Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 31-01-2013) 06-06-2013, n. 24806

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. – Con sentenza del 3 novembre 2011, la Corte d’appello di Bologna ha, per quanto qui rileva, confermato la sentenza del GUP del Tribunale di Modena dell’11 febbraio 2008, resa a seguito di giudizio abbreviato, con la quale gli imputati K.A. e K. M. erano stati condannati, per il reato di cui all’art. 110 cod. pen. e del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1-bis, perchè detenevano, a fini di spaccio e in concorso tra loro, presso la loro abitazione, sostanza stupefacente del tipo cocaina con principio attivo pari a 182 dosi medie singole, di cui, al momento della perquisizione da parte dei carabinieri, K.A. cercava di disfarsi gettandolo dalla finestra, con la collaborazione di K.M., la quale bloccava la soglia tentando di ritardare l’accesso dei militari nell’abitazione.

2. – Avverso la sentenza l’imputata K.M. ha proposto personalmente ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.

2.1. – Con primo motivo di impugnazione, si rilevano la violazione della norma incriminatrice e la carenza di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del concorso nella detenzione di sostanze stupefacenti, perchè la Corte d’appello avrebbe ritenuto che la condotta, consistita nell’aver ritardato per pochi istanti l’ingresso nell’abitazione dei carabinieri incaricati della perquisizione e nell’aver contestualmente urlato frasi in lingua albanese, configurasse un contributo partecipativo alla custodia e al controllo dello stupefacente. Secondo la prospettazione della ricorrente, non vi sarebbe prova che la stessa abbia rivolto frasi in lingua albanese al coimputato, incitandolo a disfarsi dello stupefacente, nè vi sarebbe prova che l’azione di quest’ultimo, diretta a lanciare la droga della finestra, sia stata conseguenza delle parole proferite dalla donna. Parrebbe, invece, più verosimile – sempre secondo la prospettazione difensiva – che la donna, svegliata nel cuore della notte, avesse interpretato i fatti come il tentativo di estranei di entrare forzosamente nell’appartamento.

2.2. – Con il secondo motivo di doglianza, si lamenta che la condotta dell’imputata avrebbe dovuto essere ascritta alla fattispecie del favoreggiamento ex art. 378 cod. pen., che, essendo commesso in favore di un prossimo congiunto, non avrebbe potuto essere punito, ai sensi dell’art. 384 cod. pen.. Secondo la ricorrente, la Corte territoriale avrebbe dovuto valutare se vi fosse l’intenzione di partecipare positivamente all’azione già posta in essere dal coimputato oppure semplicemente quella di aiutarlo ad eludere le investigazioni dell’autorità. A sostegno dell’ipotesi di favoreggiamento vi sarebbero, in particolare, i seguenti elementi: a) non è provata la circostanza che la detenzione domestica dello stupefacente fosse risalente nel tempo; b) non appare decisivo il rilievo operato dal giudice di primo grado, secondo cui, in base le dichiarazioni di altro coimputato, i rapporti illeciti perduravano da circa due mesi; c) ha maggiore credibilità l’assunto difensivo secondo cui, proprio approfittando dell’assenza di K.A. dall’abitazione, il coimputato Ka.As. – estraneo al presente grado di giudizio – avesse intrapreso "una più sfrontata detenzione dello stupefacente all’interno dell’abitazione medesima".

2.3. – Si lamenta, in terzo luogo, la carenza di motivazione in ordine alla mancata concessione della circostanza attenuante di cui all’art. 114 cod. pen..

3. – La sentenza è stata impugnata personalmente anche dall’imputato K.A., il quale rileva l’erronea applicazione della norma incriminatrice, perchè la condotta a lui ascritta avrebbe potuto al più essere qualificata come favoreggiamento ai sensi dell’art. 378 cod. pen., commesso in favore del prossimo congiunto Ka.

A. e, dunque, non punibile ai sensi dell’art. 384 cod. pen.. A sostegno dell’ipotesi di favoreggiamento si rileva che: a) A. ben si era allontanato dal territorio nazionale per 15 giorni ed era rientrato dall’Albania poche ore prima dello svolgimento dei fatti, essendo verosimilmente venuto a conoscenza della presenza nell’abitazione la sostanza stupefacente soltanto la sera del suo rientro; b) non è provata la circostanza secondo cui la detenzione dello stupefacente da parte del fratello As. fosse risalente nel tempo e comunque anteriore alla trasferta albanese dell’imputato;

c) le dichiarazioni rese dall’altro coimputato secondo cui i rapporti illeciti perdurarono per circa due mesi non sarebbero decisive; d) l’assunto secondo cui As. aveva intrapreso la detenzione del stupefacente all’interno dell’abitazione proprio approfittando dell’assenza di alberi merita maggiore credibilità; e) K. A. è soggetto incensurato privo di precedenti di polizia; e) il coimputato collaborante – anch’egli estraneo al presente grado di giudizio – non ha riferito di avere acquistato sostanza stupefacente da A., riferendosi sempre solo ad As..

