CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 26 ottobre 2011, n. 22252 Tributi – Imposta sulle successioni e donazioni – Sanzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

In fatto e in diritto

1. La I. s.p.a. (già …s.r.l.) propone ricorso per cassazione (successivamente illustrato da memorie) nei confronti dell’ Agenzia delle Entrate (che resiste con contoricorso proponendo altresì ricorso incidentale condizionato) e avverso la sentenza con la quale -in controversia concernente impugnazione di cartella di pagamento per Iva, ritenute alla fonte Irpef, ritenute alla fonte addizionale regionale Irpef, Irap e credito di imposta ex L. 449/97 oltre interessi, relativa all’anno di impesta 2000- la C.T.R. Friuli confermava la sentenza di primo grado che aveva rigettato il ricorso introduttivo.

In particolare, per quel che in questa sede ancora rileva, i giudici d’appello affermavano: che nella specie la cartella di pagamento conteneva tutti gli elementi idonei a fare luogo all’iscrizione, compresa la motivazione sintetica della pretesa scaturente dal controllo delle dichiarazioni prodotte ai sensi degli art. 10 L. 212/2000, obiettive condizioni di incertezza sulla portata e l’ambito di applicazione della norma tributaria.

2. Deve innanzitutto essere disposta la riunione dei due ricorsi siccome proposti avverso la medesima sentenza.

Col primo motivo del ricorso principale la contribuente, deducendo nullità della sentenza per violazione dell’art. 46 citato nella parte in cui prevedeva la compensazione delle spese del giudizio in ipotesi di cessata materia del contendere per l’esercizio di autotutela da parte dell’ufficio impositore, con la conseguenza che nella specie si imponeva una ripartizione delle spese di lite che tenesse conto del fatto che l’Ufficio aveva esercitato l’autotutela su oltre tre quarti della materia controversa. La contribuente si duole inoltre che i giudici d’appello abbiano omesso di motivare in ordine alla conferma della decisione di primo grado in tema di spese processuali. Le censure esposte sono infondate.

In particolare deve escludersi la dedotta violazione dell’art. 92 c.p.c.

Deve altrettanto escludersi la dedotta violazione dell’art. 92 comma 2 c.p.c.

In proposito, pacifico che la contribuente non è risultata totalmente vittoriosa nel giudizio di primo grado e che non è stata condannata alle spese di tale giudizio, è sufficiente evidenziare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, con riferimento al regolamento delle spese il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi (v. tra numerose altre cass. n. 406 del 2008 e successive conformi).

Peraltro, è proprio il comma secondo dell’art. 92 c.p.c. invocato dalla contribuente ad attribuire al giudice il potere di compensare totalmente o parzialmente le spese in ipotesi di soccombenza reciproca ovvero in ipotesi di ricorrenza di giusti motivi (in tale ultimo caso indicando tali motivi, i quali peraltro, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, possono essere evincibili anche dal complessivo tenore della sentenza -v. cass. n. 7766 del 2010) .

Occorre aggiungere che, secondo dottrina e giurisprudenza, può aversi soccombenza reciproca quando vengono rigettate sia la domanda principale che la riconvenzionale, quando sono accolte solo alcune delle domande proposte da un’unica parte, quando sono accolti solo alcuni capi dell’unica domanda proposta o quando la domanda è accolta sulla base di una sola delle argomentazioni svolte, mentre si discute se integri soccombenza reciproca l’accoglimento della domanda per un quantum inferiore al richiesto, essendosi in alcuni casi la giurisprudenza pronunciata per una ipotesi di soccombenza reciproca, in altri per una ipotesi di ricorrenza di giusti motivi per la compensazione. E’ inoltre appena il caso di ribadire e precisare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il giudice gode di un potere ampiamente discrezionale non solo nel concedere o meno la compensazione delle spese, ma anche nel disporla totalmente o parzialmente senza tenere conto del rapporto di proporzionalità tra la rispettiva soccombenza delle parti, potendo ad esempio insindacabilmente giudicare irrilevante il diverso valore delle loro domande o il diverso peso delle argomentazioni respinte dell’una e dell’altra parte (v. cass. n. 2522 del 1974, n. 18236 del 2003 e successive conformi).

Quanto alla denuncia del vizio di cui all’art. 384 c.p.c., quando la decisione sia conforme a diritto, la Cassazione può limitarsi a correggere o integrare la motivazione in diritto della sentenza impugnata.

Col secondo motivo del ricorso principale, deducendo violazione e/o falsa applicazione dell’art. 9 bis L. 289/2002, l’Ufficio non avrebbe potuto agire in base alle dichiarazioni delle liquidazioni, essendo legittimato ad un’iscrizione a ruolo solo da un diniego di condono.

