Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con sentenza 7.10.2009 n. 517 la Commissione tributaria della regione Lazio rigettando l’appello proposto dall’Ufficio di Tivoli della Agenzia delle Entrate ed in parziale accoglimento dell’appello incidentale proposto dal contribuente L.I., dichiarava la nullità della cartella di pagamento notificata in data 28.6.2006, avente ad oggetto l’importo complessivo di Euro 275.358,27 dovuto a titolo IRPEF, IVA ed IRAP per omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali relative agli anni di imposta dal 1997 al 2000, importo iscritto a ruolo ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 a seguito di emissione di quattro avvisi di accertamento.
I Giudici territoriali ritenevano affetta la cartella da vizi di nullità derivata per invalida notifica degli atti impositivi presupposti – in quanto eseguita ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. c), in difetto dei presupposti di legge, e comunque in violazione dell’art. 140 c.p.c., mancando la prova della spedizione della racc. AR di avviso di deposito dell’atto presso la Casa comunale, ed inoltre avendo fornito prova il contribuente di essere anagraficamente residente, alla data della notifica, in altro Comune, sebbene gli atti fossero stati ricevuti nel diverso luogo di notifica da familiare convivente qualificatasi come il coniuge – nonchè per vizi propri essendo stata omessa la indicazione del responsabile del procedimento.
Per la cassazione della sentenza di appello ha proposto ricorso la Agenzia delle Entrate affidando la impugnazione a cinque mezzi.
Resiste con controricorso il contribuente.
Motivi della decisione
p.1. La sentenza della CTR laziale ha ritenuto invalida la notifica degli avvisi di accertamento relativi agli anni di imposta 1997 e 1998 in quanto, se pure alla data 26.9.2005 di spedizione delle raccomandate postali, il contribuente non risultava ancora trasferito in altro Comune, come emergeva dal certificato anagrafico esibito, tuttavia poichè dalle relate di notifica non risultava indicata la irreperibilità del destinatario, nè risultava la prova dell’invio della racc. AR con la quale si comunicava l’avvenuto deposito presso la Casa comunale degli avvisi di accertamento, doveva concludersi per la nullità della notifica in quanto eseguita ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, lett. e) senza che ne ricorressero i presupposti.
Quanto agli avvisi di accertamento relativi agli anni di imposta 1999 e 2000 i Giudici di merito rilevavano che le notifiche erano state eseguite in data 19.11.2005 presso la nuova residenza nel Comune di xxx e colà ricevuti da familiare convivente qualificatosi come moglie, sebbene la variazione anagrafica del trasferimento di residenza risultasse indicata nel predetto certificato anagrafico solo dalla data successiva del 23.1.2006: anche in questo caso la CTR riteneva invalida la notifica in quanto la residenza anagrafica del famiglia risultava al tempo della notifica ancora presso il Comune di Velletri.
Dichiaravano pertanto illegittima la cartella notificata il 27.7.2006 in difetto di regolare notifica degli atti impositivi presupposti.
Inoltre statuivano la illegittimità della cartella di pagamento per vizi propri individuati nella mancata indicazione del nominativo del responsabile del procedimento e della sua sottoscrizione, come prescritto dal D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, art. 36, comma 4 ter conv. in L. 28 febbraio 2008, n. 31 (norma applicabile ai ruoli consegnati dall’1.6.2008, che aveva superato il vaglio di costituzionalità con la sentenza della Corte cost. 27.2.2009 n. 58) ed in precedenza dalla L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 2, lett. a), affermando che se per i le cartelle relative a ruoli anteriori all’1.6.28 era stata espressamente esclusa la "nullità" per omessa indicazione del responsabile, tuttavia la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7 consentiva l’"annullamento" della cartella.
