttrice condannata al rilascio dell’immobile locato con fissazione del termine L. n. 392 del 1978, ex art. 56 per la data del 18.2.06, dopo il secondo accesso dell’ufficiale giudiziario, avutosi il 6.6.06, ricorre – con atto del 7.6.06 – al tribunale di Roma in composizione collegiale ai sensi del comma 3 della richiamata norma (come introdotto dal D.L. 13 settembre 2004, art. 7 bis convertito, con modificazioni, in L. 12 novembre 2004, n. 269) nei confronti delle locatrici esecutanti, Ba. ed An.Al.; ma il tribunale, con sentenza n. 15271/06 del 5- 12.7.06, dichiara inammissibile la domanda, qualificata come opposizione agli atti esecutivi, ritenendo dover decorrere il relativo termine dalla data del provvedimento originario di fissazione del termine. Ricorre con unitario motivo la conduttrice e resistono con controricorso le controparti; la ricorrente deposita, altresì, memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ..
Motivi della decisione
2. La ricorrente sviluppa un unitario motivo – rubricato "violazione della L. n. 392 del 1978, art. 56, comma 3 in relazione all’art. 111 Cost., comma 7 ed all’art. 360 c.p.c., n. 4" – e conclude con il seguente quesito: "l’opposizione contemplata dalla L. n. 392 del 1978, art. 56, comma 3 può essere incardinata in qualsiasi momento, con tale accezione intendendosi non già lo stato del provvedimento di rilascio, bensì la possibilità di presentarla letteralmente in ogni momento e quindi anche nell’ambito della fase esecutiva e durante tutto il suo corso, in particolare non operando il termine di 20 gg. Previsto per l’opposizione agli atti esecutivi?". Le controricorrenti ripercorrono, aderendovi, le argomentazioni sviluppate dal tribunale per la qualificazione della domanda come opposizione agli atti esecutivi e per l’individuazione del dies a quo nella data dell’emissione del provvedimento che contiene il termine ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 56 pure facendo valere che si tratta di locazione non abitativa.
3. La fattispecie è quella regolata dalla L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 56, comma 3 – come sostituito dal D.L. 13 settembre 2004, n. 240, art. 1 bis convertito con modificazioni in L. 12 novembre 2004, n. 269, a mente del quale "qualunque forma abbia il provvedimento di rilascio, il locatore e il conduttore possono, in qualsiasi momento e limitatamente alla data fissata per l’esecuzione, proporre al tribunale in composizione collegiale l’opposizione di cui alla L. 9 dicembre 1998, n. 431, art. 6, comma 4"; ed essa si inscrive nella previsione del nuovo art. 56, il comma 1, prevede ora che, con il provvedimento che dispone il rilascio, il giudice, previa motivazione che tenga conto anche delle condizioni del conduttore comparate a quelle del locatore, nonchè delle ragioni per le quali viene disposto il rilascio stesso e, nei casi di finita locazione, del tempo trascorso dalla disdetta, fissa la data dell’esecuzione entro il termine massimo di sei mesi ovvero, in casi eccezionali, di dodici mesi dalla data del provvedimento. A sua volta, la L. 9 dicembre 1998, n. 431, art. 6, comma 4, (dettata per l’impugnativa dei provvedimenti di rideterminazione della data per l’esecuzione ai sensi della normativa transitoria di detta disciplina, tesa a favorire la rinegoziazione dei rapporti già in essere nella nuova disciplina a canone sostanzialmente libero dettata dai precedenti articoli della medesima L. n. 431 del 1998), prevede un’opposizione "per qualsiasi motivo al tribunale, che giudica con le modalità di cui all’art. 618 c.p.c.".
