SICUREZZA DELLA NAVIGAZIONE (DELITTI CONTRO LA)

1. Premesse generali.

Tratto comune di tutte le fattispecie contenute nella Parte Terza, libro I, titolo II, capo IV, è la tutela de «l’interesse statale alla sicurezza della navigazione comprensiva anche dell’incolumità dell’equipaggio e dei passeggeri» con una sostanziale corrispondenza voluta dal legislatore con i delitti contro l’incolumità pubblica previsti dal Codice penale(1).

È però di immediata evidenza come questa collocazione all’interno del sistema penale risulti ormai insoddisfacente.

Il Capo riguardante i delitti contro la sicurezza della navigazione da un lato non contempla tutte le fattispecie che tutelano quel bene giuridico per la presenza di norme contravvenzionali (2) e disciplinari (3) distribuite in altra parte del codice(4).

D’altro lato, ciò che ha fatto ritenere come la disciplina dei reati contro la sicurezza della navigazione richieda in termini sempre più pressanti una riconsiderazione in forma organica della materia (5) è che le fattispecie si trovano ad essere distribuite, senza che a ciò presieda un particolare criterio, non solo fra il codice penale ordinario (artt. 423 e 424 rispettivamente «incendio» e «danneggiamento seguito da incendio» in relazione all’art. 425 n. 3); 428 «naufragio, sommersione o disastro aviatorio», 429 «danneggiamento seguito da naufragio»; 432 «attentati alla sicurezza dei trasporti»; 436 «sottrazione occultamento o guasto di apparecchi a pubblica difesa da infortuni»; 449 «delitti colposi di danno»; 450 «delitti colposi di pericolo ») ed il codice della navigazione, ma anche, come si vedrà, in leggi speciali di più o meno recente promulgazione(6).

La sovrapposizione di queste norme è spesso evidente e risulterebbe assai auspicabile una revisione dell’intera materia in un corpus con un minimo di organicità.

Dovendo operare una collocazione sistematica dei delitti contro la sicurezza della navigazione contemplati dal codice della navigazione e dalle leggi speciali, diversi sono i criteri di classificazione che possono essere adottati.

Anzitutto alcune fra le fattispecie penali che vengono in considerazione sono strutturate come reati proprii (7) altre come reati comuni, a seconda del fatto che autore del reato possa essere esclusivamente il comandante o altro membro dell’equipaggio o, comunque, un soggetto qualificato, ovvero «chiunque». La diversa configurazione delle varie fattispecie in relazione al soggetto attivo del reato trova la sua ragion d’essere nel fatto, quanto a quelle costituenti reato proprio, che o la condotta fonte del pericolo per la sicurezza della navigazione può essere posta in essere solamente da chi rivesta quella particolare qualifica oppure che il rivestirla ne accentua significativamente il connotato di pericolosità.

La seconda distinzione che si può operare è fra fattispecie di danno, fattispecie di pericolo concreto e fattispecie di pericolo presunto. La distinzione ha importanza per il rilievo — con riferimento alla lesione del bene giuridico tutelato e, quindi, della configurabilità dell’elemento oggettivo — che eventualmente può assumere la possibilità di provare in concreto che la condotta posta in essere non ha suscitato pericolo di sorta.

La terza, più consueta, è quella fra ipotesi dolose ed ipotesi colpose. L’art. 1124 c. nav. contempla, infatti, una serie di ipotesi colpose esattamente corrispondenti a quelle dolose contemplate dagli artt. da 1112 a 1115 c. nav.

È opportuno ancora notare che alcune fra le previsioni sono di applicazione generalizzata, altre vedono la loro applicabilità circoscritta alle «navi» o ai «galleggianti» nella nozione che si ricava dagli artt. 136 c. nav. e dalla legge 11-2-1971, n. 50(8).

2. Le norme contenute nelle l. 342/76 e 422/89.

Il novero dei delitti contro la sicurezza della navigazione marittima ed aerea non è, come già accennato, esaurito da quelli contemplati nel codice della navigazione.

In particolare a seguito della ratifica da parte dell’Italia della convenzione dell’Aja di data 16-12-1970 sulla repressione della cattura illecita di aeromobili e di Montreal del 23-9-1971 sulla repressione degli atti illeciti a bordo di aeromobili, è stata promulgata la legge 10-5-1976, n. 342 (Repressione dei delitti contro la sicurezza della navigazione aerea). Questa legge prevede alcune fattispecie penali che si aggiungono alle previsioni contenute nel codice della navigazione, altre che possono porsi in apparente conflitto con quelle in esso contemplate.

In particolare, l’art. 1 sanziona con la reclusione da 7 a 21 anni chiunque… con violenza, minaccia o frode commette un fatto diretto… alla distruzione di un aereo. La pena risulta poi aumentata ove il colpevole consegua l’intento e non può essere inferiore ad anni

12 se dal fatto derivano lesioni personali ai passeggeri ovvero ai membri dell’equipaggio. Se dal fatto deriva la morte di una o più persone s’applica la pena della reclusione da 24 a 30 anni.