La censura, prescindendo da altre possibili considerazioni (in ogni caso esposte in relazione all’esame dei successivi due motivi), è innanzitutto inammissibile per totale difetto di autosufficienza. In proposito, questa Corte di legittimità si è espressamente e ripetutamente pronunciata evidenziando che, in base al principio di autosufficienza dei ricorso per cassazione sancito dall’art. 366 c.p.c., qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento – il quale non è atto processuale, bensì amministrativo, la cui motivazione, comprensiva dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che lo giustificano, costituisce imprescindibile requisito di legittimità dell’atto stesso-, è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso riporti testualmente la motivazione di detto atto (o almeno i passi della medesima ritenuti rilevanti ai fini della censura proposta) al fine di consentire alla Corte di cassazione di esprimere il suo giudizio sulla suddetta congruità esclusivamente in base al ricorso medesimo (v. cass. n. 15867 del 2004 e numerose successive conformi).

Col terzo motivo, deducendo nullità della sentenza per violazione dell’54 bis benché il contribuente avesse presentato istanza di condono costituente dichiarazione novativa del titolo costitutivo di imposta.

Col quarto motivo, deducendo nullità della sentenza per ultrapetizione nonché violazione e/o falsa applicazione degli art. 9 bis per avere la società effettuato in ritardo il pagamento delle rate successive alla prima, senza considerare che l’omesso o ritardato pagamento delle suddette rate non inficia la dichiarazione costitutiva del novato titolo obbligatorio, dovendo il condono ritenersi perfezionato con la dichiarazione volontaria integrata dal pagamento della prima rata. La ricorrente si duole infine che i giudici d’appello abbiano motivato in maniera contraddittoria la ritenuta invalidità ed inefficacia della dichiarazione integrativa di condono.

I due motivi, da esaminare congiuntamente perché connessi, sono infondati.

Occorre innanzitutto evidenziare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità (la quale, sia pure riferita a condoni previsti da leggi diverse dalla cass. n. 4415 del 2008).

Pertanto, per accertare se l’amministrazione avesse nella specie correttamente proceduto ad iscrizione a ruolo ai sensi degli art. 9 bis L. 289/2002 col pagamento della prima rata, nonché delle successive –sia pure in ritardo rispetto alle scadenze previste-, l’Ufficio controdedusse che il condono non si era perfezionato a causa della tardività dei versamenti rateali, e in appello la contribuente ripropose la tesi della validità ed efficacia della dichiarazione di condono.

Tanto premesso, deve rilevarsi che dalla sentenza impugnata risulta che l’istanza ai sensi dell’sentenza della Corte di Giustizia CE 17 luglio 2008, in causa C-132/06.

E’ infatti in particolare da evidenziare che quanto concerne l’imposta in sé si riferisce ovviamente anche alle sanzioni, delle quali non può essere esclusa l’integrale esazione, come peraltro previsto al punto 42 della sentenza di infrazione (v. sul punto cass. n. 28701 del 2009 e n. 20068 del 2009 citata), posto che le misure con cui lo Stato membro rinuncia ad una corretta applicazione e/o riscossione dell’I.V.A. devono ritenersi incompatibili con la disciplina comunitaria anche in relazione alle sanzioni di natura tributaria previste dall’ordinamento nazionale per le violazioni di norme che regolano gli obblighi di dichiarazione e pagamento dell’imposta, pur non essendo la materia delle sanzioni regolata dalla sesta direttiva. In proposito è infatti determinante il rilievo che si tratta di misure di carattere dissuasivo, oltre che repressivo, la cui funzione è quella di determinare il corretto adempimento d; un obbligo nascente dal diritto comunitario. E’ peraltro da sottolineare che già una consolidata e risalente giurisprudenza della Corte di Giustizia (v. sentenze in cause 79/83; C – 382 – 383/92; C – 180/95) faceva discendere dal principio di effettività la conseguenza che le sanzioni previste dagli ordinamenti degli Stati membri per garantire un puntuale adempimento di obblighi nascenti dal diritto comunitario non possono essere previste in misura irrisoria (e, quindi, a maggior ragione, non possono essere, in tutto o in parte, soppresse).

E’ infine appena il caso di evidenziare che i principi sopra esposti devono essere applicati da questa Corte a prescindere da specifiche deduzioni di parte. Il principio di effettività contenuto nell’art. 10 del Trattato CE comporta infatti l’obbligo del giudice nazionale di applicare d’ufficio il diritto comunitario, senza che possano ostarvi preclusioni procedimentali o processuali, o, nella specie, il carattere chiuso del giudizio di cassazione (v. in proposito, le sentenze della Corte di Giustizia in cause C – 312/93, Peterbroeck; C – 430-431/93, Vari Schijndel; C – 327/00, Santex, alle quali si è adeguata la giurisprudenza di questa Corte, fra le altre, S.U. – 18 dicembre 2006, n. 26948).