4. Il termine o giorno per l’esecuzione previsto dalla L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 56 è stato sempre ricostruito, dalla giurisprudenza di questa Corte regolatrice (tra le altre: Cass. 8 settembre 2006, n. 19295; Cass. 15 luglio 2003, n. 11063; Cass. li dicembre 1998, n. 12463; Cass. 3 maggio 1996, n. 4074; Cass. 26 ottobre 1992, n. 11618; Cass. 16 dicembre 1988, n. 6859):
– come accessorio del provvedimento che pronuncia, con il riconoscimento della cessazione di un rapporto di locazione, la condanna del conduttore al rilascio;
come caratterizzato da una natura semplicemente ordinatoria del processo esecutivo, impedendo cioè esso che l’esecuzione per il rilascio dell’immobile locato sia intrapresa prima del suo spirare:
sicchè esso ha rilievo esclusivamente processuale e non sostanziale, dal che deriva che non influisce (pertanto non prorogandolo o posticipandolo) in alcun modo sull’epoca di cessazione de iure del contratto di locazione, come individuata nel provvedimento che per qualunque causa la identifichi;
– come insuscettibile di qualsiasi impugnazione in senso stretto (tanto che un’impugnazione rivolta esclusivamente avverso tale capo del provvedimento di rilascio era qualificata inammissibile), potendo invece esso, proprio perchè di natura ordinatoria, essere emesso, revocato o modificato dal giudice dell’esecuzione (nonostante qualche dubbio manifestatosi tra gli interpreti, anche per le concrete modalità di estrinsecazione di un potere ordinatorio prima dell’inizio – identificato, all’epoca, con il primo accesso dell’ufficiale giudiziario dell’esecuzione stessa e quindi della stessa esistenza di un giudice ad essa preposto).
5. Di tali conclusioni soltanto la terza è stata attinta dalla riforma del 2004. Essa ha chiaramente inteso ridisegnare il potere di determinazione del giorno per l’esecuzione: da un lato, ancorandolo alla valutazione di presupposti ben precisi ed alla necessità di un’esplicita motivazione, dall’altro consentendo un riesame del provvedimento con modalità procedurali determinate. In tal modo, la novella non ne muta la natura meramente ordinatoria del processo esecutivo e quindi l’inidoneità ad influire sulla cessazione de iure del contratto di locazione; e, in primo luogo, non opera distinzione alcuna tra locazioni abitative e non abitative.
Piuttosto, l’introduzione di uno specifico – e pertanto esclusivo – mezzo di impugnazione sottrae il provvedimento in parola (e cioè il capo del provvedimento di rilascio che fissa il termine o giorno per l’esecuzione) alla tendenziale illimitata modificabilità da parte del giudice dell’esecuzione e disegna un procedimento specificamente destinato al riscontro della correttezza della motivazione sulla sussistenza e sulla valutazione dei requisiti per la concessione e la concreta individuazione del termine stesso; e tanto può aver luogo "per qualsiasi motivo" (come risulta dal richiamo alla L. n. 431 del 1998, art. 6, comma 4) e pertanto non soltanto per vizi formali, ma, deve ritenersi, anche per qualunque oggettiva incongruità del termine rispetto alla situazione effettiva, ivi compresa quella derivante da eventuali fatti sopravvenuti e non prevedibili al momento della fissazione originaria del termine (beninteso, in relazione alle situazioni di ognuna delle parti).
Un tale procedimento ha ad oggetto così la legittimità e la congruità del provvedimento di fissazione del termine e, potendo a sua volta essere impugnata la sentenza che lo definisce, può dar luogo ad un giudicato – se non altro – formale su ogni relativa questione: sicchè, al riguardo, nessun potere residua più in capo al giudice dell’esecuzione, il quale anzi resterà vincolato alle relative determinazioni del giudice che avrà definito l’opposizione.
6. Tale opposizione è quella prevista dalla L. 9 dicembre 1998, n. 431, art. 6, comma 4, che a sua volta rinvia all’art. 618 c.p.c.. Al momento in cui il richiamo è stato operato (e pertanto prima della sua novella, di cui alla L. 24 febbraio 2006, n. 52, art. 15), la norma – dopo un primo comma rimasto intatto dopo la novella, per il quale si fissa, con decreto, l’udienza di comparizione delle parti dinanzi al giudice, con termine perentorio per la notificazione di ricorso e decreto e, nei casi urgenti, con tutti i provvedimenti ritenuti opportuni – prevedeva una struttura monofasica, di adozione degli eventuali provvedimenti indilazionabili e di successiva immediata istruzione della causa, con sua decisione con sentenza non impugnabile.
