Cass. civ. Sez. II, Sent., 30-08-2012, n. 14728

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con atto di citazione regolarmente notificato CA.Gi.

conveniva in giudizio avanti al tribunale di Termini Imerese i coniugi B.P. e C.R. chiedendo di essere dichiarato esclusivo proprietario di un fabbricato rurale ("pagliera") di cui alla particella 501, f.7 del NCT del comune di (OMISSIS), previa declaratoria di nullità o " di annullamento del decreto di occupazione e dell’atto di compravendita 10.12.1985 notaio Tripoli". Chiedeva di conseguenza la condanna dei convenuti al rilascio in suo favore della "pagliera" in esame nello stesso stato in cui era stata concessa in affitto. L’attore esponeva di essere l’unico proprietario dell’immobile in questione e del terreno su cui esso sorgeva, che aveva ereditato dalla madre M. M.L. e che il proprio padre Ca.La.Fr.

nel 1950 aveva concesso in affitto, insieme con altri fondi rustici, a certo C.A., coltivatore diretto e che infine tale contratto si sarebbe rinnovato fino ai nostri giorni, succedendosi nel rapporto il figlio dell’originario affittuario, I. C. e quindi la figlia di questi, C.R..

Precisava il Ca. che, per un errore catastale verificatosi in occasione della successione della madre M.M.L., la menzionata particella 501 del foglio 7 era stata inserita nella particella 2196 intestata a certo CA.Ga. (residente all’estero), nei confronti del quale il ricordato I. C. aveva esercitato azione di usucapione riconosciuta dal Pretore con decreto dell’11.12.1976; la predetta particella 501 infine, con atto pubblico del 12.12.1985 veniva da questi trasferita ai convenuti C.R. e B.P..

Con sentenza n. 367 in data 19.5.1997 l’adito tribunale di Termini imerese accoglieva la domanda del Ca. e condannava ai convenuti a rilasciare in suo favore la costruzione rivendicata (la"pagliera"). Secondo il tribunale il Ca. aveva provato la proprietà del cespite attraverso una serie ininterrotta di validi trasferimenti, serie che si era protratta per il tempo necessario per l’usucapione, mentre i convenuti avevano avuto solo la detenzione del bene in questione in forza di contratto di affittanza stipulato dal proprio dante causa con il dante causa dei convenuti per cui non potevano usucapire il cespite; che infine il ricordato decreto in data 14.4.78 del pretore di Cefalù che aveva riconosciuto la proprietà per usucapione del bene era peraltro inefficace nei confronti dell’attore, in quanto il relativo ricorso era stato notificato non a lui, bensì all’apparente proprietario della particella (in forza dell’errore d’intestazione catastale) Ga.

C..

Avverso la stessa decisione proponeva appello i coniugi B. – C. e chiedevano statuirsi la validità ed efficacia dell’atto di compravendita del 12.12.1985 con cui C.I. aveva loro trasferito il fondo in questione, da lui usucapito ed anche da essi medesimi in forza dell’art. 1159 c.c., commi 1 e 2.

Ammessa ed espletata la prova testimoniale, l’adita Corte d’Appello Palermo con sentenza n. 212/2006 depositata il 23.2.06 rigettava l’appello confermando in toto la sentenza impugnata, condannando gli appellanti alle spese del grado. Ribadiva che il fabbricato oggetto di rivendica faceva parte del contratto di affitto del fondo su cui sorgeva, per cui non poteva essere usucapito dall’affittuario in quanto mero detentore, nè era invocabile l’usucapione ex art. 1159 bis c.c. che era stata ottenuta nei confronti del proprietario apparente, non vertendosi tra l’altro, in tema di comune montano.

Per la cassazione la suddetta decisione ricorrono i coniugi B. – C. sulla base di cinque mezzi; resiste il Ca. con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo del ricorso si denuncia un vizio di motivazione della sentenza.

Secondo i ricorrenti la corte avrebbe errato nel ritenere che il contratto di affittanza agraria era iniziato nell’anno 1950 e non a partire dagli anni 30 ed assumono che sin dal 1930 avevano posseduto l’immobile in assenza di affittanza ad esso relativa, come risulterebbe dalla documentazione prodotta, il cui esame sarebbe stato omesso dal giudice distrettuale.

La doglianza non ha pregio. Essa infatti introduce una valutazione di merito inammissibile, stante l’adeguata motivazione della la sentenza; la corte distrettuale, invero, non ha negato che il rapporto di affittanza fosse iniziato nel 1930, ma ha opportunamente sottolineato il fatto che lo stesso rapporto era stato in parte modificato nel 1950, con il richiamato contratto con cui erano stati concessi in godimento al C. anche altri corpi di fabbrica esistenti sui fondi, da parte del proprietario.