Tuttavia, anche prescindendo dalle considerazioni che precedono, è sufficiente evidenziare che, come peraltro precisato dalla giurisprudenza di questo giudice di legittimità, le norme che disciplinano i condoni tributari, essendo derogatorie di quelle generali dell’ordinamento tributario, integrano sistemi compiuti di natura eccezionale (v. cass. n. 514 del 2002), essendo in particolare da precisare che ciascuna delle diverse ipotesi di definizione agevolata previste dalla L. n. 289 del 2009 costituisce disposizione di carattere eccezionale assistita da una propria specifica disciplina che è di stretta interpretazione e non può essere integrata in via ermeneutica dalle norme generali dell’ ordinamento tributario e neppure da quelle dettate per altre forme di definizione, ancorché contemplate dalla medesima legge.

Ne consegue che, alla stregua dell’cass. n. 20745 del 2010).

Peraltro, essendo l’istanza del contribuente elemento indefettibile del condono e motore dell’ intera procedura, il perfezionamento di quest’ultima deve essere valutato in rapporto all’istanza suddetta, con la conseguenza che il mancato pagamento della somma integrale dovuta sulla base di detta istanza comporta l’inefficacia della medesima siccome formulata, con conseguente perdita (in mancanza di espresse previsioni in senso contrario) della possibilità di avvalersi della definizione agevolata.

E’ infine appena il caso di aggiungere (ribadito, per quanto sopra esposto, che le previsioni di cui ai citati art. 384 c.p.c. del potere di integrare e correggere la motivazione della sentenza impugnata, e chiamato a valutare se la soluzione adottata dal giudice del merito sia oggettivamente conforme alla legge, piuttosto che a sindacarne la motivazione, con la conseguenza che anche l’eventuale mancanza, insufficienza, erroneità o contraddittorietà di questa deve ritenersi del tutto irrilevante, quando il giudice del merito sia comunque pervenuto ad una esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame (v. tra le altre cass. n. 12753 del 1999)-

Solo per mera completezza si aggiunge che la denuncia di vizio di motivazione risulta a fortiori inammissibile per mancanza della esposizione chiara e sintetica del fatto controverso e decisivo in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, essendo peraltro appena il caso di sottolineare che l’indicazione de qua deve sempre avere ad oggetto (non più un "punto" o una questione ma, appunto,) un fatto preciso, inteso sia in senso naturalistico che normativo, ossia un fatto "principale" o eventualmente anche "secondario", purché controverso e decisivo, e che nella specie manca non solo l’indicazione di fatti precisi rispetto ai quali la motivazione risulti viziata, ma anche l’evidenziazione della carattere decisivo e della natura controversa dei medesimi fatti.)

Col quinto motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli 8 d.lgs. 546/92, oltre che vizio di motivazione, la ricorrente si duole che i giudici d’appello non abbiano annullato o disapplicato le sanzioni afferenti l’Irap irrogate prima del 17.06.2005 nonché i relativi interessi, posto che la necessità di ricorrere alla Corte di Giustizia per sentire sancita la legittimità dell’Irap rendeva oggettivamente incerta l’effettiva applicazione della normativa italiana confliggente con quella europea e che sul punto i giudici d’appello avrebbero contraddittoriamente motivato, per un verso affermando che non esistevano obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria e per altro verso affermando che solo a seguito della decisione della Corte di Giustizia CE del 6.10.2006 non sussistono più dubbi sulla legittimità dell’ imposizione. La censura è infondata.

Secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, l’incertezza normativa oggettiva che costituisce causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria postula una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d’interpretazione normativa (v. cass. n. 24670 del 2007) e deve ritenersi sussistente quando la disciplina normativa della cui applicazione si tratta si articoli in una pluralità di prescrizioni, il cui coordinamento appaia concettualmente difficoltoso per l’equivocità del loro contenuto, derivante da elementi positivi di confusione, gravando sul contribuente l’onere di allegare la ricorrenza di siffatti elementi di confusione (v. cass. n. 22890 del 2006).

Nella specie la contribuente, sulla quale gravava il relativo onere, non ha allegato la sussistenza di elementi oggettivi di confusione derivanti dalla incertezza ed equivocità del risultato ermeneutico conseguito attraverso il procedimento interpretativo, ma si è limitata ad allegare la pendenza di un giudizio dinanzi alla Corte di Giustizia CE, fatto che di per sé non denuncia né determina incertezza interpretativa ed equivocità della norma, essendo compito istituzionale della Corte di Giustizia non quello di interpretare testi normativi ambigui, bensì quello di verificare se le denunciate norme delle legislazioni nazionali degli stati membri si pongano in contrasto con direttive comunitarie.

Alla luce di tutto quanto sopra esposto, il ricorso principale deve essere rigettato con assorbimento dell’incidentale siccome condizionato.

Considerato che, in relazione ad alcuni dei motivi proposti, non vi era, al momento della presentazione del ricorso per cassazione, giurisprudenza consolidata, si ritiene di disporre la compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi.

Rigetta il principale, dichiara assorbito l’incidentale e compensa le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *