Parere legale. Maltrattamenti in famiglia, collocati nel clima di tensione famigliare.

a cura del dott. Domenico CIRASOLE
La questione giuridica in esame vede interessata CAIA, che da tempo subiva continue ingiurie, minacce e percosse dal marito.
Detto comportamento doveva ritenersi provato sulla base, delle sia pure parziali ammissioni del marito SEMPRONIO, nonchè da testimonianze di medici, conoscenti e di certificati medici, da cui si ricava una condotta abituale di sopraffazioni, violenze e offese umilianti, lesive della integrità fisica e morale di CAIA, poste in essere da SEMPRONIO.
Nei comportamenti di SEMPRONIO sembra mancare l’elemento dell’abitualità della condotta di sopraffazione, infatti è dato atto della circostanza che CAIA, per ammissione della stessa, si reputa di carattere forte, e non intimorita dalla condotta del marito.
Difatti in questa questione viene scambiando per sopraffazione esercitata da SEMPRONIO, quello che è un clima di tensione fra i coniugi.
I vari episodi di ingiurie, minacce e percosse andavano collocate nel clima di tensione famigliare, e interpretati conformemente a tale circostanza.
Come è ampiamente noto, perchè sussista il reato di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.), occorre che sia accertata una condotta (consistente in aggressioni fisiche e vessazioni o manifestazioni di disprezzo) abitualmente lesiva della integrità fisica e del patrimonio morale della persona offesa, che, a causa di ciò, versa in una condizione di sofferenza (CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. VI PENALE – 2 luglio 2010, n. 25138).
Nella specie è provato "uno stato di tensione" tra i coniugi e uno "stato di sofferenza" di CAIA, ritenuto dalla stessa conseguenza di una condotta abituale di sopraffazione da parte di SEMPRONIO.
Ma dagli elementi raccolti, tali affermazioni, fatte da CAIA, tuttavia, non poggiano su elementi idonei a rappresentare un’abitualità della condotta vessatoria dell’imputato.
Stando al tenore delle affermazioni, i fatti appaiono risolversi in alcuni limitati episodi di ingiurie, minacce e percosse nell’arco di circa tre anni.
Detti fatti, dunque non rendono di per sè integrato il connotato di abiutalità della condotta di sopraffazione richiesta per l’integrazione della fattispecie in esame.
Tanto più che, la condizione psicologica di CAIA è per nulla "intimorita" dal comportamento del marito.
Concludendo a parere di chi scrive la condotta di SEMPRONIO, non può integrare la fattispecie di maltrattamenti ex art. 572 c.p..

Parere legale. L’assenza dall’ufficio di dipendente pubblico (Assenteismo) è truffa.

A cura del dott. Domenico CIRASOLE
La questione giuridica in esame, vede interessato MEVIO, quale dipendente di Pubblica Amministrazione (P.A.), che aveva alterato il registro delle presenze, facendosi figurare presente in ufficio, quando in realtà non lo era.
L’assenza dall’ufficio che comunque furono limitate a poche ore, nei giorni 22, 23 e 30 marzo.
A parere di MEVIO, le assenze, riferite (poche ore nei giorni 22, 23, e 30), furono causate da sprezzi, incomprensioni, discussioni, avvenute con gli altri dipendenti, presenti nell’ufficio, nonchè con il responsabile dello stesso ufficio.
MEVIO in tali giorni, a seguito dei non buoni rapporti con gli altri dipendenti, si allontanava dal proprio ufficio, e di ciò, ne sono testimoni gli altri dipendenti.
Ma, questa testimonianza è inficiata proprio dai non buoni rapporti che MEVIO aveva con gli altri dipendenti dell’ufficio.
Può, a parere di chi scrivere, nella fattispecie in esame, configurarsi il delitto di truffa (art. 640 c.p.) continuata (art. 81, comma 1° c.p.) aggravata (art. 61 n.9 c.p.).
Ciò è confermato dalla costante giurisprudenza che statuisce che la falsa attestazione del pubblico dipendente circa la presenza in ufficio riportata sui cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, è condotta fraudolenta, idonea oggettivamente ad indurre in errore l’amministrazione di appartenenza circa la presenza sul luogo di lavoro, ed è dunque suscettibile di integrare il reato di truffa aggravata, ove il pubblico dipendente si allontani senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica, i periodi di assenza, sempre che siano da considerare, come nel caso concreto, economicamente apprezzabili (Cass. Penale 24-08-2010, n. 32290; Cass. 6.10.06 n. 34210; Cass. 2, 16.3.04 n. 19302).
Mentre a parere di chi scrive non può ascriversi al comportamento di MEVIO il delitto di falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale (art. 476 c.p.), rilevando che i registri delle presenze non hanno la qualità di atti pubblici (art. 2699 c.c.).
Inoltre la circostanza che le assenze dall’ufficio, furono limitate a poche ore, sembra a parere di chi scrive, possa consentirsi l’applicazione "dell’attenuante del valore lieve" (art. 62 n.4 c.p.) e l’aver agito in stato d’ira (art. 62, n 2 c.p.).