p.2. Esame dei motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo la Agenzia delle Entrate deduce il vizio di omessa motivazione su un fatto decisivo e controverso art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) (in relazione agli avvisi di accertamento n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS)) La ricorrente contesta alla CTR laziale di aver ritenuto invalida la notifica degli avvisi di accertamento concernenti gli anni di imposta 1997 e 1998 eseguita ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e) (disposizione che richiede – secondo la costante interpretazione fornita da questa Corte – la irreperibilità del destinatario in quanto trasferitosi in luogo ignoto, analogamente al disposizione dell’art. 143 c.p.c.) sul presupposto di fatto, oggettivamente errato, che le relate di notifica non recassero alcuna indicazione circa la "irreperibilità" del contribuente, mentre al contrario tale attestazione era riportata in ciascuna delle indicate relate di notifica effettuate presso il domicilio fiscale (Comune di (OMISSIS)) in data 21.9.2005, e riprodotte in fotocopia all’interno del ricorso (pag. 11 e 12).
Il motivo è inammissibile, in quanto viene dedotto attraverso il vizio di legittimità un tipico vizio revocatorio, dovendo darsi seguito al principio di diritto per cui il ricorso per cassazione, proposto sulla base della denuncia dell’erronea percezione della documentazione in atti da parte del giudice di merito, è inammissibile, non corrispondendo un errore di tal genere ad alcuno dei motivi per i quali l’art. 360 c.p.c. consenta tale tipo di impugnazione, in quanto la denuncia di un travisamento di fatto, quando non attiene alla motivazione della sentenza impugnata, ma all’inesatta percezione da parte del giudice di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento, in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo, costituisce motivo di revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, importando un accertamento di merito non consentito al giudice di legittimità (cfr. Corte cass. 1, sez. 29.5.2003 n. 8600; id. 3 sez. 10.3.2006 n. 5251; id. sez. lav. 13.11.2006 n. 24166 id. 1 sez. 3.8.2007 n. 17057;
id. 3 sez. 19.2.2009 n. 4056).
2.3 Con il secondo motivo la Agenzia denuncia il vizio di omessa motivazione su un fatto decisivo e controverso art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) (in relazione agli avvisi di accertamento n. (OMISSIS)).
Entrambi gli avvisi di accertamento relativi agli anni di imposta 1999 e 2000, orginariamente notificati presso il Comune di (OMISSIS) (domicilio fiscale), luogo dal quale il contribuente si era trasferito (come risultava dalla attestazione dell’ufficiale postale riportata sul retro della usta del plico spedito con raccomandata: "trasferito a (OMISSIS)": cfr. pag. 16 e 17 ricorso), venivano nuovamente notificati presso il nuovo domicilio in Comune di (OMISSIS) ed ivi consegnati a familiare convivente in data 19.11.2005.
La ricorrente censura la motivazione della sentenza laddove avrebbe ritenuto invalida anche tale notifica in quanto, al tempo della stessa, come risultava dal certificato anagrafico, il contribuente risiedeva ancora in Velletri e la moglie era con lui convivente, omettendo del tutto di giustificare l’asserita necessità di ricorrere alla forme di notifica dell’art. 140 c.p.c., sebbene le attestazioni di consegna dell’atto a "familiare convivente" dovessero ritenersi coperte da pubblica fede e sebbene le notifiche alla nuova residenza fossero andate a buon fine proprio in quanto, dalle ricerche effettuate dall’Ufficio presso l’Ufficio Postale di Velletri, era emerso che il contribuente si era effettivamente trasferito a Velletri ed aveva richiesto di ricevere tutta la corrispondenza, con decorrenza dal 29.9.2005, presso il nuovo domicilio in Comune di xxx.
2.4 Il motivo è fondato.
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, le risultanze anagrafiche rivestono un valore meramente presuntivo circa il luogo di residenza, e possono essere superate dalla prova contraria, desumibile da qualsiasi fonte di convincimento, e quindi anche mediante presunzioni: il relativo apprezzamento costituisce valutazione demandata al giudice di merito e sottratta a controllo di legittimità, ove adeguatamente motivata (cfr. Corte cass. 2 sez. 16.11.2006 n. 24422; id. sez. lav. 22.12.2009 n. 26985).
