Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
1. – La Corte d’appello di Venezia, con decreto reso pubblico mediante deposito in cancelleria il 4 agosto 2005, ha rigettato l’opposizione proposta dalla Banca popolare di xxx soc. coop. a r.l. nonchè da C.G.M., P.S., G.G., F.R., E.G., F. A.C., R.G., Ri.Ga., B. A., Be.Gi., Gu.Gi. e Co.Pi., avverso il decreto n. 102890/04, in data 6 ottobre 2004, con cui il Ministero dell’economia e delle finanze aveva loro irrogato sanzioni per complessivi Euro 49.100, ai sensi del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 190 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi della L. 6 febbraio 1996, n. 52, artt. 8 e 21), in relazione all’art. 21, comma 1, lett. d), del citato d.lgs. e dell’art. 56, commi 1 e 2, del regolamento CONSOB n. 11522 del 1998, per inadeguatezze nella procedura di prestazione dei servizi di investimento e nell’attività di controllo interno, con riguardo all’acquisto, promosso e procacciato dalla Banca popolare, di obbligazioni di un operatore statunitense in seguito fallito.
2. – Per la cassazione del decreto della Corte d’appello la Banca popolare di xxx e gli altri i-stanti indicati in epigrafe hanno proposto ricorso, con atto notificato il 27 gennaio 2006, sulla base di tre motivi.
Il Ministero e la CONSOB hanno resistito con controricorso.
I ricorrenti hanno depositato una memoria illustrativa in prossimità dell’udienza.
Motivi della decisione
1. – Il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione in forma semplificata.
2. – Con il primo motivo si prospetta violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 23, comma 12. Ad avviso dei ricorrenti, sarebbe mancata la verifica della reale presenza di prove sufficienti a dimostrare la responsabilità degli opponenti, essendovi l’obbligo, in mancanza, di accogliere l’opposizione.
1.1. – Il motivo non coglie nel segno.
E’ esatto che, in tema di sanzioni amministrative per violazione delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, l’opposizione prevista dal D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 195, da luogo, non diversamente da quella di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 22 e 23, ad un ordinario giudizio di cognizione, nel quale l’onere di provare i fatti costitutivi della pretesa sanzionatoria è posto a carico dell’Amministrazione, la quale è pertanto tenuta a fornire la prova della condotta illecita.
Sennonchè la Corte d’appello ha escluso il mancato raggiungimento nella specie di prove certe della responsabilità degli opponenti.
Infatti, la negligenza degli opponenti all’obbligo di assumere adeguate informazioni finanziarie ai fini della valutazione di compatibilità dell’investimento richiesto, con il conseguente obbligo di astenersi dal dare corso ad operazioni scoordinate con la tipologia del cliente senza l’ausilio di specifica richiesta dove fossero state annotate le contrarie avvertenze scritte, è stata ravvisata non già esclusivamente per l’inadeguatezza del sistema informatico adottato dalla banca, ma, più specificamente, per la più articolata inidoneità dell’assetto complessivo di procedure e strumenti predisposti ed utilizzati dalla banca, in particolare perchè la valutazione di adeguatezza faceva leva soltanto sulle informazioni fornite dal modulo informatico, senza alcun ausilio di sistemi o procedure alternativi nel caso di inefficacia delle risposte fornite dal modulo, in tutte le ipotesi di mancata collaborazione del cliente.
L’assenza di sistemi e procedure alternativi – ha precisato la Corte territoriale – non poteva essere colmata con il ricorso al sistema della raccolta della doppia firma. E ciò perchè con il sistematico ricorso a tale metodo la banca violava l’obbligo di verificare, attraverso i propri uffici, le caratteristiche dell’investimento, scaricandone, invece, la responsabilità sul cliente; e perchè comunque sugli ordini cosi acquisiti (con doppia firma) mancava l’essenziale menzione dell’avvenuta comunicazione dell’avvertenza della banca circa la rischiosità dell’investimento.
Infine, la Corte territoriale ha sottolineato – a conferma del raggiungimento della piena prova della responsabilità degli opponenti – che la violazione ascritta agli organi di controllo risiede nel non avere vigilato sul rispetto delle disposizioni diramate (culpa in vigilando), come confermato dalla concreta consistenza del fenomeno accertato; e che, nel loro operare, i dipendenti perseguirono l’interesse della banca, ciò che fornisce una chiave di lettura sfavorevole agli opponenti in ordine alle ragioni del mancato esercizio di un adeguato controllo da parte degli stessi.
E’ evidente, pertanto, che nonostante il formale richiamo alla violazione e falsa applicazione di norme di legge (assolutamente insussistente, perchè la Corte di Venezia ha ritenuto raggiunta la piena responsabilità degli opponenti sulla base delle prove fornite dall’Amministrazione), i ricorrenti finiscono con il mettere in discussione, in realtà, il convincimento espresso dalla Corte d’appello con logico e motivato apprezzamento delle risultanze di cause, sicchè la censura si risolve nella prospettazione di una diversa valutazione del merito della causa e nella pretesa di contrastare apprezzamenti di fatti e di risultanze probatorie che sono inalienabile prerogativa del giudice del merito.
2. Il secondo motivo denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5, vizio di motivazione, tanto in relazione alla preliminare mancata valuta-zione, singola e complessiva, degli innumerevoli riscontri probatori documentali forniti dagli opponenti, quanto per la presenza di un contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tali da non permettere l’identificazione del procedimento logico-giuridico a base della impugnata decisione e comunque da configurare una motivazione meramente apparente. Con esso si censura il decreto della Corte territoriale là dove ha ritenuto sussistenti le sanzionate carenze procedurali della banca nella prestazione dei servizi di investimento.
Il terzo mezzo denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5, vizio di motivazione, sia per il mancato esame e valutazione degli elementi probatori documentali forniti dagli opponenti, sia per la mancanza e contraddittorietà della motivazione su un punto decisivo della causa, nella parte in cui è stata confermata la sussistenza delle carenze procedurali relative all’attività di vigilanza e di controllo interno.
2.1. – Entrambe le censure sono inammissibili.
Nella disciplina (ratione temporis applicabile, essendo il decreto impugnato stato pubblicato il 4 agosto 2005) anteriore alla riforma dell’art. 360 cod. proc. civ., introdotta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, il decreto della Corte di appello che decide sulle opposizioni alle sanzioni irrogate per violazione della legge in materia di intermediazione finanziaria è impugnabile, atteso il suo contenuto decisorio, in mancanza di una espressa previsione di impugnabilità per cassazione, esclusivamente con il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., mezzo con il quale possono essere fatte valere violazioni di norme di diritto sostanziale o processuale, quindi anche la totale carenza o la mera apparenza della motivazione, restando invece esclusa l’ammissibilità di ogni sindacato in ordine alla congruità ed alla adeguatezza della motivazione (Cass., Sez. 1, 8 aprile 2004, n. 6934; Cass., Sez. 2, 16 maggio 2011, n. 10748).
Tanto precisato, si osserva che la Corte di appello ha ampiamente motivato la propria statuizione di rigetto attraverso argomentazioni idonee a rilevare il procedimento logico seguito.
Ne deriva che i rilievi critici svolti dal ricorso, che investono non già l’esistenza, bensì la sufficienza e congruità della motivazione data dal giudice territoriale, non possono che considerarsi inammissibili, non essendo consentito in questa sede alcun sindacato in proposito.
3. – Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna, i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese processuali sostenute dai controricorrenti, che liquida in complessivi Euro 2.500 per onorari, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 6 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 22 agosto 2012
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.