L’art. 2 sanziona con le pene previste dall’art. 1 chiunque al fine di dirottare o distruggere un aereo danneggia le installazioni a terra relative alla navigazione aerea o ne altera le modalità d’uso. La norma di sovrappone — per una parte almeno — a quella contenuta nel 1° co. dell’art. 1112 nella parte in cui questa sanziona la rimozione dei segnali… prescritti per la navigazione aerea. Il rapporto di specialità fra le due norme è, peraltro, scolpito dal dolo specifico contemplato dalla prima, che, se ravvisabile, ne comporta l’applicazione con assorbimento della seconda, a contenuto più generale.

L’art. 3 amplia l’ambito della punibilità dei fatti previsti negli articoli precedenti anche a) quando l’aeromobile sia immatricolato in Italia (ovunque sia commesso il fatto: quindi anche se commesso nello spazio aereo straniero) o sia stato dato in locazione o noleggio ad enti o persone fisiche italiani o domiciliati in Italia, b) se, in ogni altro caso, atterri in Italia avendo ancora a bordo l’autore del delitto, c) quando l’autore si trovi comunque nel territorio dello Stato ed il Ministro formuli richiesta di punizione. Con legge 28-12-1989, n. 422 è stata ratificata la Convenzione per la repressione dei reati diretti contro la sicurezza della navigazione marittima, con protocollo per la repressione dei reati diretti contro la sicurezza delle installazioni fisse sulla piattaforma continentale firmata a Roma il 10-3-1988.

L’art. 3, 2° co., sanziona con la reclusione da 8 a 24 anni — per la parte che qui interessa — se il fatto è tale da porre in pericolo la sicurezza della navigazione di una nave ovvero la sicurezza di un’installazione fissa… chiunque… a) distrugge o danneggia la nave o il suo carico ovvero l’installazione b) distrugge o danneggia gravemente attrezzature o servizi di navigazione marittima o ne altera gravemente il funzionamento c) comunica intenzionalmente false informazioni attinenti alla navigazione …

Il 3° co. della stessa norma sanziona con la reclusione da 1 a 3 anni chiunque minaccia di commettere uno dei fatti di cui alle lettere a) e b).

Il 4° co. commina la pena dell’ergastolo per chi cagiona la morte di una persona nel commettere alcuno dei fatti di cui al 2° co., mentre ove siano cagionate lesioni personali è previsto un aggravamento di pena rispetto al reato di lesioni di diritto comune. Infine, è prevista una riduzione di pena da un terzo a due terzi ove, per le modalità dell’azione e per la tenuità del danno o del pericolo, il fatto sia da ritenersi di lieve entità ipotesi che risulta difficilmente compatibile proprio con una delle condizioni di punibilità della norma e, vale a dire, il fatto che sia suscitato un pericolo concreto per la sicurezza della navigazione o dell’installazione fissa.

Il 7° co. subordina l’applicabilità della norma alla condizione che il fatto non sia previsto come più grave reato da altra disposizione di legge.

Da ultimo, si deve rammentare che l’art. 4 della convenzione, in deroga alle regole generali in termini di punibilità del reato commesso all’estero, estende la punibilità, rispettivamente, del cittadino e dello straniero, subordinandola al verificarsi di determinate condizioni, che abbia commesso alcuno dei fatti di cui all’art. 3 all’estero.

3. Art. 1112 c. nav. Esecuzione o rimozione arbitraria e omissione di segnali.

Soggetto attivo di questo reato è chiunque.

La condotta penalmente sanzionata è distribuita fra il 1° e il 2° co.

Quanto al primo è costituita dal a) ordinare o b) fare taluna delle segnalazioni prescritte per la navigazione marittima o aerea c) ovvero rimuovere i segnali per la detta navigazione, il tutto arbitrariamente. Sembrerebbe pacifico che la condotta consistente nell’ordinare — del senso di «dare disposizioni al fine di …» — possa essere riferita anche a chi non svolga un particolare ruolo nell’ambito della navigazione e non abbia un potere di supremazia gerarchica riconosciuto normativamente.

Quanto alle segnalazioni prescritte per la navigazione marittima il rinvio deve intendersi effettuato oltre che alle norme contenute nei regolamenti relativi anche in ogni altra disposizione integrativa, financo quelle dettate dall’autorità marittima senza alcuna precisazione in proposito (in particolare non è specificato debba trattarsi di segnalazioni prescritte per la sicurezza della navigazione)(9).

Va segnalato come la norma non preveda l’omessa effettuazione dei segnali, bensì solamente la rimozione degli stessi, lasciando così scoperta una serie di condotte del pari pericolose senza che si comprenda se ciò corrisponda all’effettiva volontà del legislatore.