Deve ritenersi che il richiamo operato dalla normativa in esame – e cioè dal D.L. 240 del 2004, art. 1 bis – vada qualificato come fisso e non già mobile: la successiva modifica della struttura del giudizio di opposizione agli atti esecutivi (dovuta appunto alla L. n. 52 del 2006, art. 15) è, con tutta evidenza, coerente con la nuova ricostruzione sistematica delle cause oppositive in senso stretto di cui agli artt. 615 a 619 cod. proc. civ., tutte caratterizzate da una prima fase sommaria o cautelare, finalizzata all’eventuale immediata incisione sullo sviluppo del procedimento esecutivo, e poi da un giudizio di merito meramente eventuale e rimesso all’iniziativa della parte interessata. Non avrebbe senso allora ricostruire anche la specifica opposizione avverso un provvedimento di fissazione del termine ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 56 che possa strutturarsi su due analoghe distinte fasi, visto che l’unico oggetto della controversia è la verifica della correttezza e della congruità dell’applicazione dei parametri per la concreta individuazione, da parte del giudice della cognizione che ha pronunciato il principale provvedimento di condanna al rilascio, del giorno o termine concretamente fissato per l’esecuzione. Per l’incongruità della normativa novellata rispetto alla funzione ed alla natura dello speciale giudizio oppositivo, può concludersi nel senso che questo è regolato dal testo dell’art. 618 del momento in cui la norma di rinvio è stata emanata e quindi:
– che resta ferma la possibilità, per il giudice adito, di fissare con decreto l’udienza di comparizione dinanzi a sè ed il termine perentorio per la notificazione del ricorso e del decreto, nonchè, nei casi urgenti, di dare i provvedimenti opportuni;
che all’udienza fissata, però, adottati i provvedimenti indilazionabili (e provvedutosi alla conferma, modifica o revoca di quelli concessi con decreto, secondo la regola generale del capoverso dell’art. 669-sexies, se non dell’art. 625 cod. proc. civ.), non viene fissato alcun ulteriore termine per l’introduzione del giudizio di merito, ma si procede direttamente all’istruzione della causa ed alla sua decisione con sentenza non impugnabile.
Il giudice, trattandosi poi di materia evidentemente relativa alla locazione, benchè collegiale applicherà fin dall’inizio il rito previsto dall’art. 447-bis cod. proc. civ.: del resto, già dandosi nell’ordinamento processuale, come nel caso delle sezioni specializzate agrarie di tribunale, ipotesi di giudici collegiali che applicano il rito speciale in primo grado.
7. Resta da stabilire allora se sia corretta la ricostruzione dei giudici del merito sulla soggezione della speciale opposizione al termine perentorio ordinariamente previsto dall’art. 617 cod. proc. civ.: ma a tale quesito va data risposta negativa, sia pure non potendosi, per la peculiarità della fattispecie, giungere alla cassazione della gravata sentenza, risultando per altri motivi conforme a diritto il suo dispositivo sull’inammissibilità dell’opposizione in concreto dispiegata.
Infatti:
da un lato, è con tutta evidenza deliberatamente evitato il richiamo all’art. 617 cod. proc. civ., unico a prevedere un termine perentorio di proposizione (di cinque giorni – al momento dell’emanazione della norma – e, successivamente, di venti giorni, a far tempo dalla novella entrata in vigore il 1.3.06);
– dall’altro lato, l’espressione "in qualsiasi momento", riferita alla proponibilità dell’opposizione in esame, non può soffrire limitazioni se non desumibili da norme connesse o generali: quali si atteggiano, da una parte, la L. n. 392 del 1978, art. 56, comma 4 per il quale "trascorsa inutilmente la data fissata, il locatore promuove l’esecuzione ai sensi dell’art. 605 c.p.c. e segg.", nonchè, dall’altra parte, la generale normativa sulla non modificabilità dei termini ordinatori una volta elassi ed una volta che la loro modifica non sia stata chiesta prima della loro scadenza.
E’ allora impossibile ricavare un termine perentorio diverso, per incompatibilità funzionale del procedimento in esame, da quello della già avvenuta scadenza del termine avverso cui ci si oppone.