Parere legale. E’ risarcibile a titolo di danno esistenziale, lo stato d’ansia, provocato dall’impossibilità di viaggiare in aereo con la propria famiglia, in caso di volo soppresso.

A cura del dott. Domenico CIRASOLE

La questione giuridica in esame vede interessati TIZIA e SEMPRONIO che avevano organizzato un weekend a Parigi per sé e per i loro figli di 1 e 3 anni, unitamente ai nonni materni CAIO e MEVIA.
Prenotavano un volo A/R con VOLARE-GAMMA S.p.A. sulla tratta Milano Malpensa – Parigi Charles de Gaulle.
Pur avendo stipulato il contratto con VOLARE-GAMMA S.p.A., di fatto il vettore fu VOLARE-BETA S.p.A., in virtù di convenzione tra le due Compagnie.
Alla data del previsto rientro, all’aeroporto veniva comunicato che il volo era stato soppresso, senza ulteriori motivazioni.
A seguito di lunghe discussioni il Sig. SEMPRONIO, riusciva ad ottenere l’imbarco su altro volo i figli, di cui uno febbricitante ed i nonni materni CAIO e MEVIA.
Nonostante vi fosse disponibilità di posti, fu negato l’imbarco ai genitori TIZIA e SEMPRONIO.
I Sig. TIZIA e SEMPRONIO, furono costretti a trascorrere la notte in un albergo vicino.
Soltanto il giorno seguente, furono imbarcati su un volo per rientrare in Italia.
Dalla descrizione del fatto,a parere di chi scrive, emerge la responsabilità del vettore della compagnia Aerea nella causazione del disagio subito da TIZIA e SEMPRONIO, principalmente, per non aver concesso a tutta la famigli di viaggiare unitamente, in presenza del comprensibile allarme dei genitori per il figlioletto febbricitante.
Il viaggio che avrebbe dovuto essere un motivo gioioso sia per i nonni che per i genitori e per i nipotini, di trascorrere un weekend tutti insieme, in modo spensierato si è risolto in uno stato di ansia e preoccupazione.
A parere di chi scrive i coniugi hanno subito un danno emergente in ragione del pernottamento e del taxi, ed un danno esistenziale, risarcibile dalla compagnia aerea (vettore).
Concludendo, a parere di chi scrive è risarcibile, a titolo di danno esistenziale, lo stato d’ansia provocato dall’impossibilità di viaggiare con la propria famiglia qualora tale disagio si presenti causalmente collegato ad un inadempimento contrattuale del vettore aereo( ex artt. 2043, 2059 c.c.).

Parere legale. Risarcibilità d’infortunio in itinere, in caso di scelta obbligata.

Parere legale. Risarcibilità d’infortunio in itinere, in caso di scelta obbligata.
A cura del dott. Domenico CIRASOLE
Il caso giuridico in esame vede interessato SEMPRONIO, lavoratore della società ALFA S.p.A., che mentre si recava al lavoro, era stato costretto a percorrere una strada più pericolosa per entrare in azienda, in quanto erano ostruite le altre vie di transito.
A causa di detta scelta, mentre percorreva questa stradina dissestata, subiva un incidente, che causava una invalidità temporanea.
Se SEMPRONIO avesse percorso la strada abituale invece della stradina dissestata e con elevate pendenze non si sarebbe verificato alcun infortunio.
Detto infortunio a parere di chi scrive è da ritenere "in itinere" anche se il lavoratore ha scelto la strada più pericolosa.
La scelta di percorrere, tra due alternative di accesso al posto di lavoro, quella più pericolosa mettendosi in una situazione di grave rischio era imputabile a una scelta assolutamente obbligata e non riconducibile alla volontà del singolo.
Il concetto di rischio elettivo del lavoratore è invece un’azione irragionevole e come tale non preclude il risarcimento per l’infortunio in itinere.
In questa fattispecie si può parlare di imprudenza ma non rischio elettivo.
"Il rischio elettivo, quale limite all’indennizzabilità degli infortuni sul lavoro, si ravvisa in presenza di un comportamento abnorme, volontario e arbitrario del lavoratore, tale da condurlo ad affrontare rischi diversi da quelli inerenti alla normale attività lavorativa" (Cass. civ., Sez. lav., Sentenza 18 Maggio 2009 , n. 11417).
Concludendo, nel caso in esame, l’Inps, a parere di chi scrive, dovrebbe accogliere la richiesta avanzata da SEMPRONIO.