La condotta deve essere illustrata da un connotato di illiceità speciale costituito dall’arbitrariamente.

Inutile dire come, per la molteplicità delle segnalazioni prescritte dalle più varie norme — anche spesso non di decisiva importanza — l’applicazione della norma risulti particolarmente afflittiva — tenuto conto del non lieve trattamento sanzionatorio — ove di essa ne sia data un’interpretazione rigorosa che la colleghi cioè ad ogni effettuazione di segnalazioni, sic et simpliciter, fuori dei casi previsti.

Il 2° co. prevede altre due possibili espressioni della condotta: a) l’omessa collocazione di segnali predisposti per la sicurezza della navigazione da parte di chi vi sia obbligato b) ovvero l’omissione nel provvedere alle misure imposte a tale scopo. La distinzione fra le due ipotesi, scolpita dal «comunque» che le collega, è data dal fatto che la nozione di «misure», più ampia che non quella di «segnali», conferisce una chiusura alla norma, intendendosi così ricomprendere ogni altra attività — la terminologia non è delle più felici — cui si sia tenuti (per legge, regolamento o disposizione dell’Autorità) a tutela della sicurezza della navigazione quali, ad esempio, l’effettuazione di segnalazioni visive, acustiche o radioelettriche. Ove, pertanto, la segnalazione non attenga la sicurezza della navigazione si renderà applicabile, quando ne ricorrano i presupposti soggettivi, solamente la contravvenzione di cui all’art. 1218.

Il 3° co. prevede un’aggravante ad effetto speciale — nessun dubbio dovrebbe esservi in ordine al trattarsi di aggravante e non di ipotesi autonoma di reato — ove dal fatto derivi pericolo d’incendio, naufragio o sommersione di una nave o di un galleggiante ovvero di incendio, caduta o perdita di un aeromobile. Anche se la norma non lo esplicita, pare evidente che rispettivamente la nave e l’aeromobile contemplati possano essere anche, eventualmente, quelli stessi a bordo dei quali si è dato origine alla condotta sanzionata. Configurare, invece, la fattispecie come un delitto aggravato dall’evento ripropone il problema costituito dalla necessità o meno che l’elemento cognitivo del dolo dell’autore del reato investa, almeno in termini di accettazione della possibilità di insorgenza del pericolo, l’evento ulteriore prospettato dalla norma.

È stata, infine, prevista una clausola di chiusura: le previsioni cui si è fatto cenno non si applicano «se il fatto è previsto come più grave reato» da altra disposizione di legge. Ciò esclude la configurabilità di un concorso formale di reati ove le condotte sopra descritte costituiscano le modalità di esecuzione di altro reato(10). La semplice inosservanza delle norme sulle segnalazioni da parte del comandante integra invece la contravvenzione dell’art. 1218 c. nav.

Il dolo è generico sicché non rileva assolutamente se l’autore del reato abbia tenuto il comportamento addebitatogli per intenzionale sottovalutazione della necessità di effettuare le segnalazioni ovvero per altro motivo.

Proprio il dolo richiesto dalla norma sembra costituire la differenza più significativa fra la fattispecie di cui alla seconda parte del 1° co. — ipotesi di rimozione e con riferimento alla sola navigazione aerea — e quella prevista dall’art. 2 della legge 10-5-1976, n. 342 («Repressione dei delitti contro la sicurezza della navigazione aerea»). Quest’ultima previsione, integrata dal danneggiamento di installazioni a terra relative alla navigazione aerea ovvero nell’alterazione delle modalità d’uso (e la «rimozione» a fortiori la comprende) si connota proprio per il dolo specifico di «dirottare o distruggere un aereo». Quando ricorra il dolo specifico quest’ultima fattispecie dovrebbe, pertanto, assorbire quella più generale.

La norma in questione rientra fra quelle per le quali è prevista anche l’ipotesi colposa dall’art. 1124 c. nav.

4. Art. 1113 c. nav. Omissione di soccorso.

Soggetto attivo del reato può essere chiunque con l’ulteriore specificazione costituita dal fatto che si deve versare in una delle condizioni di cui agli artt. 70 (nave che si trova nel porto o nelle vicinanze di altra in pericolo o prossima al naufragio o ad altro sinistro e comandata dall’autorità marittima di collaborare nell’opera di soccorso), 107 (rimorchiatore richiesto dall’Autorità portuale per un servizio necessario all’ordine o alla sicurezza), 726 (aereo richiesto dal direttore dell’aeroporto per urgente necessità di servizio) — si tratta, dunque, di un chiunque qualificato — e che il soccorso deve essere richiesto dall’Autorità competente. Ancorché le ipotesi normative sopracitate presuppongano tutte già di per sé una richiesta proveniente dall’Autorità marittima o aeronautica l’ulteriore precisazione non è pleonastica. Infatti, il secondo presupposto è costituito da una richiesta di cooperare con i mezzi dei quali dispone al soccorso di una nave, di un galleggiante, di un aeromobile o di una persona in pericolo ovvero all’estinzione di un incendio.

