Cass. civ. Sez. III, Sent., 24-07-2012, n. 12884 Avviamento commerciale

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Svolgimento del processo
In data 11 gennaio 2005 il Tribunale di Lucca – sezione distaccata di Viareggio rigettava la domanda proposta da B.G., titolare della Ditta C. U.di B.G. nei confronti del Condominio (OMISSIS), volta ad ottenere la indennità per la perdita dell’avviamento a seguito di disdetta, inviata dal condominio-locatore, del contratto di locazione stipulato il 15 gennaio 1991 e, quindi, la condanna del convenuto condominio al pagamento di Euro 48.838,500, comunque, della somma ritenuta di giustizia.
Su gravame del B. la Corte di appello di Firenze il 28 febbraio 2007 confermava la sentenza di prime cure.
Avverso siffatta decisione propone ricorso per cassazione il B., affidandosi a due motivi.
Resistono con controricorso il Condominio (OMISSIS).
Su istanza di trattazione ex art.26 legge 12 novembre 2011 n.183 il ricorso è stata fissato per l’odierna pubblica udienza.
Entrambe le parti hanno depositato rispettive memorie.
Motivi della decisione
1. – Osserva il Collegio che i due motivi del ricorso possono essere esaminati congiuntamente, in quanto pongono una sola e centrale questione, ossia se l’attività esercitata dal B. nell’immobile a lui locato sia da considerare una attività commerciale svolta nel contatto con il pubblico degli utenti e dei consumatori.
Infatti, con il primo motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione della L. 27 luglio 1978, n. 392, artt. 34 e 35 e con il secondo, come si avrà occasione di ritrascrivere nella sua formulazione in seguito, della omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione in ordine "alla qualificazione giuridica da dare alla attività del B. denominata Centro uffici".
Al riguardo, ed in linea di principio, va posto in rilievo che ai fini dell’indennità per la perdita di avviamento commerciale rileva che l’immobile locato sia effettivamente destinato ad attività che comportino il contatto con il pubblico e che, quindi, sia aperto alla frequentazione diretta ed indifferenziata dei clienti, che abbiano necessità ed interesse ad entrare in contatto con l’impresa.
A tal fine grava sul conduttore l’onere di fornire con qualsiasi mezzo la prova della relativa situazione di fatto, sempre che siffatta frequentazione non risulti implicitamente in virtù del notorio, dalla destinazione dell’immobile ad attività che necessariamente la implichi (v. Cass. n. 12278/10).
2. – Nella specie, il giudice dell’appello, condividendo la decisione del Tribunale, ha potuto verificare, in base all’attività istruttoria espletata in primo grado, che "a seguito della cessione di ramo di azienda" il B. era subentrato nel contratto di locazione della 1991 stipulato tra il Condominio e la s.a.s. IN-FIN, avente ad oggetto l’immobile sito in (OMISSIS) e destinato ad ufficio commerciale e/o professionale, con facoltà di sublocazione parziale.
E’ emerso, inoltre, che il B. concedeva dietro corrispettivo a professionisti, imprese o agenti di commercio, per uso ufficio, singoli locali dell’immobile (circa 15), fornendo altresì accessori e servizi comuni, quali quelli di segreteria, di uso della sala riunioni, del fax etc. (p. 3 sentenza impugnata).
Dal che il giudice dell’appello ha desunto che si trattava di distinti contratti di sublocazione parziale con uso di servizi nei quali la sublocazione assumeva funzione prevalente rispetto alle prestazioni accessorie.
Questa deduzione è immune dai vizi denunciati, atteso che il giudice dell’appello ha ritenuto prevalente la inesistenza di un contatto con il pubblico indifferenziato degli utenti e dei consumatori (v. Cass. n. 11896/98; Cass. n. 4443/96), con una valutazione strettamente aderente alle risultanze probatorie, mentre il ricorrente a questa ricostruzione, fattuale da un lato e giuridica dall’altro, oppone soltanto una sua diversa prospettazione.
Al rigetto del primo motivo consegue l’assorbimento del secondo (omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio e ragioni per le quali la motivazione è comunque insufficiente e inidonea a giustificare la decisione – p. 10 ricorso -), il cui momento di sintesi sembra mancare e che è una ripetizione della prima dirimente censura.
Conclusivamente, il ricorso va respinto e le spese, che seguono la soccombenza, vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2012

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