Ad analoga conclusione, prima della riforma dell’art. 56 di cui si sta qui discorrendo, questa Corte è già pervenuta, affermando che, in tema di rilascio per finita locazione di immobili urbani, la finalità del legislatore è quella di ridurre il ricorso alle procedure esecutive attuando l’equo contemperamento delle esigenze del locatore e del conduttore, mediante un sistema che, attraverso la fissazione di un giorno per l’esecuzione del rilascio, decorso il quale il locatore è abilitato a procedere in via esecutiva (L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 56), prevede la sostanziale sospensione temporanea dell’accesso alla procedura esecutiva: con la conseguenza che ogni richiesta di modifiche di tale termine (benchè, nella specie, ritenuta possibile ai sensi della L. n. 431 del 1998, art. 6, commi 4 e 5 anche oltre il 27.6.99, contrariamente a quanto più correttamente sostenuto da Cass. 17 maggio 2010, n. 11961) deve essere avanzata, sul piano logico, prima che l’esecuzione possa essere intrapresa dall’avente diritto al rilascio, ovvero non oltre il giorno fissato per l’esecuzione, poichè altrimenti, decorsa la data fissata dal giudice per il rilascio, il locatore deve considerarsi libero di iniziare la procedura esecutiva e la richiesta stessa non si proporrebbe più come fissazione di una nuova data, ma come sospensione dell’esecuzione, appunto già intrapresa (Cass. 2 ottobre 2008, n. 24526).
8. Ed è questa la sola interpretazione della normativa sulla speciale impugnazione in esame che risulta funzionale all’effettività alla tutela delle parti circa la correttezza e la congruità dell’esercizio del potere del giudice della cognizione di determinare il giorno dell’esecuzione: e tanto soprattutto una volta ammesso che, con l’ulteriore riferimento a "qualsiasi motivo" come legittimante l’opposizione, bene potrebbe sostenersi la rilevanza di fatti sopravvenuti e non prevedibili al momento della fissazione originaria del termine (beninteso, in relazione alle situazioni di ognuna delle parti).
La diversa ricostruzione dei giudici del merito è certo corretta nel punto in cui sottolinea che il provvedimento che fissa il termine è indipendente, quanto a regime di impugnazione, rispetto al provvedimento complessivo di condanna al rilascio cui accede; ma tale indipendenza è poi non congruamente ridotta e limitata, introducendo il tribunale un termine, per di più perentorio, non previsto espressamente dalla legge ed ancorato all’emanazione od alla conoscenza del provvedimento. In tal modo la già radicale innovazione rispetto al regime previgente – il quale, con la sostanzialmente libera ed illimitata revocabilità o modificabilità in sede esecutiva da parte del giudice dell’esecuzione, sia pur probabilmente eccedendo nel senso opposto, consentiva una sostanziale incertezza sull’eseguibilità nell’intervallo, sovente non breve, tra emanazione del provvedimento e scadenza del termine fissato – viene interpretata in senso immotivatamente restrittivo, siccome non sostenuto dal tenore letterale della norma e dalla sua interpretazione nel contesto indicato.
Al contempo, una volta spirato il termine fissato senza che il debitore conduttore si sia avvalso della facoltà di opporvisi, è giocoforza che l’esecuzione inizi finalmente ai sensi dell’art. 605 c.p.c., e segg.; pertanto, può concludersi nel senso che la speciale opposizione avverso il provvedimento di fissazione del giorno dell’esecuzione della condanna del conduttore al rilascio, previsto dalla L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 56, comma 3 (come sostituito dal D.L. 13 settembre 2004, n. 240, art. 1 bis convertito con modificazioni in L. 12 novembre 2004, n. 269) non è soggetta al termine di proponibilità dell’opposizione agli atti esecutivi e può essere proposta, in qualsiasi momento e per qualsiasi motivo, fino a quando il termine stesso non sia spirato.
9. Se tanto è vero, nel caso di specie l’opposizione è stata proposta il giorno dopo il secondo accesso dell’ufficiale giudiziario (rispettivamente, il 7.6.06 ed il 6.6.06), vale a dire dopo che l’esecuzione era iniziata e, di conseguenza, ben oltre il termine a suo tempo fissato per l’inizio di questa: e questa è la ragione per la quale l’opposizione stessa, così corretta la motivazione della gravata sentenza, andava dichiarata inammissibile. Ne deriva il rigetto del ricorso, sia pure con la vista correzione della motivazione: e tanto integra, ad avviso del collegio ed in uno alla considerazione dell’assoluta novità della questione, un giusto motivo di integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; compensa le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della terza sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 19 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2012
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