In sostanza mentre i presupposti costituiti dagli artt. 70, 107 e 726 sono del tutto generici (la collaborazione della nave può essere richiesta, ad esempio, anche soltanto per effettuare assistenza logistica nelle operazioni di soccorso) perché sia integrata la fattispecie penalmente sanzionata sembra sia richiesta la mancanza di collaborazione ad una concreta e comandata operazione di soccorso. In difetto di tali presupposti potrebbe configurarsi la fattispecie di cui all’art. 1158 c. nav. — applicabile solamente, però, al comandante — la cui configurabilità è, a sua volta, subordinata al ricorrere dei presupposti integranti gli obblighi di assistenza e salvataggio di cui agli artt., rispettivamente, 489 e 490 c. nav. per la navigazione e 981 e 982 c. nav. per la navigazione aerea.

La norma presuppone, a nostro avviso, dunque, l’individuazione di volta in volta in concreto da parte dell’autorità marittima o aeronautica del tipo di collaborazione richiesto alla nave od all’aeromobile che presta soccorso senza di che, fra l’altro, la condotta — il cooperare con i mezzi dei quali dispone — sarebbe talmente generica da essere sospetta di violazione del principio di tipicità del precetto penale.

La fattispecie dell’art. 1113 c. nav. si trova poi — almeno per una parte della condotta penalmente sanzionata: il soccorso a persona in pericolo — in conflitto apparente di norme con la fattispecie comune dell’art. 593 c.p. Il conflitto non può che essere risolto in favore della sola applicazione della fattispecie dell’art. 1113, che assorbe, ove applicabile, quella più generale.

Anche in relazione a questa fattispecie l’art. 1124 contempla una parallela ipotesi colposa che si configurerà nel caso di cui la collaborazione pure in astratto fornita sia, per negligenza, imperizia ecc, tale da concretare, di fatto, un omessa cooperazione.

5. Art. 1114 c. nav. Rifiuto di servizio da parte del pilota.

Si tratta, come pure è da dire della successiva norma, di reato proprio che può essere commesso esclusivamente da chi rivesta la qualifica di pilota ex art. 86 ss. c. nav.

La condotta penalmente sanzionata è costituita dal a) non rispondere al segnale di chiamata b) ovvero dal rifiutare di prestare l’opera sua. L’ultima ipotesi riguarda il disattendere la richiesta di indicazioni sulla rotta e l’assistenza richiestagli dal comandante nella determinazione delle manovre per seguirla (art. 92) dovendosi circoscrivere, com’è ovvio, l’ambito dei comportamenti penalmente sanzionati a quelli costituenti obbligo cui il pilota sia tenuto per legge.

Il 2° co. contempla l’ipotesi in cui la condotta sia tenuta se la nave è in pericolo. Si ripropone a questo proposito la possibilità di configurare tale condotta come aggravante ovvero come reato autonomo con le rilevanti conseguenze in tema concorso di circostanze. La questione è di particolare rilievo per il significativo diverso trattamento sanzionatorio del 1° co. (pena alternativa) e di questo 2° co. (la pena prevista è nel minimo pari alla massima pena contemplata dall’ipotesi precedente). Proprio questo, oltre al carattere qualificante che conferisce alla gravità della condotta la situazione di pericolo, fa propendere per trovarsi in presenza di un’ipotesi autonoma. In ogni caso, quale che sia la soluzione, la situazione di pericolo dovrà essere conosciuta dal pilota (alt. 59, 2° co., c.p.). La norma non pare distinguere fra la situazione di pericolo per le persone o anche soltanto per le cose (nave compresa).

Anche questa è una delle fattispecie per le quali (ovviamente, non nel caso di rifiuto) l’art. 1124 c. nav. prevede la punibilità anche a titolo di colpa.

6. Art. 1115 c. nav. Abbandono di pilotaggio.

Con scelta sistematica opinabile l’art. 1115 c. nav. sanziona (con le stesse pene del 1° co. dell’articolo precedente) una condotta che ben poteva essere sussunta nella precedente fattispecie: l’abbandono di pilotaggio (prima dell’ormeggio della nave ovvero prima che la stessa abbia lasciato l’area in cui vige l’obbligatorietà) nei casi in cui lo stesso è reso obbligatorio dall’art. 87 del codice.

La fattispecie è identica a quella precedente: trattasi di reato proprio che può porre in essere soltanto il pilota (e non chi solo ne svolga di fatto le funzioni); di fattispecie dolosa o colposa (è prevista dall’art. 1124 c. nav.)(11).

L’opinabilità della scelta del legislatore deriva dal fatto che l’aver previsto la fattispecie in una norma separata rende inapplicabile l’aggravamento di pena previsto dal 2° co. dell’articolo precedente senza che ciò, quando se ne verifichino i presupposti, risponda ad un qualche criterio di ragionevolezza.

7. Art. 1116 c. nav. Abbandono abusivo di comando.

Il reato può essere commesso solamente da chi rivesta la qualifica giuridica di comandante (art. 292 c. nav.). La condotta penalmente sanzionata consiste nel lasciare la direzione nautica della nave o dell’aeromobile in condizioni tali che la direzione venga assunta da persona che non ha i requisiti per sostituirlo. Dunque, non si richiede che il comando sia lasciato ad un soggetto ben precisato essendo sufficiente ad integrare la condotta il lasciare nave o aeromobile in una situazione tale da rendere anche solo probabile che la direzione sia assunta da persona sfornita dei requisiti (ovviamente, quando ciò poi avvenga).

La norma non specifica se per requisiti si intendano i requisiti sostanziali o anche solo quelli legali anche se quest’ultima sembra la soluzione preferibile (così Cass., 9-7-1959, FI, 1960, II, 117).

Le maggiori questioni possono insorgere con riferimento all’interpretazione che si debba dare alla nozione di: lasciare la direzione nautica e ciò specialmente, com’è evidente, nel caso di navigazione protraentesi per lungo tempo in cui è esclusa una presenza fisica costante del comandante nei locali destinati al pilotaggio. Sembra di poter affermare che lasciare la direzione non si ha ogni qual volta il comandante lascia disposizioni sufficientemente precise — sulla rotta, a personale abilitato alla conduzione del mezzo — da consentire allo stesso di non dovervi supplire esulando dalle proprie competenze istituzionali e, del pari, che non sia sufficiente ad integrare la fattispecie un’eventuale carenza di disposizioni in presenza di eventi aventi connotati di assoluta improbabilità.

Ulteriore presupposto per la configurabilità della fattispecie è che l’abbandono avvenga senza necessità, elemento che assurge così a presupposto della condotta che deve essere oggetto della rappresentazione dell’autore del reato(12).

Il dolo è generico, sicché non rileva minimamente il fine che il comandante si sia riproposto con la propria condotta.

È prevista un’aggravante speciale nel caso in cui la condotta sia posta in essere nei casi in cui il comandante deve dirigere personalmente la manovra (art. 298 c. nav.).

La norma si pone in apparente conflitto con altre fattispecie cosicché, anche in questo caso, un maggiore coordinamento, quantomeno sotto il profilo sistematico, si renderebbe opportuno.

Rispetto alla fattispecie dell’art. 1097 (abbandono di nave o di aeromobile in pericolo da parte del comandante) la differenza risiede nel presupposto materiale costituito dal caso di abbandono della nave richiesto per la configurabilità di quella e non della fattispecie in esame.

Altro apparente conflitto si pone rispetto alla fattispecie contravvenzionale dell’art. 1222 che sanziona il comandante che non dirige personalmente la manovra nei casi in cui ne ha l’obbligo. Il conflitto è però appunto solo apparente giacché quest’ultima ipotesi è più specifica ed è configurabile anche ove il comandante abbia lasciato al personale adeguate disposizioni — e, pertanto, non si possa ritenere abbia lasciato la direzione nautica — ma, cionondimeno, pur avendone l’obbligo non abbia, appunto, diretto personalmente la manovra. Deve anche escludersi il concorso delle due fattispecie perché la seconda è assorbita dalla circostanza aggravante dell’art. 1116.

8. Art. 1117 c. nav. Usurpazione del comando di nave o di aeromobile.

Soggetto attivo può essere chiunque. Il reato consiste nell’indebita assunzione o ritenzione del comando di una nave o di un aeromobile. Nella nozione di indebita assunzione o ritenzione deve comprendersi sia l’assenza di requisiti formali — mancanza di titolo abilitante — sia l’assenza di presupposto sostanziale — mancanza di un conferimento di incarico in tal senso, mancanza dei presupposti giustificanti l’assunzione o la ritenzione del comando.

La fattispecie sanziona, come si è visto, solamente l’usurpazione delle funzioni di comando e non, dunque, le altre funzioni ancorché direttive attinenti la navigazione.

Il dolo è generico, ma l’elemento cognitivo deve investire com’è ovvio anche la consapevolezza che l’assunzione o la ritenzione è indebita.

Ancorché il codice preveda una più grave fattispecie all’art. 1138 (Impossessamento della nave o dell’aeromobile) in cui la condotta può essere comprensiva di quella della norma in oggetto, la diversità dei beni giuridici tutelati lascia ritenere che le due fattispecie possano concorrere.

La norma in questione si pone anche in apparente conflitto con l’art. 1220 c. nav. che sanziona a titolo contravvenzionale chi assume o ritiene il comando di una nave o di un aeromobile oltre i limiti della sua abilitazione. Inutile dire che la norma assume un connotato di specialità rispetto a quella in considerazione — com’è pure da dire del 2° co. dell’art. 1117 che sanziona con minore gravità chi commette il reato essendo però provvisto di un titolo per i servizi tecnici della nave o dell’aeromobile — nel senso che sanziona meno gravemente un’ipotesi specifica di indebita assunzione o ritenzione di comando, fermo restando che questa minore ipotesi si applica purché la natura di indebita assunzione o ritenzione non sia riconducibile anche ad altra causa.

Va, infine, precisato che la norma trova un limite per la sua applicazione nel fatto che deve avere per oggetto una nave — od un aeromobile — sicché non troverà applicazione ove sia assunto o ritenuto abusivamente il comando di un’imbarcazione da diporto (cfr. Cass., 9-3-1982, DM, 1984, 258).

9. Art. 1118 c. nav.: abbandono del posto; art. 1119 c. nav.: componente dell’equipaggio che s’addormenta.

Le due fattispecie di cui agli artt. 1118 e 1119 c. nav. presentano aspetti comuni tranne che per il trattamento sanzionatorio — meno grave nella seconda — e nella condotta penalmente sanzionatoria.

Per entrambe soggetto attivo del reato è il componente dell’equipaggio della nave (art. 316 ss. c. nav.), del galleggiante o dell’aeromobile (art. 895 ss. nav.). Parimenti in entrambe è contemplato il presupposto costituito dal fatto che la condotta deve verificarsi durante un servizio attinente la sicurezza della navigazione.

Quanto alla prima la condotta sanzionata è costituita dall’abbandono (13)del posto. Già il fatto che la norma richieda come elemento psicologico il dolo lascia intendere come nel concetto di abbandono sia sotteso un comportamento significativamente più grave che non il semplice allontanamento momentaneo. Una specifica attenzione al fatto che la norma è inserita nel capo dedicato ai delitti contro la sicurezza della navigazione dovrebbe suggerire una particolare attenzione al rispetto del principio di offensività nella sua applicazione concreta. Quanto alla seconda, la condotta è costituita dall’addormentarsi. L’assenza di ogni specificazione se, da un lato, rende punibile anche il fatto addebitabile a colpa dall’altro impone all’interprete di accertare caso per caso quantomeno la sussistenza di una colpa (14) non potendosi escludere a priori un fatto incolpevole e come tale esente da pena.

10. Art. 1120 c. nav. Ubriachezza.

La posizione di responsabilità nella navigazione rivestita da determinati soggetti giustifica una previsione specifica rispetto a quella ordinaria del codice penale quanto all’ipotesi di ubriachezza cui è parificato dal 3° co. l’uso di sostanze stupefacenti.

La norma prevede due ipotesi.

Al 1° co. è sanzionato il trovarsi in stato di ubriachezza … da escludere o menomare la … capacità al comando o pilotaggio. Di tale reato può rispondere solamente Il comandante della nave del galleggiante o dell’aeromobile ovvero il pilota dell’aeromobile. Presupposto ulteriore per la configurabilità della fattispecie è che l’ubriachezza non sia dovuta a caso fortuito o a forza maggiore, precisazione che è riproduttiva del principio dell’art. 45 c.p. e, dunque, pleonastica. Semmai la precisazione vale a far rilevare l’intenzione del legislatore di punire la condotta anche nel caso di riferibilità a colpa dello stato in questione(15).

Più significativo è il fatto che la norma presuppone implicitamente che il soggetto attivo del reato si trovi in servizio non potendosi in astratto escludere un’interpretazione talmente lata da ricomprendere sino all’esclusione o menomazione anche solo di una capacità il cui esercizio potesse essere richiesto in un momento successivo.

Il 2° co. riguarda la stessa condotta — riferita ovviamente alla capacità di prestare servizio — ma riferita questa volta al componente dell’equipaggio della nave, del galleggiante o dell’aeromobile ovvero al pilota marittimo. Presupposto per la configurabilità della fattispecie è che il tutto avvenga durante un servizio attinente la sicurezza della navigazione o nel momento in cui deve assumerlo e, pertanto, non nello svolgimento di una qualunque attività.

Le limitazioni anzidette sono poi quelle che tracciano il confine fra la fattispecie in questione e quella di diritto comune norme fra cui pare indiscutibile intercorra un rapporto di specialità.

È prevista un’aggravante se ubriachezza od uso di sostanze stupefacenti sono abituali.

11. Art. 1123. Danneggiamento con pericolo colposo di naufragio o di disastro aviatorio.

Il capo IV del Titolo II dedicato ai delitti contro la sicurezza della navigazione si chiude con la previsione enunciata dall’art. 1123.