Orbene la censura coglie nel segno laddove evidenzia la illogicità della motivazione dei Giudici di appello che, in presenza di una situazione fattuale quale sopra descritta, hanno inteso escludere la presunzione legale di conoscenza ex art. 139 c.p.c. (mediante consegna del plico a persona di famiglia rinvenuta presso il luogo di residenza effettiva del destinatario), ritenendo applicabile la fattispecie disciplinata dall’art. 140 c.p.c. (che tale presunzione legale non prevede).
Ed infatti ferma la premessa in fatto secondo cui il luogo di residenza anagrafica (in Velletri) divergeva dal luogo di residenza effettiva (Albano), la notifica eseguita presso il domicilio fiscale (corrispondente alla residenza anagrafica) poteva avere uno dei seguenti differenti esiti, con conseguenze diverse in ordine alla attività notificatoria: 1-o dalla relata il destinatario risultava trasferito in altro Comune, e allora la notifica andava effettuata nel nuovo luogo di residenza (effettiva), ai sensi dell’art. 139 c.p.c. (norma richiamata espressamente dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1); 2-o dalla relata risultava il trasferimento del contribuente per località ignota, ed allora doveva applicarsi il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e), (norma dettata in materia tributaria ed equipollente alla disciplina della notifica alle persone irreperibili prevista dall’art. 143 c.p.c.); 3-o invece dalla relata il destinatario non risultava sconosciuto o trasferito, ma soltanto temporaneamente assente, ed allora doveva applicarsi l’art. 140 c.p.c. (norma espressamente richiamata dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1).
Tanto premesso gli stessi Giudici di appello hanno rilevato che le notifiche degli avvisi presso la nuova residenza erano state ritualmente ricevute da persona qualificatasi come "familiare (moglie) convivente", e dunque il procedimento notificatorio si era validamente perfezionato ai sensi dell’art. 139 c.p.c., comma 2, gravando sul contribuente la prova contraria della mancanza di corrispondenza alla realtà della qualifica (familiare convivente) dichiarata dal ricevente.
L’affermazione del Giudici territoriali secondo cui le notifiche erano invalide in quanto eseguite in luogo non coincidente con la residenza anagrafica del contribuente, ed in violazione dell’art. 140 c.p.c., da un lato, si pone in palese contrasto con il principio di prevalenza della residenza effettiva sulla residenza anagrafica;
dall’altro presenta evidenti lacune nella rappresentazione dell’iter logico seguito per pervenire a detta affermazione:
a) risultando ingiustificatamente del tutto omessa la valutazione delle risultanze probatorie offerte dall’Ufficio (relate negative di notifica degli avvisi spediti a mezzo posta presso la residenza anagrafica in Velletri) dalle quali emergeva la indicazione del luogo in cui il destinatario dell’atto si era di fatto trasferito;
b) avendo del tutto illogicamente i Giudici di merito ritenuto che il certificato anagrafico di residenza potesse destituire la efficacia probatoria della relata di notifica degli avvisi, attestante la ricezione degli atti da parte di persona dichiaratasi familiare convivente.
2.5 La sentenza della CTR laziale deve, pertanto, essere cassata in parte qua.
3. Con il terzo motivo la Agenzia deduce violazione di norme processuali: D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 18 e 21, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4).
La ricorrente sostiene che con la pronuncia di annullamento della cartella per vizi propri (omessa indicazione del responsabile del procedimento) la CTR è incorsa in extrapetizione (112 c.p.c.) in quanto tale vizio non era stato dedotto con il ricorso introduttivo.
La censura è priva di autosufficienza ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6 e dunque inammissibile, in quanto non viene riprodotto il contenuto del ricorso introduttivo, rimanendo impedito alla Corte di verificare in limine la fondatezza del motivo.