Motivi della decisione

4. – I motivi di impugnazione – che, con l’eccezione di quello sub 2.3., possono essere trattati congiuntamente perchè attengono alla riconducibilità delle condotte tenute dagli imputati odierni ricorrenti alla fattispecie astratta della detenzione di stupefacenti anzichè a quella del favoreggiamento personale – sono infondati e devono essere rigettati.

4.1. – Quanto alla differenziazione fra la detenzione di stupefacenti e il favoreggiamento personale, la giurisprudenza di questa Corte ha ampiamente chiarito che il reato di favoreggiamento non è configurabile, con riferimento alla illecita detenzione di sostanze stupefacenti, in costanza di detta detenzione, perchè, nei reati permanenti, qualunque agevolazione del colpevole, posta in essere prima che la condotta di questi sia cessata, si risolve – salvo che non sia diversamente previsto – in un concorso nel reato, quanto meno a carattere morale (sez. un., 24 maggio 2012, n. 36258, Rv. 253151).

Del resto, anche solo un contributo all’occultamento, alla custodia o al controllo dello stupefacente stesso costituisce un apporto concorsuale al delitto, in quanto finalizzato ad evitare che la droga venga rinvenuta e, dunque, a protrarne l’illegittima detenzione (sez. 4, 12 ottobre 2000, n. 12777; 16 giugno 2004, n. 40167; 22 gennaio 2010, n. 4948; sez. 6, 18 febbraio 2010, n. 14606, Rv. 247127).

Ciò è quanto avvenuto nel caso di specie da parte dell’imputata K.M., la quale, essendo consapevole della presenza dello stupefacente nella sua abitazione, ha partecipato materialmente alla custodia dello stesso, sia non essendosi opposta alla sua permanenza in loco, sia ostacolando l’irruzione della polizia giudiziaria.

Proprio con riferimento a tale ultimo profilo, la Corte d’appello – con motivazione pienamente sufficiente e coerente – ha evidenziato che la spiegazione del fatto secondo cui la donna si era spaventata credendo che vi fossero sconosciuti che tentavano di entrare forzosamente nell’appartamento risulta poco credibile, anche perchè il coimputato K.A., invece che reagire alle grida della donna cercando di proteggerla, l’aveva ignorata spostandosi rapidamente lungo il corridoio in direzione opposta a quella da cui ella lo chiamava, per disfarsi dello stupefacente.

Del pari correttamente la Corte d’appello – ponendosi anche su tale profilo in continuità con la motivazione della sentenza di primo grado – ha rilevato che neanche la condotta di K.A. può essere sussunta nella fattispecie astratta del favoreggiamento, perchè questo aveva fornito un chiaro contributo causale alla realizzazione del reato, prendendo in mano lo stupefacente e tentando di disfarsene all’arrivo dei carabinieri; comportamento questo che certamente configura un’illecita detenzione.

Tale essendo la ricostruzione dei fatti, risultano non credibili – come bene evidenziato dai giudici di prime secondo grado – le interpretazioni alternative del quadro probatorio che gli imputati hanno tentato di fornire allo scopo di sminuire il proprio apporto causale nella codetenzione dello stupefacente con il coimputato Ka.As..

4.2. – Anche con riferimento a quest’ultimo punto – oggetto del motivo di ricorso sub 2.3. – la sentenza impugnata risulta adeguatamente motivata, perchè evidenzia che il mettere a disposizione l’abitazione comune è di per sè una condotta idonea a facilitare la commissione del reato, perchè consente ai coimputati di evitare di cercare nascondigli più rischiosi o scomodi. Si tratta, dunque, secondo la Corte d’appello di un contributo rilevante nell’esecuzione del reato, tanto da non poter essere ritenuto di minima importanza ai sensi dell’art. 114 cod. pen., specialmente se considerato alla luce della condotta tenuta al momento dell’arrivo delle forze dell’ordine.

5. – Ne consegue il rigetto dei ricorsi, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2013

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