Con il 2 motivo i ricorrenti denunziano la violazione o falsa applicazione degli artt. 2697 e 2702 c.c. e artt. 113, 115 e 116 c.p.c. nonchè il vizio di motivazione. Contestano che il Ca.

abbia fornito la prova di quanto sostenuto e si dolgono in specie che la corte siciliana non abbia valutato e attribuito efficacia probatoria determinante alla scrittura privata 11.7.1944, mai contestata, con la quale Ca.Fr. precisava al C. che dal contratto d’affitto restavano esclusi i fabbricati in piedi o diroccati. La doglianza non è fondata traducendosi, come la precedente, in una quaestio facti incensurabile in sede di legittimità stante la congrua motivazione della sentenza. Il richiamo del menzionato documento del 1944 appare del tutto irrilevante, atteso che la corte siciliana ha affermato che stipulando il contratto del 1950 per il godimento dei corpi di fabbrica esistenti, l’affittuario aveva comunque riconosciuto tale sua qualità di conduttore, ossia di mero detentore del bene de quo ("dato il carattere onnicomprensivo della scrittura in questione relativamente ai fabbricati"), anche se egli ne aveva in precedenza usufruito senza titolo.

Con il 3 motivo i ricorrenti denunziano la violazione della L. 14 novembre 1962, n. 1610 e successive proroghe (L. n. 952 del 1967 e L. n. 754 del 1973); dell’art. 1159 bis c.c. nonchè vizio di motivazione.

Si sostiene che non poteva essere ritenuto inefficace il decreto di occupazione emesso dal Pretore in quanto l’attore non era stato citato nel procedimento a causa di un’erronea inclusione del bene nella partita catastale di un altro soggetto ( Ga.

C.), atteso che l’attore non aveva dimostrato di essere proprietario del bene. Si nega che invece vi fosse stato errore nell’accatastamento della particella: in realtà i Ca. non avevano mai posseduta la stessa particella, invece posseduta uti dominus dal C..

La doglianza è infondata.

In effetti la sentenza in punto di prova della proprietà da parte degli attori potrebbe sembrare elusiva, essendosi limitata nell’esposizione del fatto ad esporre le vicende successone del bene.

Appare però rilevante il richiamo in essa contenuto, alla sentenza del Pretore di Cefalù del 1990, secondo la quale la particella 501 era stata oggetto del contratto d’affitto Ca. – C.;

che il C. nel 1950 aveva riconosciuto la sua qualità di detentore (senza contestare la proprietà dell’affittante), che la sentenza della sezione agraria de 1996 aveva dichiarato cessato il contratto d’affitto tra Ca.Gi. e la C. e condannando quest’ultima al rilascio dell’intero fondo in favore dell’altra parte e che i fabbricati, ove realmente esclusi dal contratto di affitto ed abusivamente detenuti, dovevano essere restituiti in quanto accedenti al fondo e detenuti senza titolo.

Con il 4 motivo: i ricorrenti denunziano la violazione art. 1159 bis c.c., comma 2 e vizio di motivazione. A loro avviso la corte ha errato nel non accogliere l’eccezione di l’usucapione quinquennale, essendo stato il bene strasmesso ai convenuti in base ad un titolo valido, ed essendo collocato in comune montano e comunque essendo il Comune de quo equiparato a quelli montani essendo il reddito dominicale del fondo pari a zero.

La doglianza è infondata.

La sentenza ha escluso la ricomprensione del Comune di (OMISSIS) nel novero dei comuni montani ed appare nuova la questione dell’assenza del reddito in capo alla stessa particella in ogni caso occorre sottolineare che l’affermazione che essi ricorrenti e il loro dante causa fossero affittuari del fondo escludeva che essi potessero usucapire nei confronti del concedente.

Con il 5 motivo infine gli esponenti denunciano la violazione dell’art. 91 c.p.c. sostenendo che essendo erronea la sentenza essi non potevano essere condannati al pagamento delle spese processuali.

La doglianza è priva di fondamento attesi i motivi di cui sopra, e appare corretta la condanna degli esponenti in forza del principio di soccombenza.

Conclusivamente il ricorso dev’essere rigettato. Per il ricordato principio della soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c., le spese processuali sono poste a carico dei ricorrente.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali che liquida in compassivi Euro 1.700,00, di cui Euro 1500,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 11 luglio 2012.

Depositato in Cancelleria il 30 agosto 2012
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