Come infatti costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità "l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censurà" (cfr. Corte cass. 1 sez. 20.9.2006 n. 20405), e quanto alla sussistenza del requisito della "esposizione sommaria dei fatti di causa" di cui all’art. 366 c.p.c., c.p.c., comma 1, n. 3) "necessario, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, che in esso vengano indicati, in maniera specifica e puntuale, tutti gli elementi utili perchè il giudice di legittimità possa avere la completa cognizione dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti del processo, ivi compresa la sentenza impugnata, così da acquisire un quadro degli elementi fondamentali in cui si colloca la decisione censurata e i motivi delle doglianze prospettate" (cfr. Corte cass sez, lav. 12.6.2008 n. 15808).
4. Con il quarto ed il quinto motivo – che possono essere esaminati congiuntamente in quanto entrambi concernenti la medesima statuizione della sentenza – la Agenzia censura la sentenza per violazione di norme di diritto sostanziale – D.L. n. 248 del 2007, art. 36, comma 4 ter conv. L. n. 31 del 2008; D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25 – nonchè per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, L. n. 212 del 2000, art. 7 e L. n. 241 del 1990, art. 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), con riferimento alla pronuncia di annullamento della cartella di pagamento per omessa indicazione nella cartella del responsabile del procedimento.
4.1 I motivi sono fondati.
La omessa indicazione del responsabile del procedimento nella cartella di pagamento è stata sanzionata a pena di nullità dal D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, art. 36, comma 4 ter conv. in L. 28 febbraio 2008, n. 31, norma che ha espressamente limitato l’applicazione della sanzione alle cartelle concernenti ruoli consegnati agli agenti della riscossione in data successiva all’1.6.2008, opportunamente specificando che la omessa indicazione del responsabile "nelle cartelle di pagamento relative a ruoli consegnati prima di tale data non è causa di nullità delle stesse".
La norma quindi non trova applicazione alla fattispecie concreta, essendo stata notificata la cartella in data 28.7.2006 in relazione a ruolo formato e consegnato anteriormente la data dell’1.6.2008.
L’assunto dei Giudici di appello secondo cui, anteriormente alla entrata in vigore della norma sanzionatoria. la omissione in questione avrebbe comunque determinato un vizio di annullabilità dell’atto tributario per violazione dell’art. 7, comma 2, lett. a), dello Stato del contribuente (L. n. 212 del 2000 che prescrive tale indicazione negli atti della Amministrazione e dei concessionari), viene a collidere con il principio di diritto affermato da questa Corte secondo cui l’indicazione del responsabile del procedimento negli atti dell’Amministrazione finanziaria non è richiesta, dal L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7 (cd. Statuto del contribuente), a pena di nullità, in quanto tale sanzione è stata introdotta per le sole cartelle di pagamento dal D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, art. 36, comma 4-ter, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2008, n. 31, applicabile soltanto alle carici le riferite ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal 1 giugno 2008 (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 11722 del 14/05/2010; id.
5 sez. 15.4.2011 n. 8613).
Ed infatti, premesso che nel sistema delle norme tributarie non è dato individuare, con riferimento al vizio di legittimità dell’atto tributario, annullabile dal Giudice tributario in esito al giudizio di tipo impugnazione un differente campo di applicazione della categoria della invalidità in relazione alla maggiore o minore gravità del vizio invalidante, e considerato che i vizi di invalidità degli atti tributar sanzionati a pena di "nullità" corrispondono di norma ai vizi di "annullabilità" degli atti amministrativi (dovendo in proposito evidenziarsi come la rilevanza del vizio di legittimità connesso a violazione delle norme sul procedimento, venga a essere elisa nel caso di atti a contenuto vincolato – cfr. L. n. 241 del 1990, art. 21 octies, comma 2 – quale deve ritenersi il contenuto della cartella di pagamento interamente predeterminato dal modello ministeriale D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 25), occorre rilevare che la espressa previsione di legge secondo cui non sono affette da nullità le cartelle relative a ruoli consegnati anteriormente alla data dell’1.6.2008, rimarrebbe del tutto priva di efficacia ove, la cartella fosse comunque da ritenersi invalida (e suscettibile di annullamento in s.g. tributaria). Tenuto conto, infatti, che la norma, che non dispone con efficacia retroattiva, viene a qualificare viziata da nullità la cartella priva di tale indicazione e viene a sopperire ad una norma "minus quam perfectam", quale la L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 2 lett. a), in quanto carente di sanzione, risulterebbe del tutto superfluo – in quanto privo di portata precettiva – l’enunciato secondo cui la sanzione della nullità non si applica alle cartelle notificate anteriormente alla entrata in vigore della norma (trattandosi di enunciato che si limita a ribadire il principio di efficacia delle legge nel tempo).