La fattispecie risulta di discutibile collocazione sistematica dal momento che prevede due condotte molto diverse fra loro: la prima, costituita da una sorta di danneggiamento colposo — comunque posto in essere (16) — subordinato al verificarsi di una condizione obiettiva di punibilità; la seconda, ad una specifica ipotesi di danneggiamento doloso — lo slegare o il tagliare gomene o ormeggi — collegata con un ovvero non del tutto comprensibile in chiave logica ad ogni altra azione od omissione colposa.

L’unico tratto unificatore fra le varie ipotesi — a rispondere del reato è chiamato chiunque — è costituito dall’essere la punibilità subordinata alla condizione che dalla condotta derivi pericolo di incendio, naufragio, sommersione o urto della nave o del galleggiante ovvero di incendio caduta perdita o urto dell’aeromobile. La previsione normativa, come si è visto amplissima, trova il suo temperamento solamente nella condizione di punibilità.

Anche a proposito di questa fattispecie si è dibattuto in ordine alla risoluzione del conflitto apparente di norme con l’art. 450 c.p. ritenendosi che la prima sia un reato di danno e quella del codice comune reato di pericolo configurabile solamente, pertanto, ove un danno non si sia verificato(17).

Va precisato che, in particolare, la collisione deve essere necessariamente successiva alla condotta o meglio che la fattispecie non è integrata ove la collisione verificatasi non sia stata preceduta da una delle condotte descritte dalla norma ovvero quando non foriera di un ulteriore pericolo di collisione.

12. Art. 1121: condizioni di maggiore punibilità. Art. 1122: aggravante per l’incendio, il naufragio, il disastro aviatorio.

L’art. 1121 prevede a) significativi aggravamenti di pena quando da taluno fra i reati contemplati dagli artt. da 1112 a 1120 deriva l’incendio il naufragio o la sommersione di una nave o di un galleggiante ovvero l’incendio la caduta o la perdita di un aeromobile b) un ulteriore aggravamento di pena se nel caso previsto nel numero precedente la nave o l’aeromobile sono adibiti al trasporto di persone.

Si tratta, con ogni probabilità, della norma che sottolinea in misura più marcata il mancato coordinamento fra la disciplina speciale e quella di diritto comune. L’art. 1121 delinea infatti situazioni largamente assimilabili a quelle previste rispettivamente dagli artt. 423 in relazione all’art. 425, n. 3 c.p. (incendio di nave o di aeromobile) e 428 c.p. (naufragio sommersione o disastro aviatorio). La differenziazione può rinvenirsi nel fatto che l’evento in questi ultimi casi deve essere oggetto della volizione dell’autore del reato, mentre nelle ipotesi contemplate dal codice della navigazione si pone come condizione di maggiore punibilità (in cui, pertanto, secondo la prevalente dottrina, l’evento può anche non essere investito dal dolo dell’autore del reato).

L’unica precisazione che merita la norma in questione riguarda il fatto che l’incendio ecc. devono derivare dalla condotta commissiva del reato e, pertanto, deve sussistere un nesso di causalità fra la condotta e l’evento e non un mero rapporto di occasionalità. L’art. 1122 prevede, invece, un aumento di pena nel caso della commissione di uno dei reati di cui agli artt. 423 c.p. (incendio) o 424 c.p. (danneggiamento seguito da incendio) se aventi per oggetto una nave (art. 425, n. 3, c.p.) ovvero 428 c.p. (naufragio, sommersione, caduta di aeromobile) nel caso che autore del reato sia il componente dell’equipaggio di nave galleggiante o aeromobile nazionale o straniera o una persona comunque addetta ai servizi della navigazione marittima o aerea.

Risulta, peraltro, evidente come tale ipotesi riguardi solamente quella del 1° co. dell’art. 428 c.p. potendosi ravvisare un rapporto di specialità fra l’ipotesi specifica dell’art. 1112 già esaminata e quella del 2° co. dell’art. 428 (realizzazione del reato distruggendo, rimuovendo o facendo mancare le lanterne o altri segnali, ovvero adoperando falsi segnali o altri mezzi fraudolenti).

Un ulteriore aumento di pena è previsto quando i fatti sopra ricordati siano commessi dal comandante di nave, galleggiante o aeromobile da lui stesso comandato.

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(1) Così la Relazione al Re, sul Codice della Navigazione, n. 718.

(2) Si tratta delle fattispecie degli artt. da 1215 a 1232.

(3) V. art. 1251.

(4) La disciplina delle fattispecie a tutela della sicurezza della navigazione aerea poi, più di ogni altra, assume connotati obsoleti rispetto agli sviluppi che tale tipo di navigazione ha seguito negli ultimi decenni. Basti pensare che le fattispecie del codice riguardano preminentemente comportamenti che si verificano a bordo dell’aeromobile, mentre risultano prive di rilievo in ambito penale molte condotte ascrivibili ai dipendenti degli enti controllori del traffico aereo o degli aeroporti, ai tempi del codice, comprensibilmente, di minore incidenza sul bene giuridico in questione. Sul punto in generale v. Tempesta, «Sicurezza della navigazione aerea», in NN.D.I., XVII, 1970, 285 ss.