Come è stato chiaramente evidenziato dal Giudice delle Leggi, la disposizione del D.L. n. 248 del 2007, art. 36, comma 4 ter non contiene una norma retroattiva; essa dispone per il futuro, comminando la nullità per le cartelle di pagamento prive dell’indicazione del responsabile del procedimento e stabilisce, poi, un termine a partire dal quale opera la nullità e chiarisce che essa non si estende al periodo anteriore. Dunque, la nuova disposizione non contiene neppure una sanatoria di atti già emanati, perchè la loro nullità doveva essere esclusa già in base al diritto anteriore. Ne consegue che, con riferimento all’asserita natura retroattiva della norma, non è violato l’art. 3 Cost., perchè non è manifestamente irragionevole prevedere, a partire da un certo momento, un effetto più grave, rispetto alla disciplina previgente, per la violazione di una norma (cfr Corte cost. sent. 27.2.2009 n. 58).
Nei precedenti di questa Corte emerge in modo inequivoco il carattere innovativo della previsione sanzionatoria contenuta nella legge del 2007, nel senso che, precedentemente alla introduzione del vizio di nullità della cartella, la inosservanza della norma dello Statuto del contribuente (che prevedeva la indicazione nell’atto del responsabile del procedimento), determinava una mera irregolarità e non anche la invalidità dell’atto tributario.
Deve, quindi essere confermato il principio di diritto secondo cui la L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 2, lett. a), il quale dispone che per qualsiasi atto dell’Amministrazione finanziaria e dei concessionari della riscossione – e, quindi, anche per le cartelle esattoriali – si debba "tassativamente" indicare il responsabile del procedimento, non comporta, nel caso di omissione di tale indicazione, la nullità dell’atto, non equivalendo la predetta espressione ad una previsione espressa di nullità, come conferma anche la D.L. n. 248 del 2007, art. 36, comma 4-quater, convertito dalla L. n. 31 del 2008 che, nell’introdurre specificamente la sanzione di nullità per le cartelle non indicanti il nome del responsabile del procedimento, fissa la decorrenza di tale disciplina dal 1 giugno 2008, precisando, con portata interpretativa, che "la mancata indicazione dei responsabili dei procedimenti nelle cartelle di pagamento relative a ruoli consegnati prima di tale data non è causa di nullità delle stesse" (cfr. Cote cass. Sez. 5, Sentenza n. 10805 del 05/05/2010; Sez. 5, Sentenza n. 8613 del 15/04/2011).
4.2 La sentenza della CTR laziale non ha fatto corretta applicazione delle norme indicate in rubricate, come interpretate da questa Corte, e deve pertanto essere cassata in parte qua.
5. In conclusione il ricorso deve essere accolto quanto al secondo, quarto e quinto motivo, dichiarati inammissibili il primo ed il terzo motivo, la sentenza impugnata deve essere cassata e, non occorrendo procedere ad ulteriori accertamento in fatto, la causa può essere decisa nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 2 con il rigetto del ricorso introduttivo e la condanna della parte resiste alla rifusione delle spese del esente giudizio, liquidate in dispositivo, dichiarate interamente compensate tra le parti le spese relative ai gradi di merito.
P.Q.M.
La Corte:
– accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo proposto dal contribuente che condanna alla rifusione delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 9,000,00 per onorari oltre le spese prenotate a debito, dichiarate interamente compensate tra le parti le spese relative ai gradi di merito.
Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2012.
Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2012
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