(5) Cfr. sull’illogicità di considerare alcuni eventi come il naufragio ora come ipotesi base di alcune fattispecie del codice penale — con aggravante nel codice della navigazione (art. 1122) ora come condizione maggiore punibilità di fattispecie propria del codice della navigazione (art. 1121), per tutti De Vincentiis, «Sicurezza», cit., 280.

(6) Non secondaria considerazione merita, infine, la circostanza che il bene giuridico sicurezza della navigazione si trova ad essere maggiormente esposto al pericolo di essere compromesso da condotte che attengono, il caricamento della nave, la (non) prevenzione degli incendi e degli abbordi fra navi, l’esercizio di radiotelefonia e radiotelegrafia, la sottoposizione ai controlli di sicurezza molte delle quali non trovano considerazione o assistenza con adeguata sanzione pende nel codice della navigazione. Sull’argomento si veda Righetti, «Sicurezza della navigazione marittima», in NN.D.I., XVII, Torino, 1970, 291 ss.

(7) Cfr., sui reati proprii della navigazione e sui reati propri nel codice della navigazione, Padovani, op. cit., 1199.

(8) In particolare va ricordato l’art. 1 di detta legge che stabilisce «In materia di navigazione da diporto, per tutto ciò che non sia espressamente previsto dalla presente legge, si applicano le disposizioni contenute nel Codice della navigazione, nei relativi regolamenti di esecuzione e nelle altre leggi speciali». Norme speciali si rinvengono, ad esempio, in tema di abilitazione alla conduzione delle imbarcazioni da diporto il che si riverbera in termini di inoperatività, nel settore nella nautica da diporto, in questi ambiti della fattispecie dell’art. 1117 c. nav. Sul punto si veda Cass., 6-7-1982, GP, 1983, II, 578; Id., 5-10-1983, GP, 1984, Il, 425; Id., 8-6-1983, GP, 1984, II, 410. L’interpretazione dei rapporti fra le norme contenute nel codice della navigazione e quelle della legge speciale sulla navigazione da diporto non è però univoca. Molti autori (Gaeta, op. cit., 22; Rivello, op. cit., 296) ritengono, invece, che la norma dell’art. 39/I della l. 50/71 là ove afferma: salvo che il fatto non costituisca reato prevista dal codice penale o dalla parte terza del codice della navigazione, chiunque non osservi una disposizione della presente legge … debba interpretarsi nel senso di ricevere applicazione solamente quando il precetto posto dalla legge sulla navigazione da diporto non è sanzionato da una delle fonti citate. Così resterebbero sanzionate dalla norma dell’art. 1117 l’assunzione di comando di imbarcazione da diporto senza patente od oltre i limiti della patente, dall’art. 1216 la navigazione oltre i limiti dell’abilitazione ecc.

(9) Contra Testa, I delitti, cit., 689.

(10) Peraltro Manca, op. cit., 186, ritiene che la fattispecie in esame assorbe a sua volta la previsione dell’art. 450 c.p.

(11) Non si comprende perché, secondo Testa, I delitti, cit., 696, la fattispecie — come pure è da dire di quella dell’art. 1116 — non renda giuridicamente possibile il tentativo, che sembra invece configurabile ogni qual volta l’autore si ponga nelle condizioni per dover abbandonare l’ufficio richiestogli.

(12) Cfr. De Vincentis, «Sicurezza della navigazione», cit., 283.

(13) Diverso presupposto è quello richiesto dalla fattispecie dell’art. 1098 c. nav. (abbandono di nave o di aeromobile in pericolo da parte di componente dell’equipaggio), presupposto costituito dalla situazione di pericolo mentre l’abbandono, in quest’ultimo caso, non è solo del posto ma della nave. Come tale, ove configurabile, tale reato dovrebbe ritenersi assorbire la fattispecie dell’art. 1118.

(14) Ad avviso di Testa, I delitti, cit., 700 il reato può configurarsi solamente nell’ipotesi dolosa e, pertanto, costituisce una realizzazione dell’intento di addormentarsi. L’interpretazione che, invece, si suggerisce è, peraltro, coerente con quella correntemente adottata dalla giurisprudenza militare per distinguere le due ipotesi cui agli artt. 119 c.p.m.p.; (militare di sentinella, vedetta o scorta che s’addormenta) o 120 c.p.m.p. da quella dell’art. 118 c.p.m.p.: violata consegna.

(15) Contra, Testa, I delitti, cit., 700.

(16) Per T. Genova, 18-94956, TG, 1956, 458 il danneggiamento deve avere per oggetto lo scafo o le installazioni essenziali di bordo e non soltanto le cose mobili trasportate sulla nave.

(17) Così Cass. S.U., 17-1-1953, GP, 1953, II, 753. Contra, però Testa, I delitti, cit., 699.

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